Il battesimo cristiano nel Nuovo
Testamento:
elementi di riflessione
Elian Cuvillier
professore di Nuovo Testamento
alla Facoltà di Teologia Protestante di
Montpellier
L'analisi di alcuni testi biblici permette a Elian Cuvillier di interrogarsi sul significato del battesimo cristiano nel Nuovo Testamento.
Egli constata che la riflessione sul battesimo non risulta essere centrale e che ogni autore interpreta il dato battesimale a partire delle sue preoccupazioni specifiche.
Malgrado ciò, al di là delle differenti accentuazioni messe in evidenza, appare una costante: il battesimo non è la risposta dell'uomo alla grazia di Dio ma attesta l'agire di Dio in favore dell'uomo.
Terminano l'articolo alcune riflessioni sulle implicazioni di questa ricerca nella pratica ecclesiale contemporanea.
Il presente lavoro si propone di interrogare alcuni autori
del Nuovo Testamento sulla comprensione e la pratica del battesimo, di cui danno
testimonianza attraverso un certo numero di testi significativi.
Saranno
successivamente presi in esame due testi di Paolo (1 Cor. 1,10-17 e Rom.
6,1-14), la testimonianza del libro degli Atti sul battesimo e infine Matteo
28,16-20.
Concluderemo con alcuni spunti sulle implicazioni di questa ricerca
per la riflessione contemporanea sul significato e la pratica del battesimo.
I - IL BATTESIMO: LA TESTIMONIANZA DI ALCUNI TESTI PAOLINI
La testimonianza più antica che attesta la pratica del
battesimo nella chiesa primitiva si trova nella I Cor. 1,10-17, testo scritto
senza dubbio tra il 54 e il 56 dopo Cristo. La massima preoccupazione di questo
brano non è certamente il battesimo. Esso ci comunica tuttavia qualche
informazione che non è trascurabile per il nostro scopo.
Pur essendo la più lontana testimonianza attestante la
pratica del battesimo nella comunità primitiva, il testo non ci dice niente
sulle sue origini e sul suo significato. A più di 25 anni dalla crocifissione
di Gesù Cristo, il battesimo appare come una pratica abituale, generalizzata
nell'ambiente della comunità cristiana. Paolo si inserisce in un dejà vu del
battesimo che egli non cerca né di fondare, né di spiegare.
L'allusione paolina sul battesimo serve qui a controbattere
la rivendicazione partigiana dei Corinzi. Infatti alcuni si richiamano a Paolo,
altri ad Apollo o a Cefa riferendosi ad una tradizione spirituale legata ad uno
di questi tre personaggi. Si può supporre che il fatto di essere stati
battezzati da uno di loro, rafforzava un certo riflesso relativo all'identità.
Non si capirebbe bene altrimenti perché Paolo, argomentando sul piccolo numero
di battesimi da lui amministrati, mirava ad impedire un riferimento non dovuto
alla sua persona (v. 14 "Ringrazio Dio che non ho battezzato nessuno di
voi, eccetto ..."). A tal proposito, si noti l'importanza data a colui nel
nome del quale si amministra il battesimo; certamente non "nel nome" (
eis tò ónoma ) di Paolo (v. 13) né di qualcun altro. Si deve perciò
intendere che il battesimo si fa nel nome del Signore, sottolineando in tal modo
la coesione e l'unità della Chiesa intorno al Cristo (v. 10). Ugualmente va
notato un legame stretto tra il riferimento alla crocifissione e l'allusione al
battesimo (v. 13), legame che troveremo sviluppato in Rm. 6.
Se il testo lascia supporre che il battesimo è ricevuto da
adulti, nulla ci indica che esso sia inteso come una risposta individuale del
credente all'opera di salvezza compiuta dal Cristo. Nella dichiarazione paolina,
al contrario, è la situazione passiva del credente che viene sottolineata ed è
la dimensione comunitaria che è più importante (v. 13 " Paolo è stato
forse, crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo ?").
Il battesimo nel nome di Cristo è una garanzia contro le divisioni. Secondo
Paolo, invece, la rivendicazione attiva e particolaristica dei Corinzi è
sorgente di divisioni e di conflitti (v.12 ..."io appartengo").
E' in questo quadro che occorre collocare la riflessione del
v. 17 "poiché Cristo non mi ha inviato per battezzare, ma per annunciare
l'Evangelo". Paolo non svaluta il significato teologico del battesimo, che
attesta l'unione del credente al Cristo ed alla sua Chiesa. Vuole sottolineare
che il battesimo non ha un valore in se stesso né per via della persona che lo
amministra, ma a motivo di Colui nel nome del quale il battesimo è stato
amministrato.
