UNA PROMESSA CHE HA DELL'INCREDIBILE
di Lidia Maggi*
L'autrice è
pastora della Chiesa Evangelica Battista in servizio a Milano.
Si occupa di ecumenismo e pastorale alle persone recluse.
È responsabile del settore Diritti Umani delle Chiese
Battiste Italiane. È tra gli autori del Dizionario
Biblico per ragazzi "Navigare nella Bibbia", Claudiana-Elledici
2001.
Anno A - 3 febbraio 2002 - IV Domenica del
Tempo Ordinario (Sof 2,3; 3,12-13; Sal 145; 1Cor 1,26-31;
Mt 5,1-12)
Una parola alta
di fronte alla quale si ha la sensazione di cogliere l'essenziale
della vita evangelica. Essa mette il dito nelle domande
decisive dell'esistenza e ci sollecita una risposta. Perché
siamo qui? Qual è davvero il centro irrinunciabile
della nostra fede? Non il contorno, ma il cuore. Abbiamo
perso l'ingenuità delle identità a tutto tondo,
sappiamo delle nostre frammentazioni, della parzialità
che investe anche i linguaggi forti; e tuttavia quando ci
ritroviamo da soli con noi stessi, quando non siamo sotto
la pressione di dover vendere il nostro curriculum ad altri,
ma possiamo fare un bilancio e valutare la consistenza della
nostra vita, forse riusciamo ad osare le domande ultime,
quelle che coinvolgono la felicità, i desideri profondi
di pace, giustizia, ci mettiamo alla ricerca della strada
per il Regno.
Ecco una parola che invita ad alzare lo sguardo dal basso,
dal penultimo, dal relativo verso l'alto, l'ultimo, il definitivo…
E, tuttavia, scopriamo nello stesso annuncio
una parola muro,
perché non si può facilmente vivere. Essa
emana sì fascino; oppone tuttavia resistenza al punto
da nascondere la visione e risultare spesso più che
un cartello indicatore di direzione uno stop, un sentiero
interrotto. Quello che l'Evangelo ci ha indicato come meta
radiosa, la storia la rivela come strada sdrucciolevole.
Una parola dura, una parola contro, che denuncia tutta la
nostra incapacità di incarnare nella nostra vita,
nella nostra storia questa speranza. Essa solo all'apparenza
è lampada che illumina il cammino. Più facili
sono i nostri cortocircuiti, ogni qualvolta proviamo ad
illuminare con questa parola le nostre storie.
Come non rimanere schiacciati da tale pesantezza?
Muro per i credenti, ancor più pericolosa per coloro
che da questa parola sono giudicati beati. Per costoro,
infatti, essa è
una parola paludosa.
Facile affogare. I poveri, i mansueti, gli operatori di
pace, gli affamati di giustizia, i perseguitati, le persone
in lutto si sentono davvero felici, beati? Come si
autocomprendono?
Non rischiamo di vendere loro vetro per diamante? Noi annunciamo
loro che nel Regno hanno un posto di privilegio (fragile
promessa di cristallo contro la durezza della storia!);
tuttavia, noi, i discepoli seduti in ascolto e che, udendo
queste parole alte, guardiamo la folla, non riusciamo a
credere a questa promessa. Troviamo incredibile ciò
che annunciamo…
Ma chi sono i beati oggi, chi sono coloro che si possono
considerare felici?
Una parola soggetta al sospetto, sporcata, usata per consolare,
per rassicurare piuttosto che per ridare dignità.
Una parola addomesticata
Un discorso che sarebbe indecente, irriverente, inopportuno,
se preso alla lettera. Ci ha soccorso nei secoli una lettura
metaforica, che ha spiritualizzato ed anche spento il contenuto
incandescente.
L'ha resa utopia irrealizzabile, parola elitaria, diretta
solo ai discepoli e non per tutti i credenti, annuncio da
ascoltare in differita, nell'al di là. Così
addomesticata, risuona nelle nostre chiese, le quali, in
realtà, vanno in direzione opposta. È come
se, pronunciando queste alte parole, contemporaneamente
strizzassimo l'occhio per rassicurare chi ci ascolta che
neppure noi ci crediamo veramente.
Una parola aperta
non definitivamente chiusa dai nostri tradimenti. Essa rimane
parola aperta al futuro, non ancora realizzata. Fortunatamente
essa è fuori dal nostro monopolio, dalle nostre confessioni,
perché qui gli abitatori del regno non hanno qualifiche
ecclesiali. Una parola laica sotto quest'aspetto. Che ci
invita a superare i luoghi comuni e le semplificazioni tipiche
di chi, appartenendo ad una chiesa, guarda alla storia con
occhi confessionali.
Nonostante i ripetuti tentativi di rinchiudere la parola
delle beatitudini in confini ristretti, essa sfugge alla
cattura e continua a soffiare dove vuole, aprendo la nostra
drammatica storia a speranze inedite.
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