IL CUORE DELL'UOMO, TENDA DI DIO
di Elena Lea Bartolini*
Anno A - 24 febbraio - II Domenica di Quaresima
(Gen 12,1-4; Sal 32; 2Tin 1,8-10; Mt 17,1-9)
* Cristiana
di origini ebraiche da parte materna, specializzata in Teologia
ecumenica di indirizzo biblico-giudaico, saggista, docente
e consulente nell'ambito di iniziative locali e nazionali
per il dialogo fra i cristiani e gli ebrei, collabora con
diverse Istituzioni Accademiche tra le quali la Pontificia
Facoltà Auxilium di Roma. Fra le sue recenti pubblicazioni:
"Anno sabbatico e giubileo nella tradizione ebraica", Àncora,
Milano, 1999. "Come sono belli i passi... La danza nella
tradizione ebraica", Àncora, Milano, 2000. "Dialogo
interreligioso con particolare riferimento alla Teshuvah",
in AA. VV., "Icone di riconciliazione (Dalla parola alla
vita"), Paoline, Milano, 2001, pp.169-196.
"Questi è il Figlio
mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo"
(Mt 17,5 cfr. 3,17). Queste le parole con cui Dio si rivela
a Pietro, Giacomo e Giovanni "sul monte" durante la trasfigurazione
di Gesù. L'evento, e i segni che lo accompagnano,
ci rimanda sia al Sinai che al mistero pasquale cristiano:
l'apparizione di Mosè e l'esortazione all'ascolto
sono da leggersi in riferimento alla Torah, cioè
all'insegnamento divino rivelato dopo l'uscita dall'Egitto,
che va "vissuto e ascoltato" (cfr. Es 24,7) per poter camminare
"scegliendo la vita" (cfr. Dt 30,15-20); l'apparizione di
Elia e la trasfigurazione di Gesù sono invece segni
messianici da leggersi in riferimento alla resurrezione (cfr. Mt 17,9-13). Mosè con Aronne è "salito"
al Sinai, al cospetto di Dio, per ricevere la Torah
e trasmetterla al popolo (cfr. Es 19,1ss.); Gesù
con Pietro, Giacomo e Giovanni "sale" sul monte per mostrare
loro come Dio lo glorificherà (cfr. Mt 17,1ss.).
È evidente il parallelismo fra le due narrazioni:
in entrambi i casi si "sale" verso una particolare rivelazione
che ha a che fare con una prospettiva universale di salvezza,
e in entrambi i casi si "sale" per poi "ridiscendere", per
creare comunicazione fra "cielo e terra". La narrazione
di Matteo si colloca quindi in una dimensione storica che
rimanda "oltre" anticipando quella del "mondo avvenire"
che, dopo essersi compiuta in Gesù, si deve compiere
in "tutto e per tutti" (cfr. Mt 5,17).
Perché allora preferire la storia, ancora vincolata
a contraddizioni spesso sgradevoli, e non tentare invece
di afferrare in qualche modo un "oltre" metastorico sicuramente
più allettante? La tentazione di fuggire da un mondo
scomodo e impegnativo per rimanere con Gesù, Mosè
ed Elia sul monte è forte per i discepoli; le parole
di Pietro: "Signore, è bello per noi restare qui;
se vuoi farò qui tre tende…" (Mt 17,4), sono emblematiche
al riguardo ed evidenziano un rischio con il quale il credente
di ogni epoca deve prima o poi misurarsi. È il rischio
di vivere una fede disincarnata inseguendo la trascendenza
fuori dalla storia degli uomini.
Il richiamo di Dio all'ascolto di colui nel quale Egli si
è compiaciuto ci riporta invece in quella storia
anonima che, grazie al rivelarsi di un progetto divino a
favore dell'uomo, è diventata storia di salvezza.
In questa storia, che è quella del mondo e dell'umanità
di Dio, "ascoltare" è segno di una scelta di fede
che impegna in modo concreto. "Ascolta Israele… amerai il
Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua
persona e con tutte le tue forze…." (Dt 6,4-5), e "amerai
il prossimo tuo come te stesso" (Lv 19,18). Questo è
il duplice precetto dell'amore, verso Dio e verso l'uomo,
che riassume tutta la Torah e che Gesù ha
confermato e compiuto (cfr. Mt 22,36-40). "Ascoltare" sta
dunque nella logica di un impegno per una storia rinnovata,
perché la salvezza di Dio possa mostrarsi ed essere
alla portata di tutti, perché, come ricorda Martin
Buber: "Dio vuole entrare nel mondo che è suo, ma
vuole farlo attraverso l'uomo: ecco il mistero della nostra
esistenza, l'opportunità sovrumana del genere umano!"
(Il cammino dell'uomo, Qiqajon, Magnano 1990, pp.63-64).
Come i discepoli, atterriti dal timore di fronte al mistero,
sono "toccati" da Gesù e invitati ad "alzarsi e non
temere", tanto che con lui "discendono dal monte" verso
la realtà che li attende (cfr. Mt 17,6-9), così
anche noi, "toccati" dalla parola-evento che salva, siamo
chiamati a "discendere" verso quella mondanità che
talvolta preferiremmo sfuggire, assumendo con coraggio quelle
contraddizioni storiche che ci lacerano, operando scelte
coraggiose che denunciano un potere a favore di pochi e
non del bene comune. È questa la salvezza possibile
di cui dobbiamo essere segno, la parola che libera di cui
dobbiamo essere i portatori. Qualsiasi annuncio che sposta
l'attenzione solo in prospettiva escatologica evitando di
"giocarsi" con coraggio nello spazio e nel tempo è
in contraddizione con la logica della rivelazione attestata
nelle Scritture, poiché, come ricorda il
Deuteronomio:
"Questi precetti/insegnamenti che oggi ti comando non sono
una cosa straordinaria oltre le tue forze né sono
cosa lontana da te; non è nel cielo... e neppure
al di là del mare… é invece molto vicino;
è nella tua bocca; é nel tuo cuore perché
tu possa fare..." (Dt 30,11-14), cioè tu possa lasciare
entrare la salvezza di Dio nel tuo mondo.
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