Nella prima Epistola ai Corinzi, le nostre osservazioni sono
confermate; in I Cor. 10,1 Paolo, in un modo simile all'esegesi tipologica di
Filone, paragona la situazione del popolo d'Israele nel deserto alla situazione
della Chiesa di Corinto: la sorte del popolo guidato da Mosè (v.2) prefigura
quella della comunità sottomessa all'autorità di Cristo.
L'immagine del battesimo è messa al servizio di una parenesi
comunitaria; la Chiesa è paragonata ad Israele come corpo comunitario. Come
Israele è stato battezzato in Mosè, così tutti i cristiani sono battezzati in
Cristo. La dimensione comunitaria del battesimo è fortemente sottolineata.
Paolo non spiega né giustifica una teologia del battesimo;
si riferisce ad una pratica già esistente, le cui modalità e comprensione non
hanno bisogno di precisazioni.
Il battesimo è un dono di Dio; la volontà umana non è
presa in considerazione, se non negativamente, come un rischio in cui l'uomo può
incorrere dopo aver accettato il dono della grazia di Dio, di ritrovarsi
nell'idolatria e dunque separato da Dio e dal suo popolo.
Nei versetti di I Cor. 12,1-13, si discute dei doni dello
Spirito, fonte di divisioni a Corinto. Ci si riferisce al battesimo come ad un
servizio che sottolinea l'unità del corpo di Cristo: "Poiché siamo stati
battezzati in un solo Spirito per essere un solo corpo". In precedenza la
volontà umana non è considerata negativamente ma come un'espressione della
divisione del Corpo di Cristo.
E' la stessa cosa di I Cor. 6,11 se si considera la frase
"voi siete stati lavati" come un'allusione al battesimo. Il
riferimento al battesimo è qui al servizio della parenesi: ricorda ai Corinzi
la trasformazione operata da Dio in Cristo e ci richiama alla comunione fraterna
(contro le divisioni e i processi tra fratelli, cfr. 6,1s). Il modo passivo di
esprimersi ("siete stati lavati, ...santificati ...giustificati")
sottolinea fortemente che la salvezza del credente è extra nos ("in
nome di Gesù Cristo e grazie allo Spirito del nostro Dio"). Il battesimo
non si situa dalla parte dell'uomo, ma è un'azione di Dio che giustifica e
santifica il credente.
2. Romani 6,1-14 e la questione del battesimo
Il testo più importante di Paolo sul battesimo è certamente
quello di Rom. 6,1-14. In questo brano l'apostolo cerca di rifiutare una
possibile obiezione al "suo" Evangelo: poiché là dove il peccato
abbonda, la grazia sovrabbonda (5,20), bisogna rimanere nel peccato? (6,1). Per
rispondere a questa obiezione Paolo utilizza in quei versetti l'immagine
tradizionale del battesimo sulla quale opera un certo numero di inquadrature.
L'apostolo non fonda, né giustifica la pratica del battesimo
perché la considera come una cosa sufficientemente stabile da potere utilizzare
per basare le sue proposte. La tradizione battesimale prepaolina che si rivela
da Rom. 6 si compone senza dubbio dei seguenti elementi:
- L'espressione "battezzati in Gesù Cristo" ( eis
Christon Iesoûn ) che troviamo nel v. 3 è certamente una abbreviazione
della formula tradizionale "battezzati in nome di Gesù Cristo". Nel
cristianesimo primitivo quest'ultima espressione significava che la persona
battezzata si trovava sotto la protezione e la signoria di Cristo.
- al v. 4 l'idea di un battesimo "nella morte" di
Cristo ( eis tòn thánaton ) è ugualmente tradizionale. Il tema è
implicitamente contenuto in una tradizione come quella di Marco 10,38. Si può
supporre che esisteva un'antica relazione tra il battesimo e la lettura
sacrificale della morte di Cristo, legata al perdono dei peccati.
- Il legame tra battesimo e peccato ha le sue radici nella
predicazione di Giovanni Battista che predicava un battesimo di pentimento in
vista del perdono dei peccati (Mc. 1,4; cfr.anche Lc. 24,47; Atti 2,38 e 22,16).
Messo in relazione con la morte di Gesù il battesimo manifestava per i
cristiani l'espiazione dei peccati. Questa connessione tradizionale spiega senza
dubbio che Paolo abbia utilizzato qui l'esempio del battesimo in un passo dove
il tema del peccato è per lui determinante.
