IL SERMONE SUL MONTE

 dai discorsi di
JOHN WESLEY *


E Gesù, vedendo le folle, salì sul monte;
e postosi a sedere, i suoi discepoli si accostarono a lui.
Ed egli, aperta la bocca, li ammaestrava dicendo:
Beati i poveri in ispirito, perché di loro è il regno dei cieli
".
(Mt 5:1-3)


1. Il Signore era andato "attorno per tutta la Galilea" (Matteo 4:23) da quando "Giovanni era stato messo in prigione"(v.12), non soltanto insegnando nelle loro sinagoghe e predicando l'evangelo del Regno", ma anche "sanando ogni malattia ed ogni infermità fra il popolo". Come conseguenza naturale "grandi folle lo seguirono dalla Galilea e alla Decapoli e da Gerusalemme e dalla Giudea e d'oltre Giordano"(v. 25). E "vedendo le folle", che nessuna sinagoga poteva contenere, "salì sul monte", dove v'era posto per tutti coloro che venivano a lui da ogni parte. "E postosi a sedere", secondo il costume dei Giudei, "i suoi discepoli si accostarono a Lui. Ed egli aperta la bocca (un'espressione che indica l'inizio di un discorso solenne), li ammaestrava dicendo"."

2. Osserviamo chi è Colui che parla affinché possiamo fare attenzione a come ascoltiamo. E' il Signore del cielo e della terra, il Creatore di tutto, il Quale ha il diritto di disporre di tutte le Sue creature. Il Signore, nostro Governatore, il cui regno è eterno, e governa come il grande legislatore, che può ben imporre tutte le Sue leggi, essendo "capace di salvare e di distruggere", di punire con "eterna rovina lontano dalla Sua presenza e dalla gloria della Sua potenza". E' la sapienza eterna del Padre, che sa come siamo fatti e comprende la nostra natura interiore, che conosce qual è il nostro rapporto con Dio, l'un con l'altro, con ogni creatura che Dio ha fatta e, di conseguenza, sa come adattare ogni legge che prescrive a tutte le circostanze nelle quali Egli ci pone. E' Lui che "ama ogni uomo, la cui benignità si manifesta su tutte le opere Sue", il Dio d'amore, il Quale, annichilendo Se stesso della Sua gloria eterna, venne dal Padre per dichiarare la Sua volontà ai figlioli degli uomini e poi tornare di nuovo al Padre. Egli fu inviato da Dio "per aprire gli occhi dei ciechi" e per risplendere su "quelli che sedevano nelle tenebre". E' il grande profeta del Signore, a proposito del Quale Dio stesso aveva solennemente dichiarato tanto tempo prima: "E avverrà che se qualcuno non darà ascolto alle mie parole ch'egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto"(Dt 18:19); o come l'apostolo l'esprime: "Ogni anima la quale non avrà ascoltato codesto profeta, sarà del tutto distrutta di fra il popolo" (Atti 3:23).

3. E qual è il Suo insegnamento? Il Figliolo di Dio, che è venuto dal cielo, ci mostra la via del cielo verso il luogo che ha preparato per noi, la gloria che Egli possedeva già prima della fondazione del mondo. Egli ci insegna la vera via della vita eterna: la via regale che ci conduce al regno, l'unica vera via, perché non ce ne sono altre, tutti gli altri sentieri conducono alla rovina. Dal carattere di Colui che parla siamo rassicurati che Egli ha dichiarato la completa e perfetta volontà di Dio. Non ha pronunciato neanche una sillaba di troppo, null'altro che quanto aveva ricevuto dal Padre. Non ha evitato di dichiarare qualcosa di tutto il consiglio di Dio, neanche ha pronunciato qualcosa di errato o contrario alla volontà di Colui che l'aveva mandato. Tutte le Sue parole sono vere e giuste su ogni argomento e rimangono per sempre.
Possiamo facilmente sottolineare che, spiegando e confermando questi detti veri e fedeli, Egli si preoccupava di confutare non soltanto gli errori degli scribi e dei Farisei, che allora erano i falsi commenti sui quali gli insegnanti giudei dell'epoca avevano pervertito la Parola di Dio, ma anche tutti gli errori pratici che siano deleteri per la salvezza, che sono sempre sorti nell'ambito della chiesa cristiana. Tutte quelle opinioni umane cioè con le quali i cosiddetti insegnanti cristiani di ogni tempo e di ogni popolo sotto il cielo, avrebbero pervertito la Parola di Dio per istruire delle anime ignare a cercare la morte nell'errore della propria vita.

