UNA CHIAMATA IRRESISTIBILE
di Lilia Sebastiani

Anno A - 30 giugno 2002 - XIII Domenica del Tempo Ordinario
(2Re 4,8-11.14-6; Sal 88; Rm 6,3-4.8-11; Mt 10-42)

Che cosa si stabilisce fra Gesù e chi viene chiamato da lui? È un fatto che avviene nell'intimo e coinvolge le intenzioni di Dio, pertanto è difficilmente esplorabile, e i Vangeli non approfondiscono il dato psicologico; ma si ha l'impressione di una chiamata irresistibile, più forte di ogni considerazione giudiziosa, prudente e conformista; più forte dell'abitudine e dei vincoli riconosciuti, più forte della tradizione e degli interessi…
L'evento di Gesù, allora come oggi, è chiamata per chi lo incontra nel cammino dell'esistenza. Infatti chiamata non è solo il fatto episodico per cui Gesù incontra qualcuno e gli dice "Seguimi". Non 'reclutamento', non semplice incarico, ma apertura al nuovo, la chiamata di Gesù è anche appello alla libertà personale. Perciò esige tra l'altro la capacità di liberarsi da ogni forma acritica di legame collettivo: in primo luogo dal legame familiare, il cui peso è così forte, sociologicamente e psicologicamente, in tutti i tempi e in tutte le culture, ma al tempo di Gesù più ancora che nel nostro.
È per questo che più volte nei Vangeli Gesù mostra una notevole durezza nel relativizzare l'importanza del legame di sangue, mostrando come l'unico legame che veramente conta nella logica del Regno sia quello del rapporto discepolare.
Non si parla qui dell'affetto; è una cosa molto diversa, e Gesù non chiede di rinunciare agli affetti (semmai di potenziarli, illuminandoli dall'interno). Non chiede di amare 'tutti nello stesso modo', con quell'amore fervidamente generico e impersonale, tanto simile all'anonimato che opacizza e svuota i rapporti sociali. Non chiede quella cosa indefinibile che nella tradizione della Chiesa si chiamerà "cuore indiviso", e che di solito conduce ad amare di tutto cuore solo se stessi, nei casi più semplici, e a odiare il prossimo come se stessi nei casi patologici. Gesù stesso, modello supremo di un amore senza limiti, ha delle persone più vicine e più care al suo cuore. Il suo esempio non è quello di un cuore indiviso: semmai quello di un cuore dato senza misura, con un amore infinitamente personale e perciò differenziato.
Ma sappiamo, anche attraverso il suo esempio e il suo stile, che avere affetto profondo e sano per qualcuno significa volere la vita piena e la libertà dell'amato.
A differenza dei maestri che appoggiano il loro insegnamento sull'autorità della Torah, e anche dei profeti che si rifanno alla rivelazione ricevuta da Dio, Gesù parla a titolo personale. Non invita i suoi discepoli ad apprendere meglio una tradizione, una dottrina o dei precetti di comportamento; esige nello stesso tempo molto meno e molto di più. Annuncia il Regno di Dio come realtà prossima, e ai suoi chiede un coinvolgimento pieno e immediato in questa realtà. Perciò la sequela non può conciliarsi facilmente con il proseguimento della vita precedente, ma questo più 'dentro' che fuori; i discepoli dovranno sapersi rendere liberi, oltre che rispetto alle normali preoccupazioni della quotidianità, rispetto a tutto quanto può costituire ostacolo, anche agli affetti più cari e legittimi, ai legami consacrati dalla società e dalla natura, quando essi risultino vincolanti: ma non solo. Si deve saper rinunciare, come ha fatto Gesù, anche a quella specie di superfamiglia patriarcale costituita dall'istituzione o dall'autorità o dalla religione, quando essa minacci di prendere il sopravvento sulla fede.
Seguire Gesù significa rendersi liberi rispetto agli schemi terreni. Chi accetta di farsi suo seguace si trova quasi naturalmente ad abbandonare il suo stato di vita e le sue scelte di prima; almeno in parte, anche la famiglia; né dai Vangeli si ricava che, per questo, qualcuno abbia attraversato crisi esistenziali o affettive. La chiamata di Gesù è totale (non si riferisce a un settore dell'esistenza, ma all'esistenza intera), e mette in gioco tutto il destino del chiamato. Non solo chiamata alta e autorevole, ma chiamata che attrae, fa avvertire che solo in Gesù si trovano la pienezza di vita e di felicità, la scoperta e la conquista di sé.
Per questo la scelta di seguirlo può essere ardua per molte ragioni, ma non si configura mai come un 'sacrificio' nel senso inteso dalla tradizione cristiana nei secoli successivi. Gesù trasmette ai suoi ascoltatori l'incanto della scoperta del Regno. Non invita i suoi a sacrificarsi per meritare una ricompensa ultraterrena; li invita a scoprire il fascino del Regno. E tuttavia, anche se affascina e scuote, anche se cambia profondamente l'esistenza di coloro che incontra, Gesù non 'ipnotizza', ma interpella. E solo nella libertà è possibile rispondergli.