SEMINATORI DISTRATTI
di Maria Gloria Ladislao

Anno A - 16 luglio 2002- XV Domenica del Tempo Ordinario
(Is 55,10-11 Sal 64 Rom 8,18-23 Mt 13,1-23)

Nel capitolo 13 del Vangelo di Matteo sono contenute diverse parabole sul Regno dei Cieli. La prima di queste, conosciuta come la parabola del seminatore, seguita da un dialogo dove i discepoli chiedono a Gesù il perché delle parabole e Gesù spiega l'allegoria della parabola del seminatore.
Che succede quando Gesù parla in parabole? Per quelli che hanno già familiarità con il Vangelo, è difficile che la parabola dica qualcosa di nuovo. Abbiamo secoli di spiegazioni delle allegorie che hanno già fissato un unico senso della parabola. È necessario fare lo sforzo di spogliarsi di tutto questo bagaglio ed "entrare" nel mondo della parabola, che non sempre è così evidente come appare. Nel caso di questa parabola, ad esempio, un abitante della città non si porrebbe mai la domanda, al contrario se la porrebbe un uomo della terra che vive del proprio raccolto. Come mai un contadino sperpera la semente buttandola al bordo della strada? Perché dovrà lasciarla cadere nel terreno pietroso, senza aver preparato la terra? Questo è un primo livello di comprensione: cogliere "di che parla" la parabola, primo livello nel quale non sempre ci soffermiamo perché conosciamo già "la spiegazione".
In seguito viene l'altro livello, il salto di comprensione necessario per vedere nella parabola un'altra realtà. Questo è quello che indica Gesù utilizzando le parole di Isaia. Si può vedere senza capire, si può vedere e continuare a negare quel che succede. Anche per la profezia di Isaia vale quel che si dice della semente: si deve vedere dove cade per sapere ciò che accadrà.
Qualcosa che incuriosisce in questa parabola è che è l'unica del cap. 13 di Matteo nella quale Gesù non è tanto ottimista. Nelle altre Gesù afferma che il grano germoglierà al di sopra della zizzania, il grano di senape crescerà, il lievito fermenterà la massa, la rete uscirà dal-l'acqua piena di pesci. In quelle parabole Gesù si lascia trasportare dall'ot-timismo che gli provoca la fiducia in suo Padre. Ma in questa no. Così come Gesù si accerta e sperimenta che Dio sta attuando il Regno, si accerta anche che per quelli che non vogliono entrare nel Regno tutta la parola di salvezza resta incomprensibile.
Pochi giorni fa osservando la critica situazione in cui ci troviamo, un vescovo argentino disse (non ricordo esattamente le parole ma questo è il senso): "Se in Argentina siamo arrivati a questa situazione è anche perché come Chiesa non abbiamo annunciato bene il Vangelo".
Come Chiesa, voglio guardarmi e guardarci sotto questa prospettiva. Non vorrei arrivare alla triste conclusione che è da 500 anni che in Argentina la Chiesa sperpera la semente del Vangelo lasciandola cadere qua e là. Con questo non voglio dire che bisogna selezionare i destinatari dell'evangelizzazione soltanto per evangelizzare lì dove avrà esito. Come avremmo annunciato la parola in vista del fatto che tanti avrebbero preferito le spine e l'erba cattiva alla buona semente?
Insieme a questa autocritica come Chiesa non si può negare che tra di noi ci sono troppi cuori di pietra. Che paradosso un Paese di terra fertile pieno di terreni sassosi! A questo punto della situazione, non solamente cuori ma anche facce di pietra ("facce di bronzo" come chiamiamo qui coloro che senza vergogna commettono il male e vogliono giustificare il loro operato). Sì, troppi cuori di pietra. Ed è penoso verificare il fatto che molti di loro hanno conosciuto la Parola. La maggior parte della nostra classe dirigente è stata educata in collegi cattolici, la maggioranza continua a professare la fede cattolica. Hanno udito senza intendere, hanno guardato senza vedere? Dolorosa coniugazione: terreni troppo sassosi e seminatori sbadati.