- Il battesimo era anche concepito come una rottura con la
propria vita passata segnata dal peccato (vedi il battesimo di pentimento di
Giovanni in Mt. 3,3-8; cfr. Mc. 1,4; Lc.3,3-8; At.13,24 e 19,4; ripreso dalla
chiesa primitiva: At. 2,38), e l'inizio di una vita nuova fondata nella
risurrezione di Gesù.
Paolo argomenta dunque qui a partire dalla teologia
battesimale che egli trova nelle comunità cristiane ellenistiche che
frequentava. Difatti, il battesimo non si trova qui al centro della riflessione
paolina. Ciò è chiaramente mostrato, da una parte con il fatto che la tesi
centrale dell'Epistola ai Romani (1,16-17 e 3,21-31) non lascia posto alla
teologia battesimale, dall'altra perché Paolo può dire le stesse cose senza
riferirsi in alcun modo al battesimo (Rm. 7,6: morto al peccato, camminando in
novità di vita; Gal. 2,19 essere crocifisso con il Cristo). In questo modo le
tradizioni battesimali sono messe al servizio della sua argomentazione teologica
specifica. Per fare questo Paolo le reinterpreta su più punti.
In accordo con la tradizione battesimale, i cristiani sono
battezzati nella morte di Cristo (v. 3, 4 e 5). Al v.6 Paolo utilizza una
espressione che gli è specifica e che ritroviamo anche fuori (in Gal. 2,19) da
ogni contesto battesimale: essere battezzato in Gesù Cristo vuol dire essere
crocifisso con lui ( sunestauróthe ). E' tutto un altro modo di parlare
del battesimo nella sua morte. Ma non dobbiamo dimenticare che quando Paolo
parla di Gesù come del Crocifisso, è il cuore della sua riflessione teologica
ad essere in gioco. Cristo crocifisso è per lui lo scandalo fondatore del
cristianesimo (1 Cor. 1,18-25). In Rom. 6, questa allusione esplicita alla
crocifissione orienta la lettura sacrificale, al centro della teologia
battesimale tradizionale, su un terreno più specificamente paolino: la
comprensione della croce come follia, in 1 Cor. 1,18-25, prefigura l'idea della
giustificazione per fede come sarà sviluppata nelle epistole ai Galati e ai
Romani.
Rileggendo la tradizione battesimale a partire dal linguaggio
paolino della croce, il legame battesimo/purificazione dal peccato riceve un
nuovo orientamento: in quanto "battesimo in Gesù Cristo" (v. 3), il
battesimo afferma in primo luogo non tanto il perdono dei peccati (tema assente
nella riflessione paolina di Rom., con l'importante eccezione di Rom.4,7-8, che
è una citazione dell'Antico Testamento) ma la liberazione dal peccato, compreso
come potenza che rende schiavi. Il battesimo serve qui da argomentazione a una
riflessione sull'essere nuovo in Cristo liberato dalla potenza del peccato:
"il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui affinché il corpo del
peccato fosse annullato e noi non serviamo più al peccato".
Questo battesimo nella morte di Cristo, ci offre una nuova
vita (vedi v. 4: "camminare in novità di vita"). Paolo continua a
servirsi di una dato tradizionale come conferma il v. 5 che è senza dubbio una
espressione battesimale tradizionale: "se siamo stati totalmente uniti a
lui in una morte simile alla sua, lo saremo anche in una risurrezione simile
alla sua". Si noti la dimensione risolutamente futura della risurrezione
che verrà ripresa al v. 8 (cfr. in contrasto Col. 2,12). Si scopre così in
Paolo una tensione costante che attraversa l'insieme del brano: il cristiano
cammina già adesso in una vita nuova e sarà risuscitato con il
Cristo. A questa tensione se ne aggiunge un'altra espressa nei seguenti
versetti: il cristiano è già adesso liberato dal peccato (v.7), ma è
invitato, nel senso imperativo, a non sottomettersi più al peccato (v. 12-13)
che non regnerà più su di lui! Liberato dalla signoria del peccato, il
cristiano non deve questo al suo battesimo, ma a Cristo, il quale nella croce ha
crocifisso l'uomo vecchio (evento che il battesimo simbolizza).
Liberato dalla signoria del peccato, il cristiano non è
tuttavia proiettato fuori dal mondo; questa liberazione deve essere vissuta nei
corpi mortali, vale a dire segnati ancora dalle conseguenze del peccato. In
Paolo la dialettica è mantenuta tra il "già ora" segnato dalla realtà
della "giustificazione del peccato" (Rom. 6,7) ed un "non
ancora", segnato dalla dimensione futura della resurrezione (vedere i verbi
al futuro dei versetti 5 e 8). Questa tensione è vissuta nella dinamica dell' essere
in Cristo del battezzato, una esistenza escatologica dove il cristiano è
chiamato a dimorare in Cristo.