4. In questo testo siamo perciò naturalmente portati anche ad osservare a chi Egli insegna? Non soltanto agli apostoli, se fosse stato così non avrebbe avuto bisogno di salire sul monte. Una stanza nella casa di Matteo, odi qualcuno dei Suoi discepoli, avrebbe potuto contenere i dodici. Né ci sembra che i discepoli che si accostarono a Lui fossero soltanto i dodici. Il termine "i suoi discepoli", senza alcuna forzatura su questa espressione, può essere intesa come: tutti coloro che volevano imparare da Lui. Ma per fugare ogni dubbio e rendere innegabilmente chiaro quanto è detto: "aperta la bocca li ammaestrava", quel "li" include tutte le folle che salirono con Lui sul monte. Dobbiamo osservare i versi conclusivi del capitolo sette: "Ed avvenne che quando Gesù ebbe finiti questi discorsi, le turbe stupivano del suo insegnamento, perché egli le ammaestrava come avendo autorità, e non come i loro scribi".
Né erano soltanto quelle folle a trovarsi con Lui monte, alle quali insegnò la via della salvezza, ma tutti i figli degli uomini, l'intera razza umana; i figli non ancora nati; tutte le generazioni a venire, fino alla fine del mondo, che avrebbero ascoltato le Sue parole di vita.

5. Nemmeno si può affermare che, come alcuni sostengono, soltanto alcune parti questo discorso riguardano tutti gli uomini. Nessuno ad esempio, può negare che quanto Gesù disse a proposito di povertà dello spirito si riferisce a tutta l'umanità. Molti suppongono ancora che altre parti riguardino soltanto gli apostoli, o i primi cristiani, o i ministri di Cristo e non sono mai state intese per la generalità degli uomini, e di conseguenza non hanno nulla a vedere con loro.
Non dobbiamo domandarci, però, a chi Gesù si rivolse, se alcune parti di questo discorso riguardavano gli apostoli, o i cristiani dell'era apostolica, o i ministri di Cristo? Semplici affermazioni non sono prova sufficiente per definire un punto di così grande importanza. Il Signore stesso ha forse mai insegnato che alcuni aspetti di ciò che di non riguardavano l'umanità? Senza dubbio se fosse così Egli ce lo avrebbe detto, non avrebbe potuto omettere una informazione tanto necessaria. Ma ci ha detto così? Dove? Nello stesso discorso? No, nel nostro testo non esiste la benché minima indicazione. Lo ha detto altrove? in qualche altro dei Suoi discorsi? Non una parola, neanche fugace sull'argomento. Non possiamo trovarla in tutto ciò che ha detto sia alle moltitudini che ai Suoi discepoli. Qualcuno degli apostoli, o degli altri scrittori ispirati, ha lasciato forse delle istruzioni scritte? No. Nessuna affermazione di questo genere è stata trovata in tutti gli oracoli di Dio. Chi sono, allora, gli uomini di Dio più sapienti; tanto saggi al di sopra di quanto è stato lasciato scritto?

6. Forse diranno che "la regione si trova nella necessità di stabilire una tale limitazione". Se è necessario, deve esserlo per le seguenti due ragioni: Perché, senza tale limitazione, il discorso apparirebbe o assurdo o in contraddizione con le altre Scritture. Questo, però, non è il nostro caso. Appare chiaramente, quando esaminiamo i molti particolari, che non c'è alcuna assurdità nell'applicazione che Gesù ha presentato a tutta l'umanità. Né si può dedurre alcuna contraddizione in qualsiasi aspetto delle verità che ha dichiarato, neanche con le altre Scritture. No, piuttosto appare che tutte le parti i questo discorso sono applicabili agli uomini in generale, anzi nessuna può esserne esclusa, perché ognuna è connessa all'altra, legata come pietre di un'arcata, dalla quale nessuno può toglierne una senza veder crollare tutta la struttura.

