SE IL "MIO" PANE DIVENTA NOSTRO
di Maria Gloria Ladislao

Anno A - 4 agosto 2002 - XVIII Domenica del Tempo Ordinario
(Is 55,1-3 Sal 144 Rm 8,35.37-39 Mt 14,13-21)

L'ambiente in cui si sviluppa questa scena lo conosciamo per bocca dei discepoli: "Il luogo è disabitato e l'ora è già passata". Passata per cosa? Se era al tramonto, era già passata sicuramente l'ora per la cena. I discepoli, con tanta gente intorno, sono preoccupati per l'ora tarda. Probabilmente, per la loro cena. Il luogo è disabitato. A chi ricorrere? Noi siamo pochi, presto sarà notte e dovremo camminare al buio, più lentamente e per di più affamati. La soluzione proposta dai discepoli è congedare la gente e che ciascuno di loro vada pure a comperare qualcosa da mangiare. Dopo aver seguito Gesù, è giunto il momento di congedarli e che ciascuno risolva il problema del mangiare con i propri mezzi.
Ma Gesù non congeda la gente, al contrario, fa in modo che questa rimanga e si accomodi sull'erba. Condivide ciò che c'è da mangiare. In questo modo, i discepoli passano dal considerare la gente come problema o come intralcio ai propri piani - la propria cena - al collaborare in modo che tutti possano mangiare. "Mangiarono tutti", dice il testo, e ovviamente in questo tutti ci sono anche i discepoli. Nel luogo disabitato, senza nessuno a cui ricorrere, tutti e tutte, quelli che siamo qui, mangiamo ciò che abbiamo e siamo saziati.
E solo dopo, Gesù - non i discepoli - congeda la gente.
Nell'iniziare il racconto i discepoli vogliono infatti che Gesù congedi la gente per far sì che ognuno provveda per sé al proprio pasto. Dopo aver condiviso il cibo con tutti - dopo che mangiare non è stato un atto individualista per cui ciascuno ha tirato fuori le sue monete e comprato il suo pane, ma si è trattato di mettere insieme di fronte a Gesù quel che avevamo - allora sì, il Maestro non ha problemi a congedare le persone. Gesù aveva guarito i loro malati e aveva saziato la loro fame. E la cosa più importante: non le aveva lasciate alla mercé delle loro scarse possibilità individuali. Non aveva permesso che ciascuno comprasse il cibo che poteva permettersi, come era desiderio dei discepoli. Gesù era lì perché tutti e tutte, i discepoli, cinquemila uomini, donne e bambini, mangiassero insieme.
Come membro di questa società, come professoressa universitaria, con il mio lavoro e le mie risorse - nonostante le scarse possibilità economiche offerte oggi dall'Argentina - ho i mezzi necessari per andare a comprare il mio cibo. Per cercarmi un rifugio in questo luogo disabitato e procurarmi l'alimento. La questione è che con le transazioni commerciali si calma la fame, ma lo spazio continua ad essere disabitato: mi compro il mio cibo e lo mangio nella mia casa. Credo che come cristiani non possiamo continuare soltanto a denunciare che questa società neoliberista è individualista, mentre continuiamo a contagiarci e confonderci con essa.
Come discepola, a volte sento il "disagio" che la cena che ho comprato con il mio denaro giunga invece in ritardo per gli altri. La tentazione di rimediare la cena per me, per mio marito, per il mio gruppo, e lasciare che gli altri si arrangino con i loro mezzi, è forte. Che siano loro ad andare a comprare la loro cena da un'altra parte. La trasformazione dei discepoli in questo testo è radicale: dal voler togliersi il problema di dosso, passano a dare quel che hanno e a collaborare nella distribuzione. Con ciò si è risolto anche il problema della loro cena.
Delle molte letture che si possono dare di questo testo vorrei sottolinearne una. Quella di un Vangelo che, come parola del Signore, ci assicura che la soluzione non è sempre lasciare che ciascuno si arrangi come può. Che ci sprona costantemente a credere che è meglio mangiare insieme ad altri. Che le scarse possibilità individuali possono risolvere il problema se non ci disperdiamo. Che qualunque luogo disabitato e inospitale può convertirsi in uno spazio di relazioni. Che mettere i propri pani in comune non mi obbligherà a rinunciare alla mia cena, ma, al contrario, la trasformerà in un banchetto condiviso e in una festa.