LA PAROLA NON SERVE SE NON DIVENTA CARNE E SANGUE
di Luciana Bonadio, Luisa Bruno, Marta Girando
della Comunita' di Base di Pinerolo

Anno A - 2 giugno 2002 - Festa del Corpus Domini
(Dt 8,2-3.14-16; Sal 147; 1Cor 10,16-17; Gv 6,51-58)

Oggi la Chiesa cattolica celebra il Corpus Domini ("Corpo del Signore"), una festa istituita nel secolo tredicesimo. Essa fu celebrata la prima volta nella diocesi di Liegi nel 1246 e Papa Urbano IV nel 1264 la estese a tutta la Chiesa "per confondere la infedeltà e l'insania degli eretici". Questa festa suscitò perplessità ed opposizione nelle Chiese e tra i teologi: infatti nella Scrittura non si parla mai di adorare il pane eucaristico, ma di mangiarlo. Nel 1314, papa Clemente V dovette intervenire d'autorità per fare applicare tale decreto.
Il linguaggio del capitolo 6, 51-58 del Vangelo di Giovanni, letto soprattutto nel contesto della festività del Corpus Domini, può indurre un'interpretazione sacramentale del testo, una lettura possibile ma non la sola. Vorremmo esporre qui alcune nostre riflessioni nate dalla lettura di questo brano.
Il sangue era ritenuto dagli ebrei la sede della vita. La carne era l'esistenza dell'uomo e della donna con tutti i suoi limiti e le sue debolezze. L'invito di Gesù a mangiare il suo corpo e a bere il suo sangue, può essere letto come la possibilità che ci è offerta di entrare in profonda comunione di pensieri e di vita con Gesù, di esperimentare la sua presenza nel nostro cammino, di ispirarci a lui nelle nostre scelte. Chi segue Gesù entra "nel suo corpo e nel suo sangue", cioè entra nella sua sorte, nel suo cammino storico. Gesù invita noi tutti/e ad intraprendere il suo stesso percorso, facendoci trasformare dalla sua esistenza e dal suo modo appassionato con cui avvicinava le persone e si rivolgeva a Dio; riceviamo dunque il dono e l'impegno di essere anche noi testimoni di Dio attraverso l'amore.
Nelle parole di Gesù, pur in un linguaggio intriso di espressioni cultuali e di significati simbolici caratteristici di Giovanni, si scorge la consapevolezza di aver intrapreso un cammino segnato da relazioni di amore verso il prossimo, fino a mettere in gioco la sua stessa vita.
Consapevole di aver ricevuto da Dio il dono della vita e ancora di aver ricevuto da Lui la spinta ad essergli testimone, Gesù non si è risparmiato, ha vissuto intensamente e concretamente nell'ottica dell'amore e del dono. Tutto il suo cammino è costellato di atti di generosità: le innumerevoli relazioni con uomini e donne che ha incontrato sono stati momenti in cui Gesù ha regalato la sua amicizia, la sua fiducia in Dio dando coraggio e forza nel trasformare anche le vite più disperate in cammini coraggiosi e consapevoli del senso della vita.
Mettere la propria vita nell'ottica del dono è una modalità che noi donne, sentiamo di aver intrapreso e sperimentato: da sempre, il corpo e il sangue sono realtà che significano vita, azioni concrete di attenzioni e cura. Non sempre è stata tuttavia una scelta e non sempre è stata accompagnata dalla consapevolezza di un cammino realizzato coscientemente. Spesso strutture culturali, sociali e politiche rigide e patriarcali ci hanno relegate in ruoli di "servizio", ma in una condizione che niente ha a che fare con la scelta di un cammino nell'ottica del dono consapevolmente ricevuto e gioiosamente vissuto.
Spendendoci per una scelta d'amore, il nostro corpo comunica il gesto, il servizio e l'attenzione per un altro corpo, per la moltitudine di "corpi" della natura. Noi siamo ciò che mangiamo e non c'è gesto di amore se non ci nutriamo di esso.
"Mangiare e bere" è il linguaggio del nutrimento. Procurare il cibo, occuparsi del nutrimento e della cura in ogni suo aspetto è un compito che le donne assolvono da millenni.
La Bibbia usa spesso il linguaggio del nutrimento per comunicarci l'amore e la sollecitudine di JHWH. Dio nutre giorno dopo giorno il suo popolo nel deserto con la manna e le quaglie ("Il pane disceso dal cielo" Esodo 16), lo disseta facendo sgorgare acqua dalla roccia; nutre il profeta Elia presso il torrente Cherit (1Re 17). Nel Terzo Isaia cap. 66, la cura di Dio per il suo popolo è paragonata a quella di una madre che allatta il suo bimbo. Dio ha nutrito Gesù attraverso la Sua Parola, nella preghiera, nella relazione "speciale" di totale fiducia ed abbandono al Padre, nell'incontro con le persone.
Dio continua a nutrirci attraverso la memoria di Gesù. Gesù ci invita a nutrirci di quanto lui stesso è stato, di quanto lui stesso ha creduto.
La lettura, il confronto e la meditazione della Parola, la preghiera personale, lo spezzare il pane durante la celebrazione dell'eucarestia, le relazioni con le persone e con la natura non improntate al possesso ma al dono (fatto e ricevuto) e all'amore non sono forse un modo con cui Dio nutre le nostre vite?
Solo cercando tutti, uomini e donne, di cogliere il valore e lo scopo dei doni che Dio ci ha dato e ai quali Gesù ha testimoniato di aver attinto a piene mani nel suo cammino storico, possiamo anche noi sentire ed avere il cuore e le mani piene di doni da scambiarci reciprocamente, mettendoci nelle esperienze quotidiane alla sequela di Gesù.