7. Infine, osserviamo come insegna il nostro Signore e Salvatore. Certamente, come sempre ed in particolare in questo caso, Egli parla "come nessuno mai parlò". Non come santi uomini antichi, anche se essi parlarono "mossi dallo Spirito Santo". Non come Pietro, o Giacomo, o Giovanni, o Paolo, essi erano certamente dei saggi maestri, chiamati a collaborare nell'edificazione della Sua Chiesa; ma tuttavia nel grado della saggezza celeste, il servo non è come il suo Signore. Neanche come se stesso in qualsiasi altro tempo o altra occasione. Non sembra che sia mai stato Suo intento in qualsiasi altro tempo o luogo, quello di stabilire tutto insieme l'intero piano della Sua religione o di fornire un completo prospetto del Cristianesimo: di descrivere per intero la natura della santificazione, senza la quale nessuno vedrà il Signore. Alcuni aspetti particolari della santificazione Egli li ha certamente descritti in migliaia di occasioni diverse, ma mai, oltre questa che abbiamo davanti, Egli ha dato, con tale scopo, una visione generale della totalità (della sua dottrina); no, non abbiamo nulla di simile in tutta la Bibbia, a meno del breve sommario sulla santificazione dato da Dio a Mosè in quelle dieci parole o comandamenti, sul monte Sinai. Ma anche in questo caso quanto è grande la differenza tra l'uno e l'altro? "Anzi, quel che nel primo fu reso glorioso, non fu reso veramente glorioso, quando lo si confronti colla gloria di tanto superiore del secondo" (II Cor 3:10).

8. Soprattutto, con quale stupendo amore in questo testo il Figlio di Dio rivela all'uomo la volontà del Padre Suo! Non ci conduce di nuovo "al monte...avvolto nel fuoco, né alla caligine, né alla tenebra, né alla tempesta". Non parla come quando parlava dal cielo allorché l'Altissimo "mandò tuoni, grandine e del fuoco". Ora s'indirizza a noi con la Sua voce sommessa e sottile: "Beati" o anche felici "i poveri in ispirito". Felici quelli che fanno cordoglio, i mansueti, quelli che sono affamati della giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore. Felici nel cammino della vita e fino alla fine. Felici in questa vita e in quella eterna! Come se avesse detto: Chi è colui che desidera vivere e vuol vedere dei buoni giorni? Ecco, vi mostro quello che l'anima vostra desidera!
Rimirate la via che avete ricercato a lungo e invano; la via piacevole, il sentiero che conduce alla calma, alla pace gioiosa, al cielo quaggiù e lassù!

9. Allo stesso tempo, con quale autorità insegna! Sì, dicono: "Non come gli scribi". Osservate il modo (ma non può essere espresso con parole), la delicatezza con la quale parla! Non come Mosè, il servo dell'Eterno; non come Abramo, Suo amico; non come qualcuno dei profeti, né come alcuno dei figli degli uomini. E' qualcosa di superiore alle stesse possibilità umane; più di quanto è alla portata di qualsiasi essere creato! Parla il Creatore di tutto! Un Dio, un Dio appare! Sì, l'Alfa e l'Omega, l'Essere degli esseri, Yahweh, l'Autoesistente, il Supremo, l'Iddio che sopra tutti è benedetto in eterno!

10. Questo discorso divino, pronunciato nel più eccellente dei metodi, infatti ogni parte seguente illustra quella precedente, è comunemente, e non impropriamente, diviso in tre sezioni principali: la prima contenuta nel capitolo cinque, la seconda nel capitolo sei e la terza nel capitolo sette. Nella prima, con le suddivisioni del capitolo cinque, il sommario di tutta la vera religione, è presentato in otto particolari dichiarazioni che sono spiegate e così salvaguardate dalle false interpretazioni dell'uomo. Nella seconda sono espresse le regole per i giusti sentimenti, ai quali bisogna fare la massima attenzione in tutte le nostre azioni esteriori. Separati dai desideri mondani, dalle ansiose sollecitudini, perfino dalle necessità della vita. Nella terza sono riportate delle esortazioni contro i maggiori ostacoli alla vera religione, concludendo con un'applicazione di carattere generale.

