LA MISSIONE DI GESÙ, L'ABBAGLIO DELLE CHIESE
di Elisabeth Green *

* Teologa specializzata in teologia femminista. Ha svolto un lavoro pastorale nelle chiese battiste del Sud d'Italia; ora è libera docente in ambito ecumenico. Pubblicazioni: "Dal silenzio della parola", "Teologia femminista e Lacrime amare", "Il cristianesimo e la violenza contro le donne", tutti editi dalla Claudiana (1992, 1998, 2000).

Anno A - 12 maggio 2002 - Festa dell'Ascensione
(At 1,1-11; Sal 46; Ef 1,17-23; Mt 28,16.20)

Se, nel corso dei secoli, il "parlare duro" evangelico è diventato grazie alla riflessione, alle controversie e alla raffinatezza teologica un parlare sin troppo facile, non c'è da escludere la possibilità che, col passare del tempo, sia successo anche il contrario, ovvero che un parlare apparentemente facile, sia diventato un parlare duro, capace di scandalizzarci (cfr. Gv 6, 60s.). A me sembra che qualcosa di simile sia successo nella narrazione che Matteo fa della grande missione affidata da Gesù ai discepoli. Ci scandalizza il fatto che il mandato di annunciare al mondo intero il Vangelo, facendo diventare discepoli del Cristo risorto persone di tutte le nazioni, sia stato affidato solo agli undici, quando è palese, dalla stessa testimonianza matteana, che ad essere i primi testimoni della resurrezione (nonché discepole fedeli) erano state le donne. Ci scandalizza il fatto che le Chiese dell'Occidente (complice in parte anche la loro componente femminile) abbiano (con qualche eccezione) non solo malcompreso la natura del potere dato a Gesù, ma anche pensato che tale potere fosse dato a loro e non al Risorto.
Così non possiamo che scandalizzarci davanti al fatto che questo grande mandato abbia finito per battezzare nel nome "del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" l'imperialismo d'Occidente, religioso, culturale, economico, politico: Cristo come giustificazione della conquista, della colonizzazione, del genocidio. Davanti a questi fatti, il grande mandato diventa veramente un "parlare duro", fonte di scandalo e di vergogna. Non riusciamo ad adorare un Cristo siffatto: se questo è il potere dato al Risorto allora noi ci troviamo volentieri tra i discepoli che, "vedutolo… dubitarono".
Rimane la possibilità che il combattere e uccidere, il vendere e il comperare, l'appropriarsi di terre altrui, l'arrogarsi il diritto di definire e di decidere non rispecchiasse affatto l'autorità data a Cristo. Quale potere è stato dato al Risorto? Davanti ai discepoli si presenta un uomo reduce della croce, il cui potere e autorità sono stati quelli della resistenza non violenta. Non fautore di sistemi religiosi e politici di violenza, sfruttamento e oppressione, ma vittima! Vittima dei poteri e delle autorità! È possibile che le Chiese abbiano dimenticato chi era colui che si presentava davanti a loro? È possibile che non abbiano visto bene?
I discepoli, assenti agli ultimi avvenimenti sconvolgenti del Vangelo, fuggiti davanti al pericolo, vanno in Galilea come era stato detto loro dalle donne. Vanno "sul monte che Gesù aveva loro designato". Ma è proprio su un monte che Gesù, prima di iniziare il suo ministero, si era trovato faccia a faccia con il desiderio subdolo del dominio e con la tentazione del potere: "Il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria, dicendogli: Tutte queste cose io, ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai" (Mt 4, 8 e ss.). Gesù seppe resistere alla tentazione. Ma i suoi discepoli? Balena davanti ai nostri occhi la possibilità che stanchi, scoraggiati, sconfitti, abbiano sbagliato monte. Oppure, con gli occhi offuscati da quel desiderio di potere e di dominio mostrato apertamente mentre Gesù viveva, non abbiano visto lui, bensì un altro. Insomma, può essere che le Chiese si siano prostrate non davanti al Gesù morto e risorto, vittima dei poteri e principati che dominavano il mondo, ma ad un altro dio confezionato dalle proprie brame di potere? Può essere accaduto che, lungo i secoli, la cristianità dell'Occidente abbia reso testimonianza a questo dio e non al Dio manifestatosi in Gesù di Nazareth? Se così è, facciamo bene a trovarci tra i discepoli che rimangono scettici e dubbiosi. Almeno fino a quando le Chiese non avranno capito che motivo di scandalo non è parlare duro, ma non saper scorgere nella figura che si avvicina il segno dei chiodi.