L'IPOCRITA OBBEDIENZA
di Letizia Tomassone*
* pastora valdese,
opera attualmente nella città di Verona. Impegnata
nel dialogo ecumenico ed interreligioso, ha diretto negli
anni '90 il centro ecumenico di Agape. Fra i suoi ultimi
contributi si possono ricordare: La parzialità
di Dio, in "I molti nomi di Dio", Il Segno dei Gabrielli
ed., Verona 2000; "Ascolta la voce di Sara". La genesi
delle madri di Israele, in "Leggiamo la Scrittura" Genesi
ed Esodo", La Porta, Bergamo 2002.
Anno A - 29 settembre 2002 - XXVI Domenica
del Tempo Ordinario
(Ez 18,25-28; Sal 24; Fil 2,1-11; Mt 21, 28-32)
Poiché noi amiamo classificare
il mondo con degli schemi chiari, forse inizialmente questa
parabola ci piacerà: c'è un dualismo fra figlio
buono e figlio cattivo che poi semplicemente si rovescia
e tutto diventa chiaro. Ma poi ci accorgiamo che i dualismi
proseguono (voi e loro, prima e dopo, puri e impuri…), e
non proprio nel modo in cui noi vorremmo. Ci accorgiamo
anche che la prima coppia si rovescia per opera di una conversione
che non è simmetrica: la nostra ricerca di chiarezza
viene così frustrata.
Inoltre, nella parabola, noi comprendiamo che Dio rivolge
la sua domanda indistintamente ad un figlio e all'altro:
non fa una scelta a priori, non discrimina il buono dal
cattivo. Il padre dei due figli non giudica il loro comportamento:
resta in attesa, osserva, accoglie. Il giudizio, ognuno
è invitato ad esprimerlo su di sé. L'intento
di Gesù infatti non è quello di darci ulteriori
strumenti per giudicare gli altri. Il suo intento è
solo quello di portarci a guardare noi stessi e a convertirci.
Proprio come il figlio che dice no e poi risponde, e agisce
così in modo irrazionale ed emotivo.
Il parlare di Gesù è forte e scomodante perché
la presenza del regno è tale; perché davvero
pubblicani (ma potremmo tradurre: funzionari corrotti) e
prostitute sono amati da Gesù. Di solito a noi piace
pensare alla conversione dei cattivi soggetti, non sappiamo
riconoscere nella loro esistenza la presenza del regno.
Ma qui la conversione che è in gioco non è
la loro, è la nostra.
Gesù vuole scuotere questi discepoli così
accomodanti, che accettano le sue provocazioni quasi senza
ribattere, ma continuano a stare nel vecchio ordine di pensieri.
Quanti giorni, anni, secoli o millenni saranno necessari
perché i discepoli - quelli di allora e di oggi -
comprendano la necessità e la bellezza della conversione
che è loro offerta?
Gesù aggiunge anche che ci sono vie diverse per comprendere
e credere: parla di Giovanni "venuto a voi per la via della
giustizia". Una via che dovrebbe essere ben comprensibile
a gente abituata ad analizzare e discriminare, a pesare
le azioni e il valore delle persone. Sappiamo che in altre
occasioni Gesù parla di sé stesso e della
propria predicazione come di una via diversa da quella del
Battista: la via della gratuità, dello sguardo di
bambino, della fiducia. Qui non lo fa perché sente
di avere di fronte persone che non riescono ancora ad accogliere
la logica della grazia; forse, la logica del giudizio li
spingerà alla conversione?
La nostra conversione sarà dunque questa: di spostare
lo sguardo da fuori a dentro, dal giudizio sugli altri all'azione
che ci coinvolge in prima persona. Siamo noi il figlio che
dice no e poi invece va? Dobbiamo augurarcelo, perché
dire sì senza far seguire alcun passo è il
peggiore dei tradimenti, è il travestimento del cristiano
esteriore, che lascia scorrere su di sé, senza che
lascino traccia, tutte le parole di Gesù, così
scomode e così inquietanti.
Gesù parla come se il giudizio fosse già avvenuto
e definitivo ("neppure dopo aver visto vi siete pentiti").
Ma il padre della parabola continua a rivolgere la sua domanda
anche al figlio superficiale, ipocrita, pigro, anche al
figlio che per tranquillizzarsi la coscienza dice sì
e poi non si muove: anche a noi, insomma, così tranquilli
nel nostro benessere da aver perso la spinta al pentimento
e alla conversione. Se ci muoveremo solo per la paura del
giudizio o forse per la speranza nella grazia, in ogni caso
saremo usciti da questo vicolo cieco che ci imprigiona per
andare verso la libertà del regno.
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