Anno A - 15 settembre 2002 - XXIV Domenica
del Tempo Ordinario
(Sir, 27,30-28,7; Sal 102; Rm 14,79; Mt 18,21-35)
"Signore, quante volte dovrò perdonare al
mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?
" (Mt 18,21-35)"
Ancora una volta dobbiamo ringraziare
Pietro per questo soffermarsi di Gesù su come debba
essere il nostro rapporto con i fratelli. Dobbiamo perdonare
non fino al massimo ipotizzato dalla Legge, ma infinite
volte. Non sette volte, ma settanta volte sette, comanda
Gesù. E poi, quasi per assicurarsi di essere stato
ben capito, si mette a raccontare un lunga parabola che
introduce con un familiare A proposito… Sapeva, Gesù,
che non era facile farsi capire da quel gruppetto di persone,
piene di buona volontà ma ancora troppo lontane dal
suo modo di pensare e di essere. A proposito… Sembra
di vedere un sorriso sul volto di Gesù. Che si debba
perdonare chi ci ha offeso è ovvio, dato che il Padre
è sempre disposto a perdonare le nostre colpe. È
una pagina di vangelo che non ha bisogno di spiegazioni.
Però ha in sé un problema che si annida dentro
di noi e che talvolta ci fa sentire a disagio. È
adombrato nell'enormità della somma che il padrone
impietosito condona al primo servo e che fa risaltare quanto
sia grave il comportamento di chi, avendo ricevuto un gesto
di così grande misericordia, non riesce a condonare
un piccolo debito. La domanda è questa: Signore,
ma siamo proprio tanto, tanto, tanto peccatori?
Guardo uno qualsiasi di quegli enormi palazzi di periferia
dove vivono senza conoscersi migliaia di persone; pigiate
nei mezzi pubblici, intasate nel traffico, vanno ogni giorno
al lavoro. Ogni giorno alzano la serranda del negozio, fanno
fronte agli impegni, a volte facilmente, spesso con fatica;
insegnano, lavorano negli uffici, fanno il loro mestiere.
Hanno una famiglia, dei figli - pochi perché la vita
non consente di più - ; hanno le loro poche gioie
e le loro tante preoccupazioni. Non sono dei santi, ma,
Signore, la maggioranza di loro, che male fa? Che male facciamo?
C'è tanto male nel mondo, ma c'è anche tanto
bene; e soprattutto c'è la gente comune, con i suoi
sbagli, con i suoi limiti, con un cuore di uomo. Perché
il nocciolo del problema, Signore, è questo: siamo
uomini, non angeli. Certamente, di fronte alla santità
per essenza che Tu sei, anche una piccola macchia è
qualcosa di enorme; ma è il nostro limite di creature
umane che ci fa cadere. Signore, te lo dico prostrata a
terra, ma con tutta sincerità: non siamo stati noi
a farci così. Tu sei il Creatore, noi le creature
fatte da te.
Tutta quella gente in metropolitana: quanti ti conoscono?
Quanti ti ricevono nell' eucarestia? Signore, ma chi ha
fatto loro conoscere Te e il tuo vangelo? Quel lontano prete
dell'ora di religione a scuola, che era molto meglio non
ci fosse stata? Che cosa conoscono di Te, se non il volto
del loro parroco, così com'è, o qualche omelia
noiosa e incomprensibile; o una serie di divieti snocciolati
come se il tuo messaggio fosse costituito soltanto da quei
non si può? Che rapporto può avere
con il tuo mondo, con la gente, con la natura, un bambino
che nasce e cresce in due stanze di quei casermoni, senza
poter conoscere il senso della comunità, senza poter
sapere che cosa sia vivere (e non "avere" che è ben
altra cosa) con un gatto o un cane, conoscendo delle infinite
creature vegetali da Te create, solo il vaso di basilico
sul davanzale della cucina? Un bambino sommerso fin dalla
nascita da oggetti fasulli di plastica, intossicato da immagini
e modelli vuoti e artificiosi che per ore ed ore riempiono
con la TV la sua infanzia? E come può capire le tue
parole: Beati coloro che hanno spirito di povero
un uomo che vive in una società dove il successo
economico indica il valore della persona?
Signore, siamo peccatori perché non ti conosciamo?
E se non ti conosciamo, di chi è la colpa? Non
ho nessuno che mi immerga nella piscina, Signore… (Gv
5,7).
|