SOSTITUIRSI A DIO: ECCO IL PECCATO
di Lidia Maggi*
* L'autrice è
Pastora della Chiesa Evangelica Battista in servizio a Milano. Si
occupa di ecumenismo e pastorale alle persone recluse. È
responsabile del settore Diritti Umani delle Chiese Battiste
Italiane. È tra gli autori del Dizionario Biblico per ragazzi
"Navigare nella Bibbia", Claudiana-Elledici 2001.
Anno A - 20 gennaio 2002 - II Domenica del Tempo
Ordinario
(Is 49,3.5-6; Sal 39; 1 Cor 1,1-3; Gv 1,29-34)
"Ho visto. Ho visto il cielo
aprirsi e lo Spirito scendere e rimanere su di lui…ho visto e vi
rendo testimonianza che Gesù è il Figlio di Dio".
Ecco l'annuncio del testimone fedele, di uno dei tanti padri della
fede, attraverso cui abbiamo appreso delle grandi meraviglie di
Dio. Ecco la testimonianza di chi ha fatto esperienza diretta e
testimonia affinché la fede si diffonda. Proprio come nelle
lettere giovannee: "ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi
abbiamo veduto con i nostri occhi… noi lo annunciamo perché
anche voi siate in comunione con noi " .
Quale forza e quale entusiasmo nelle parole del testimone. Egli ha
trovato quel tesoro prezioso per cui vale la pena vendere tutto.
Come Paolo, può dire: "non sono più io che vivo, ma il
Cristo vive in me". La missione di Giovanni acquista senso
alla luce di questa nuova comprensione: "io prima non lo
conoscevo". Risuona l'esperienza di Giobbe: "io prima ti
conoscevo per sentito dire, ma ora ti ho visto faccia a
faccia". Giovanni ha visto il cielo aprirsi, ha contemplato
la gloria di Dio, rispecchiata in quel figlio; gloria però ben
diversa da come l'attendiamo. Una gloria che viene dal dono totale
di sé: ecco l'agnello di Dio.
Nella testimonianza c'è sempre un'esperienza personale,
imprescindibile. Nessuno può vedere per noi. Ognuno è solo
davanti alla propria fede, anche se questa viene vissuta e
verificata all'interno della comunità dei credenti. Comunità
spesso in competizione tra loro, più che in comunione. E chi è
in ricerca, chi guarda dall'esterno la pluralità di confessioni
cristiane può rimanere sconcertato dai diversi modi di vivere lo
stesso Cristo. Perché quell'unica fede nel Signore ha dato vita a
tante Chiese diverse? Qual è la Chiesa giusta, la Chiesa fedele
alla testimonianza ricevuta?
Difficile non cogliere un disagio esistenziale in queste domande
che non andrebbero troppo facilmente riconciliate. La pluralità
sarà pure un dono, ma la divisione no! E troppo spesso le diverse
confessioni cristiane vivono nella divisione più che nella
comunione. Non sentiremmo del resto il bisogno di pregare per
l'unità dei cristiani se le Chiese, pur nella loro diversità, si
accogliessero e riconoscessero reciprocamente. Di questa divisione
un caro prezzo lo pagano le coppie interconfessionali. Credenti
che non possono abitare la fede nella stessa comunità sentendosi
totalmente accolti; credenti che, pur avendo fede nello stesso
Cristo, non hanno strutture né luoghi dove far vivere ed educare
all'evangelo i propri figli.
Può la testimonianza del Battista offrirci un paradigma ecumenico
per interrogare le nostre divisioni?
Andiamo a scuola da quella voce che grida nel deserto, da colui
che non ha paura di mettersi da parte per far filtrare la luce
dell'Agnello.
Se il peccato del mondo, secondo il quarto evangelista, è
nell'incapacità di accogliere la luce e di camminare ancora nelle
tenebre, qual è il peccato della Chiesa? Forse è nell'aver
annunciato una "teologia della sostituzione",
nell'essersi ritenuta lei stessa la luce: "ti ho stabilito
come luce delle nazioni, perché tu sia la mia salvezza".
Sostituzione nei confronti di Israele, certo, ma più a monte nei
confronti di Cristo stesso: "Ecco la Chiesa di Dio che toglie
i peccati del mondo"!
In realtà, col cuore curvo su di sé, le Chiese non tolgono bensì
appoggiano il peccato del mondo. Abitano lo stesso spazio, nel
quale regna il divisore, riproducono le stesse dinamiche, le
stesse gerarchie.
Ecco, le Chiese si incontrano di nuovo per pregare. Può essere
un'esperienza formale, buoni rapporti di buon vicinato, oppure
possibilità per ogni confessione di riascoltare una
testimonianza, una parola altra da me, che mi disturbi, che mi
inquieti, che mi interpelli e mi converta.
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