11. Prima di tutto Gesù Cristo pone il fondamento di tutta la vera religione con otto particolari dichiarazioni che spiega, per salvaguardare contro le false interpretazioni degli uomini, fino alla fine capitolo cinque. Alcuni hanno supposto che Egli volesse così stabilire i gradi attraverso i quali un cristiano progressivamente avanza nel viaggio verso la "terra promessa" Altri, invece, hanno pensato che tutti i particolari presentati appartengano in ogni tempo a tutti i cristiani. Perché non possiamo accettare l'una e 1'altra applicazione? Quale contrasto c'è tra loro? E' indubbiamente vero che la povertà di spirito come ogni altro aspetto del temperamento umano che è qui menzionato, si trova in ogni tempo, in misura maggiore o minore, in ogni vero cristiano. Ed è ugualmente vero che il cristianesimo autentico comincia sempre con la povertà di spirito e prosegue nell'ordine qui stabilito fino a che "l'uomo di Dio è reso compiuto". Cominciamo con il primo di questi doni divini e tuttavia non lo abbandoniamo; quando siamo chiamati da Dio a salire più in alto, non reputiamo "d'aver ancor ottenuto il premio" perciò protendendoci verso le cose "che stanno dinanzi" proseguiamo "il corso verso la mèta ottenere il premio della superna vocazione di Dio in Cri Gesù" (Fil 3:13-14).

12. Il fondamento di ogni bene è la povertà di spirito perciò Gesù iniziò il Suo sermone proprio da questa beatitudine: "Beati", Egli dice "i poveri in ispirito, perché loro è il regno dei cieli".
Forse il Maestro osservò coloro che Lo circondavano notando che non v'erano molti ricchi, ma piuttosto i più poveri del mondo, prese l'occasione di fare un'applicazione dal concreto allo spirituale. "Beati" disse, (o felici, così potrebbe essere tradotta questa parola, sia qui che nei versi seguenti) "i poveri in ispirito". Egli non afferma che chi è povero per le circostanze della vita sia tanto lontano dalla felicità quanto un monarca sul suo trono. Ma sono "poveri in ispirito" coloro che, quali siano le circostanze contingenti hanno una particolare disposizione del cuore, che il primo passo verso qualsiasi vera e reale felicità, sia in questo mondo che in quello avvenire.

13. Alcuni hanno ritenuto che per poveri nello spirito Gesù volesse indicare quanti amano la povertà; coloro cioè che sono liberi dalla cupidigia, dall'amore per il danaro, quelli che nutrono il timore di Dio piuttosto che il desiderio delle ricchezze. Forse sono stati indotti a pensarla così, limitandosi a considerare il semplice termine usato, oppure riflettendo sulla valida osservazione di Paolo apostolo che "l'amor del danaro è radice d'ogni sorta di mali" (I Tm 6:10). Per questa ragione molti si sono privati non soltanto delle ricchezze, ma di tutti i beni terreni. Anche i voti di povertà volontaria sono sorti per questa ragione..., supponendo che un tale grado di questa grazia fondamentale fosse un passo decisivo verso "il regno lei cieli".
Costoro, però, sembra che non abbiano osservato prima di tutto che l'espressione di Paolo deve essere compresa con qualche limitazione altrimenti non corrisponde alla realtà perché l'amore del danaro non è la radice, l'unica radice di ogni sorta di mali. Nel mondo esistono migliaia di altre radici del male e questa è la triste esperienza quotidiana. Il significato del testo può essere soltanto che è la radice di "ogni sorta" di mali, più che di un vizio solamente. Inoltre, se questo fosse il senso dell'espressione "poveri di spirito", non si adatterebbe al piano del Signore che è quello di stabilire il fondamento generale su cui costruire l'intero edificio della Sua Chiesa. Un disegno che non troverebbe soluzione evitando un unico vizio, in particolare. Perciò, anche se il significato avesse questo riferimento, non potrebbe essere quello generale. Infine, non può avere questo significato anche parziale a meno che non accusiamo Gesù di costruire con le sue parole un circolo, perché se la "povertà di spirito" fosse soltanto liberazione dalla cupidigia, dall'amore per il danaro, dal desiderio delle ricchezze, coinciderebbe con ciò di cui Gesù parlerà in seguito e sarebbe soltanto un'espressione della purezza del cuore.

