L'ALLEGRIA DEL REGNO
di Maria Gloria Ladislao

Anno A - 28 luglio 2002 - XVII Domenica del Tempo Ordinario
(1Re 3,5.7-12; Sal 118; Rm 8,28-30; Mt 13,4-52)

La parabola parla del Regno nel suo aspetto più gratuito e sorprendente: all'improvviso uno se lo ritrova lì. Una scoperta cui viene subordinato tutto il resto nella vita. Questa parabola lo presenta così: il Regno è lì con la sua ricchezza, il suo splendore e la bellezza del suo essere "tesoro" e "perla". Il valore intrinseco non gli viene dallo sforzo umano, perché il Regno in se stesso è così prezioso e desiderabile.
Questo produce tanta gioia. Trovare gratuitamente qualcosa di prezioso nella propria vita; la cosa più preziosa, come giudicò l'uomo della parabola, al punto di potergli subordinare tutto il resto. La gioia della scoperta lo mosse: andò, vendette, tornò e comprò. Tutta una serie di azioni, un dinamismo, motivato da quest'incontro e, in ultima analisi, dalla gioia che quest'incontro gli produsse.
Al di fuori del linguaggio della parabola, i termini tesoro, andare, vendere, si riscontrano in un altro passaggio del Vangelo: il giovane ricco (Mt 19, 16-22). Lì, come nella parabola, la chiave sta nel vendere tutto per avere un tesoro più grande. Però, a differenza dell'uomo della parabola, il giovane ricco non era disposto a tanto. Che finale desolante! Se ne andò rattristato. Fa dolore la tristezza del giovane; sarebbe più bello, invece, essere contagiati dall'entusiasmo dell'uomo della parabola.
La gioia per il Regno si produce se possiamo viverlo come dono, opera di Dio che non è dipesa dal nostro sforzo. Partendo da questo sentimento di gratuità, non ci rimane che incamminare la nostra vita verso la presenza effettiva del Regno. Regno che in sé stesso ha tutta la ricchezza di un tesoro di cui godere.
E qui sorgono un paio di domande.
La prima: Vendere tutto per il Regno?
Nella parabola, vendere può significare tante cose, fondamentalmente essere capace di orientare tutte le azioni verso il Regno.
Si dice che in questi tempi gli interessi degli esseri umani si circoscrivono ogni volta di più nell'ambito privato e individuale. Si dice ancora che gli ideali non sono più così forti da far sì che qualcuno sia capace di vendere qualcosa o subordinarlo ad una causa maggiore. Non ho gli elementi sufficienti per analizzare la società e giudicare se le cose stanno veramente così. Voglio solamente osservare la mia Chiesa. Anche per noi forse si è persa la dimensione di quale sia il tesoro più prezioso? C'è un ambito ecclesiale al quale mi dedico in particolare: la catechesi e l'insegnamento religioso.
Nell'Episcopato nazionale argentino, tra tutte le riforme educative e i nuovi lineamenti per la catechesi, abbiamo avuto un lungo periodo per ripensare alle pianificazioni, alle strategie pedagogiche, all'identità della catechesi scolastica, ecc. E ogni tanto è necessario fermarsi e valutare nuovamente se queste "ricchezze" non ci distolgono dal valore del tesoro autentico. È possibile tuttavia che siamo alla ricerca solo dei titoli cattedratici e di livello pedagogico - assolutamente necessari certo! -, senza però sapere per cosa. Non sarà che forse stiamo assolutizzando tali questioni per un posto nel collegio o per il prestigio dell'istituzione e che tutto questo non tenda ad allontanarci dalla vera essenza del Regno?
Ed insieme a questa domanda, la seconda: dov'è la gioia?
L'uomo della parabola si rallegrò tanto per il tesoro che nessuna azione gli parve eccessiva. Il giovane ricco se ne andò rattristato. La tristezza non è segno di appartenenza al Regno. E se il Regno comincia qui, perché rendere eterna la tristezza nel tempo?
Ringrazio Dio per le cristiane e i cristiani gioiosi che conosco! Quel che vedo è che non solo hanno trovato un tesoro, ma dispongono anche di una sapienza immensa e quotidiana per goderselo. Vivono nel dinamismo di sapere dove vanno, e non piangono quando devono vendere qualcosa per il Regno. La fiducia che hanno nel tesoro è d