CHIAMATI AD AMARE IL MONDO
di Lilia Sebastiani
Anno A - 16 giugno 2002 - XI Domenica del
Tempo Ordinario
(Es 19,2-6; Sal 99; Rm 5,6-11; Mt 9,36-10,8)
* Dottore in Teologia
morale; articolista e conferenziera in materia teologica,
con un'attenzione particolare ai problemi concernenti il
rapporto tra femminilità e sfera religiosa. Fra le
sue pubblicazioni: Morale personale (Piemme 1991);
Tra/Sfigurazione - Il personaggio evangelico di Maria
di Magdala e il mito della peccatrice pentita nella tradizione
occidentale (Queriniana 1992); Donne dei Vangeli
(Paoline 1994)
Gesù parla al cuore;
è un'espressione spesso fraintesa in modo parziale
e sentimentale, ma nella Scrittura il cuore allude alla
totalità interiore dell'uomo che sente e che vuole,
è il vero centro decisionale dell'essere umano. Non
invita i suoi discepoli ad apprendere meglio una tradizione,
una dottrina o dei precetti di comportamento; esige nello
stesso tempo molto meno e molto di più. Annuncia
il Regno di Dio come realtà prossima, e ai suoi chiede
un coinvolgimento immediato e totale in questa nuova realtà.
Nel suo annuncio si parla più del presente che del
futuro; o meglio, è il presente di Dio che porta
la garanzia del futuro di Dio.
In molti casi, il primo sentimento suscitato da lui è
lo stupore.
La scelta di seguire Gesù si inserisce nella nuova
legge dell'amore liberante e creativo; chi lo segue, attraverso
la comunione con lui, diventa una 'persona di comunione'.
In questa logica il discepolo comincia ad avere una più
compiuta conoscenza di se stesso, della propria chiamata,
nell'atto stesso in cui comincia a progredire nella conoscenza
del mistero di Gesù, che è essenzialmente
una condivisione di esperienza dall'interno.
Gesù non ha lasciato un sistema di pensiero compiuto,
non ha offerto formule, ma ha posto dei segni, incompleti
come sempre lo sono i segni, luminosi ma sempre avvolti
di qualche oscurità.
Di solito Gesù non si esprime in astratto e in linea
di principio, ma reagisce alle varie urgenze e debolezze
(e fraintendimenti e colpevoli sordità) che lo interpellano.
Non emana precetti, ma si appella al 'cuore' - noi potremmo
dire alla coscienza, se non fosse che il cuore biblico è
molto più integrale della nostra idea di coscienza,
ed è veramente "di carne", per usare le parole di
Ezechiele. Non dice molto sul peccato, ma lo smaschera e
lo combatte. Non gode di una miracolosa preveggenza relativa
a quanto lo aspetta, ma è in ascolto costante della
voce di Dio. Non è un deus ex machina che
rimetta a posto il mondo in un colpo solo; non ignora neppure
la crisi, la delusione e la sconfitta, e queste realtà
umane sono associate, attraverso lui, all'opera di redenzione.
Non vuole fare il taumaturgo di professione, non vuole affidare
il proprio essere messia al facile successo di folla, ma
risana gli infermi per mostrare che l'annuncio del Regno
è dono gioioso e liberante. Alla gente che incontra
non fa discorsi su Dio, ma glielo pone di fronte; non dice
mai come è Dio 'in sé', ma rivela come agisce
nei riguardi degli esseri umani. Non crea una nuova istituzione
religiosa, ma chiama uomini e donne a seguirlo, a condividere
prima la sua vicenda per continuarla poi.
Gesù pone, si direbbe oggi, il 'problema del senso'
della vita umana. Va anche oltre, in un modo inedito e sconvolgente:
lega il senso della vita umana alla propria persona, al
proprio messaggio. La sequela, sia per noi oggi, sia per
coloro che percorrevano con lui le strade della Galilea
e della Giudea nei giorni della sua vita terrena, prima
ancora che condivisione degli scopi, è legame con
la sua persona e il suo evento. Un legame globale, esistenziale,
che modifica profondamente l'essere umano che accetta di
aprirsi in questo senso; un legame che rende capaci di autonomia
e responsabilità (è per questo che oggi si
tende a preferire il concetto e il termine di 'sequela'
a quello di 'imitazione', più diffuso in passato,
che mantiene sempre una certa connotazione estrinseca e
volontaristica).
La scelta di seguire Gesù si inserisce nella nuova
legge dell'amore liberante e creativo, fa in modo che il
seguace diventi una 'persona di comunione'.
In questa logica di amore, il discepolo comincia ad avere
una più compiuta conoscenza di se stesso, della propria
chiamata 'in situazione', nell'atto stesso in cui comincia
a progredire nella conoscenza del mistero di Gesù,
che è essenzialmente una condivisione di esperienza
dall'interno.
La sequela non appiattisce ma sprigiona l'originalità
personale. Nella sequela autentica non esistono rapporti
astratti e anonimi.
In Gesù di Nazareth vi è qualcosa di abbastanza
inedito per un rabbi, per una guida spirituale, anzi per
uno che rivendica un rapporto unico con Dio: ed è
che nei suoi rapporti con quelli che incontra non si limita
ad essere il Maestro, il Profeta, il salvatore messianico.
È interlocutore. E quelli che vengono a contatto
con lui non sono oggetti da salvare (o da istruire, o da
correggere, o da beneficare…): sono interlocutori. Sono
persone intere che Gesù prende in considerazione
nella loro interezza e accoglie nelle loro caratteristiche
umane, non solo in quegli aspetti che possono essere promettenti
per la sua opera. E dall'incontro scaturisce il germe di
una comunione più vasta, tendenzialmente illimitata
e universale.
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