14. Chi sono dunque i "poveri in ispirito"? Senza dubbio gli umili, coloro che conoscono se stessi, che sono convinti di peccato ai quali Dio ha dato quel primo ravvedimento che è precedente alla fede in Cristo.
Uno di loro non potrà più dire: "Io sono ricco, e mi sono arricchito, e non ho bisogno di nulla", invece sa che è "infelice fra tutti, e miserabile, e povero, e cieco, e nudo" (Ap 3:11). E' convinto di essere spiritualmente veramente povero, di non avere alcun bene spirituale che dimora in lui. "In me", egli afferma, "non abita alcun bene" (Rm 7:18), anzi mi appare tutto così malvagio ed abominevole. Ha un profondo senso della disgustosa lebbra del peccato, che è presente in lui fin dal seno di sua madre, che si diffonde in tutta 1'anima e ne corrompe totalmente ogni energia e facoltà. Nota sempre di più l'indole malvagia che scaturisce da quella radice malefica. La superbia e l'arroganza del suo spirito, la predisposizione costante a considerarsi più importante di ciò che dovrebbe realmente pensare; la vanità, il desiderio per la stima o l'onore che gli vengono resi dall'uomo; l'odio o l'invidia, la gelosia o la vendetta; l'ira, la malizia o l'amarezza; l'innata inimicizia contro Dio e contro l'uomo che appare sotto diecimila forme diverse; l'amore per il mondo, la propria volontà, i desideri stolti e dannosi che si attaccano tenacemente all'anima sua. Egli è cosciente di quanto profondamente abbia offeso con la propria lingua; se non con parole profane, immodeste, false e non cortesi, tuttavia con discorsi che non erano "per l'edificazione", e che non conferivano grazia a chi ascoltava e che di conseguenza erano corrotti dinanzi a Dio ed affliggevano il Suo Spirito Santo. Le sue opere malvagie sono ora sempre davanti a lui; se volesse enumerarle sarebbero "più che egli sia capace di esprimerle". Forse potrebbe più facilmente contare le gocce della pioggia e la sabbia del mare o i giorni dell'eternità.

15. La sua colpa è ora dinanzi a lui: conosce la punizione che merita, anche se considera con la sua mente carnale soltanto l'intera corruzione della propria natura; quanto più se riflette su tutti i propri desideri e pensieri malvagi, tutte le parole e le azioni peccaminose! Non può assolutamente dubitare di meritare nient'altro che la condanna all'inferno, dove "il... verme non muore ed il fuoco non si spegne" (Mc 9:48). Soprattutto, sente pesantemente su di sé la colpa "perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figliolo di Dio" (Gv 3:18). Come scamperò se trascuro una così grande salvezza? "Colui che non crede è già giudicato" e "l'ira di Dio è sopra lui".

16. Ma che darà in cambio dell'anima sua che si trova sotto la condanna della giusta ira di Dio? Come verrà dinanzi al Signore? Come pagherà quanto Gli è dovuto? Anche se da questo momento in poi adempisse con la più perfetta ubbidienza ogni comandamento di Dio, questo non farebbe ammenda neanche ad un solo peccato, neanche ad un unico atto della disubbidienza del passato, poiché deve a Dio tutto il servizio che può compiere da questo momento fino all'eternità. Se potesse adempiere tutto questo, tuttavia non potrebbe in nessun modo riparare per ciò che ha fatto in precedenza. Perciò, vede se stesso impotente di espiare i propri peccati, totalmente incapace di riparare dinanzi Dio o pagare una qualche redenzione per l'anima sua.
Se Dio, però, è disposto a perdonarlo di tutto il suo passato, in base all'unica condizione che egli non pecchi più; che per l'avvenire interamente e costantemente ubbidisca a tutti i Suoi ordini; sa bene che questo non gli sarebbe di alcun profitto perché è una condizione che non potrà adempiere. Sa e sente che non è capace di ubbidire, anche ai comandamenti esteriori poiché questi non possono essere osservati mentre il cuore rimane nelle sua naturale peccaminosità e corruzione; perché un albero malvagio non può produrre frutti buoni. E però, non potrà mai purificare un cuore peccaminoso: agli uomini è impossibile. Perciò è completamente incapace perfino a cominciare a percorrere il sentiero dei comandamenti divini. Non sa neanche come fare il primo passo avanti sulla via della salvezza. Oppresso dal peccato e dal dolore e dalle lacrime e non trovando una via d'uscita, può soltanto gridare: "Signore salvami altrimenti perisco".

