MISERICORDIA E NON SACRIFICIO
di Lilia Sebastiani
Anno A 9 giugno 2002- X Domenica
del Tempo Ordinario
(Os 6,3-6; Sal 49; Rm 4,18 - 25; Mt 9,9 - 13)
* Dottore in Teologia
morale; articolista e conferenziera in materia teologica,
con un'attenzione particolare ai problemi concernenti il
rapporto tra femminilità e sfera religiosa. Fra le
sue pubblicazioni: Morale personale (Piemme 1991);
Tra/Sfigurazione - Il personaggio evangelico di Maria
di Magdala e il mito della peccatrice pentita nella tradizione
occidentale (Queriniana 1992); Donne dei Vangeli
(Paoline 1994)
La proposta di Gesù
ha tutta l'aria di un ordine reciso: "Seguimi!". Diverso
anche in questo dai rabbi ufficiali, non attende che ammiratori
convinti chiedano di poter diventare suoi discepoli; chiama
di propria iniziativa, con assoluta autorità e nello
stesso tempo in modo umano, individualizzato, naturale.
In tutti i casi che conosciamo colpisce la radicalità
dell'invito, l'apparente mancanza di preparazione e di 'trattative'
e la prontezza della risposta. Anche riconoscendo qui il
peso della stilizzazione che caratterizza i racconti evangelici,
non può sfuggire quanto sia inedito lo stile di Gesù.
L'iniziativa è sempre sua e anzi, quando accade che
qualcuno si offra come discepolo con entusiasmo troppo facile
o con imperfetta disponibilità, viene rimandato indietro.
Con un rinvìo che non è rifiuto, ma soprattutto
invito a guardarsi dentro più a fondo, a crescere;
o anche a capire che ci sono diversi modi di essere discepolo.
Troppo abituati all'ascesi tradizionale - innamorata delle
prodezze - e a un'idea di santità spesso diffidente
di ciò che è umano, possiamo ancora restare
sorpresi nello scoprire che Gesù non chiede al discepolo
altro che di seguirlo. Non chiede eroici sforzi, rovesciamento
delle tendenze naturali. È come se risvegliasse una
convinzione e un'energia che il chiamato ignorava di possedere.
Secondo gli evangelisti, Gesù chiama sempre 'per
nome', chiama 'fissando negli occhi'… C'è sempre
in lui qualcosa che attinge le profondità dell'esistenza.
Gesù sente con intuizione certissima quale persona
è capace di sintonia con il suo messaggio. Come lo
avverte, in questo caso, con il non irreprensibile Levi.
Per quale ragione? Per quale merito? Non lo sappiamo. Forse
non ci sono meriti speciali; i discepoli sono persone normali,
non prive - anche dopo la chiamata - di consistenti difetti
umani, su cui i Vangeli ci ragguagliano con una certa spietatezza.
Gesù non va a caccia dei migliori esemplari di umanità
disponibili sul mercato discepolare per reclutarli, almeno
se con "i migliori" s'intendano gli impeccabili. E tuttavia
si sente che la chiamata alla sequela ravvicinata non avviene
a caso.
Quelli che accostano Gesù, se non sono corazzati
da paure o da acritiche certezze o da rifiuti prefabbricati,
intuiscono che in lui c'è la salvezza, o forse che
la salvezza è lui. Chi lo incontra rinasce, nei termini
del Nuovo Testamento. Non è 'pentito', 'corretto',
'aggiustato' sul piano morale, ma proprio nuovo - e misteriosamente
questo diventare nuovo coincide con il diventare pienamente
se stesso. L'incontro, se accolto nel vivo dell'esistenza
e della coscienza, è un evento travolgente, sovverte
la situazione di prima e viene percepito come una sorta
di miracolo, affine ai miracoli di guarigione. Perciò
la similitudine di Gesù: "Non sono i sani che hanno
bisogno del medico…".
A differenza di quanto sarebbe stato fatto in ogni epoca
dai suoi seguaci, Gesù non chiede di mostrare la
sincerità del proposito o l'autenticità della
conversione prima di seguirlo; anche se l'abbandono del
peccato è implicito appunto nella scelta di seguirlo
(e soprattutto, ancora a monte, è frutto dell'averlo
incontrato). La conversione diventa vera e dinamica facendosi
sequela. Non c'è nessuna catechesi, nessuna esortazione,
nessuna accusa o autoaccusa; nessuno sforzo o 'penitenza'
o 'sacrificio'… L'insegnamento è la stessa vicinanza,
l'esserci di Gesù, l'autoaccusa è sostituita
da un'improvvisa crescita nella capacità di guardarsi
dentro. Dinanzi a Gesù "sono svelati i pensieri dei
cuori"; ciò non significa solo che egli capisce quello
che è nel cuore degli altri, ma che ogni persona
dinanzi a lui viene chiamata a una più profonda coscienza
di sé.
Gesù si manifesta come colui che spezza tutte le
catene (quelle degli altri, ma anche le proprie); il suo
amore è attento e lucido, veggente e trasformatore.
È un amore a occhi aperti, il che non vuol dire -
nel senso misero che subito una tale espressione evoca per
le nostre paure e povertà -, un amore imprigionato
negli schemi angusti della razionalità e del buon
senso. Significa guardare gli esseri umani e la loro storia
di errore e di peccato con gli occhi di Dio; un amore che
induce coloro che sono amati a rispondere aprendo a loro
volta gli occhi del cuore.
Il "Seguimi" di Gesù è un comando? Sì
e no. Il comando, buono o cattivo, è un atto che
chiude; il suo invito alla sequela è come aprire
una porta sulla vita. È comunque un vincolo? Difficile
dirlo, proprio perché è una chiamata alla
libertà nel profondo. Sembra che non si possa rispondere
'no' se non negandosi alla libertà.
La ricerca di Gesù va sempre al di là della
stessa esperienza religiosa. La salvezza offerta attraverso
lui non è 'scampo' (dal peccato o dalla morte o dall'ira
di Dio…), ma condivisione della vita divina.
In questo orizzonte acquista un'importanza grandissima la
comunione di mensa, soprattutto nel mondo antico. Mangiare
insieme simboleggia la condivisione di natura, di vita e
di destino. E mangiare con i peccatori, gente impura, anche
solo entrare in casa loro, significa contrarre l'impurità...
in modo automatico. L'inverso non si verifica. Invece nella
nuova economia della salvezza accade piuttosto che si diventa
puri attraverso il contatto con la purità, che non
è una realtà astratta, ma una persona. Gesù
è puro, anzi è il Puro, perché trasmette
le intenzioni e lo stile di Dio con la massima trasparenza
possibile nella vicenda umana. Ma non sempre, come sappiamo,
lo sguardo umano è in grado di reggere la sfida della
trasparenza.
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