17. La povertà di spirito perciò, che rappresenta il primo passo da compiere per correre nella gara che abbiamo davanti, è quel sentimento profondo capace di portarci a riconoscere i nostri peccati compiuti in pensieri e in atti, in altre parole e il senso della nostra colpa e della nostra incapacità. Questa è stata mostruosamente chiamata da alcuni "la virtù dell'umiltà" che ci insegna ad essere abbastanza superbi da conoscere che meritiamo la condanna! Ma l'espressione di Gesù è, certamente d'altro genere, infatti non innalza chi l'ascolta, ma piuttosto evidenzia il bisogno, il peccato nascosto, la colpa e lo stato miserando.

18. L'apostolo Paolo, quando cerca di condurre i peccatori a Dio si esprime in un modo simile: "...l'ira di Dio si rivela al cielo contro ogni empietà ed ingiustizia degli uomini" (Rm1:18), un'accusa che rivolge direttamente al mondo pagano e con la quale prova che tutti gli uomini si trovano sotto l'ira divina. Poi dimostra che i Giudei non sono migliori ed anch'essi giacciono sotto la stessa condanna: e tutto questo non per affermare "la nobile virtù dell'umiltà", ma "affinché ogni bocca sia turata, e tutto il mondo sia sottoposto al giudizio di Dio" (Rm 3:19).
Poi continua a dimostrare che sono incapaci e colpevoli usando le esplicite espressioni: "Poiché per le opere della legge nessuno sarà giustificato... Ora, però, indipendentemente dalla legge, è stata manifestata una giustizia di Dio... mediante la fede in Gesù Cristo... poiché noi riteniamo che l'uomo è giustificato mediante la fede, senza le opere della legge" (Rm 9:29 - 22:28). Tutte queste espressioni tendono verso lo stesso punto, anche per "annullare la superbia umana", per umiliare l'individuo fino alla polvere, senza insegnargli a riflettere sulla sua umiltà considerandola una virtù; per ispirarlo verso quella piena e compiuta convinzione della sua totale peccaminosità, della sua colpa e della sua impotenza spirituale, che getta il peccatore, spogliato di tutto, perduto e disfatto tra le braccia del suo forte protettore, Gesù Cristo il giusto.

19. Nessuno può fare a meno d'osservare che il cristianesimo comincia dove termina la moralità pagana. La povertà di spirito, la convinzione di peccato, la rinuncia a se stessi, il non poter vantare alcuna giustizia è il vero, primo gradino nella via della vita rivelata da Gesù Cristo, e oltrepassa tutta la religione pagana. Questo concetto è stato sempre nascosto ai sapienti del mondo, al punto tale che la lingua latina, anche con tutte le modifiche apportate nell'età imperiale di Augusto, non ha un significato che si avvicini abbastanza a quello biblico di umiltà (la parola dalla quale questa deriva, che è ben nota (Humus = terra) ha in latino un significato totalmente differente). Non si trovava in tutta la ricca lingua letteraria della Grecia, finché non fu coniata dall'apostolo delle genti.

20. Oh, che possiamo sentire quello che (i sapienti del mondo) non erano capaci di esprimere! Risvegliati o peccatore! Conosci te stesso! Riconosci e senti che sei "stato formato nell'iniquità" e che tua madre ti "ha concepito nel peccato" (Sal 51:5), e che hai accumulato peccato su peccato da quando hai potuto discernere il bene dal male! Affonda sotto la potente mano di Dio, tu che sei colpevole della separazione eterna! E allontana, rinuncia, abborrisci l'idea stessa che tu potevi aiutarti da solo! Permetti che tutte le tue speranze siano lavate dal prezioso sangue di Cristo e rinnovate dal Suo Spirito onnipotente, che "ha portato egli stesso i nostri peccati nel suo corpo, sul legno" (1Pt 2:24). Così potrai testimoniare: "Beati i poveri in ispirito perché di loro è il regno dei cieli".

21. Questo è il regno dei cieli o regno do Dio, che è dentro di noi, "giustizia, pace ed allegrezza nello Spirito Santo" (Rm 14:17).
Cos'è questa "giustizia" se non la vita di Dio nell'anima, il sentimento che era in Cristo Gesù; l'immagine di Dio impressa nel cuore ora rinnovato simile a Colui che l'ha creato? Non è altro che l'amore verso Dio, perché Egli ci ha amati per primo, e l'amore verso tutta l'umanità, per amore Suo?
Cos'è questa ''pace" se non la pace di Dio, la serena calma dell'anima, quel dolce riposo nel sangue di Gesù che non lascia alcun dubbio in quanto siamo stati accettati in Lui; che esclude tutti i timori e i dubbi e produce quella riverenza filiale ed amabile che ci evita di offendere il Padre che è in cielo?
Questo regno interiore implica "l'allegrezza nello Spirito Santo", che suggella i nostri cuori, "la redenzione che è in Gesù", la giustizia di Cristo imputataci con "la remissione dei peccati del passato", che ci dona ora "il pegno della nostra eredità, la corona che il Signore, il giusto Giudice, ci darà in quel giorno". Questo può essere giustamente definito "il regno dei cieli", poiché il cielo è già aperto sull'anima nostra, il primo zampillare di quei piacevoli fiumi d'acqua viva che sgorgano dalla destra di Dio in eterno.

22. "...di loro è il regno dei cieli". Chiunque tu sia, al quale Dio ha concesso di essere "povero in ispirito", che ti senti perduto, acquisisci ora il diritto, mediante la promessa benigna di Colui che non può mentire. Questa promessa è stata acquistata per te dal sangue dell'Agnello. E' tanto vicina a te, ti trovi sul limitare del cielo! Un altro passo ed entri nel regno della giustizia, della pace e dell'allegrezza! Sei ancora nel peccato? "Ecco l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo" (Gv 1:29). Non sei santificato? "Abbiamo un avvocato presso il Padre, cioè Gesù Cristo, il giusto" (1Gv 2:1). Sei incapace di liberarti anche dal minimo dei tuoi peccati? "Egli è la propiziazione per... (tutti i tuoi) peccati" (1Gv 2:2). Credi ora nel Signor Gesù Cristo e tutti i tuoi peccati saranno cancellati! Sei totalmente impuro nell'anima e nel corpo? Qui c'è "una fonte aperta.. .per il peccato e per l'impurità" (Zc 13:1). "Levati, e sii... lavato dei tuoi peccati" (At 22:16). Non dubitare più della promessa divina con la tua incredulità! Dà gloria a Dio! Osa credere! Grida ora dal profondo del tuo cuore:

                   "Sì, mi arrendo, mi arrendo alfine,
                  ascoltando il Tuo sangue che parla;
                     mi getto, con tutti i miei peccati
                           sul mio Dio espiatore!
"

23. Quando si impara da Gesù ad essere "umile di cuore", questa è la vera, genuina umiltà cristiana che scaturisce dall'amore di Dio, il Quale ci ha riconciliati con Sé in Cristo Gesù.
La povertà spirito, in questo significato del termine, comincia dove termina il senso della colpa e dell'ira divina su noi e continua dandoci il senso della nostra totale dipendenza Lui, per ogni buon pensiero o parola o opera. Consiste nel riconoscere la nostra totale incapacità verso tutto il bene, se Egli non interviene ogni momento, con un'avversione verso la lode degli uomini, sapendo che tutta la lode è dovuta soltanto a Dio.


(*) John Wesley, pastore anglicano, nacque a Epworth, in Gran Bretagna nel 1703 e morì a Londra nel 1791.
A lui si deve la fondazione del metodismo, uno dei movimenti di «risveglio» più potenti della storia del protestantesimo. I metodisti, diffusi in tutto il mondo, sono oggi circa 40 milioni.
Ponendo l'amore al centro della vita spirituale liberò lo spirito protestante dalle angustie del "solifideismo" (la giustificazione attraverso la sola fede) e della dottrina calvinista della predestinazione.


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