3. Conclusioni
La riflessione di Paolo sul battesimo è secondaria
nell'insieme della sua opera. La sua riflessione teologica specifica (la follia
della croce, la giustificazione, la fine della legge, il peccato come potenza
che ci sottomette) prende corpo, di solito, senza alcun riferimento al
battesimo. Quando Paolo allude al battesimo, si aggancia ad una pratica che
esisteva già e non si cura di fondarla o di giustificarla. Paolo riceve ed
assume la teologia battesimale della chiesa primitiva e la interpreta secondo la
sua comprensione dell'Evangelo. Il battesimo come è praticato nelle comunità
primitive può essere al servizio della soteriologia (Rom. 6: attesta la
liberazione che Dio accorda in Cristo) o della ecclesiologia paoline(1 Cor. :
attesta l'appartenenza al corpo di Cristo che è la chiesa).
Per Paolo, la salvezza si manifesta nella rivelazione del Dio
crocifisso (I. Cor. 1,18- 25) dal cui incontro l'uomo trova la giustificazione
(Rom.. 3,21-31). Questo cuore dell'Evangelo paolino è sviluppato fuori da ogni
riferimento al battesimo. Quest'ultimo può tuttavia esserne l'immagine (così
in Rom. 6): il credente attesta, col battesimo che gli viene amministrato, che
è "crocifìsso con Cristo"; vale a dire che è stato pronunciato sul
suo vecchio uomo un giudizio che è, allo stesso tempo, parola di
giustificazione che fa rinascere a vita nuova. Segno della grazia anticipatrice
e decisiva di Dio, il battesimo attesta così l'essere in Cristo del
battezzato. In questo senso, esso attesta cosa accade all'uomo nella fede
(liberato dalla potenza del peccato, cammina in novità di vita). Come
attestazione dell'essere in Cristo del credente, il battesimo è dunque legato
alla fede. Precisiamo che per Paolo la fede non è una "risposta"
dell'uomo, una "opinione", una "adesione" o uno
"strumento", (così come sarà poi dopo, nella tradizione paolina e in
Luca; cf. Ef.2,8: la fede come mezzo di salvezza). E' incontro, avvicinamento
del Cristo all'uomo e dell'uomo al Cristo (vedi l'espressione paolina secondo la
quale l'uomo è giustificato per la fede di Gesù o di Cristo in
Fil. 3,9; Rm. 3,22; Gal. 2,16; 2,20 e 3,22). In questo incontro tra il Cristo e
l'uomo, quest'ultimo riceve la sua identità di figlio, riceve la
giustificazione. Il battesimo è il segno di questa adozione.
Il battesimo, per Paolo, non è prima di tutto legato ad una
decisione dell'uomo. Più precisamente non appartiene alla sfera della volontà
umana: non lo si chiede, lo si riceve come il dono della giustificazione di cui
ne è il segno. Il battesimo si impone al credente, come segno che Dio, in
Cristo, è intervenuto per giustificare il peccatore. Paolo non dice mai:
"avete chiesto il battesimo", ma dice sempre: "siete stati
battezzati". E' anche il motivo per cui, in tutti i passi della prima
Epistola ai Corinti dove Paolo parla del battesimo, la dimensione comunitaria è
fondamentale: il battesimo, per l'uomo, è il segno della sua appartenenza al
corpo di Cristo, cioè alla Chiesa.
II - La testimonianza negli Atti degli Apostoli
Dal punto di vista formale la testimonianza del libro degli Atti è diversa da quella di Paolo, perché è una narrazione fatta a distanza sulla vita della prima generazione cristiana. Il libro degli Atti mette in evidenza come Luca la vede alla fine del primo secolo, periodo nel quale è vissuto Paolo. Quanto al battesimo è nel filo del racconto che noi possiamo sbirciare le informazioni sulla comprensione e l'interpretazione lucana del battesimo cristiano.
Il primo brano che ce ne informa si trova nel cap. 2,37-41.
Dopo la predicazione di Pietro, il giorno della Pentecoste, il popolo raccolto
chiede: "fratelli, che dobbiamo fare?" (v. 37). La risposta
dell'apostolo (v. 38) mette in moto una sequenza: conversione/battesimo e,
simultaneamente, dono dello Spirito Santo. Tale sequenza è convalidata dal v.
41 dove si dice: "quelli che accettarono la sua parola furono
battezzati".
Dunque il battesimo segue la conversione. Dato nel nome di
Gesù Cristo (v. 38 come anche 8,16; 10,48 o 19,5) attesta il perdono dei
peccati ed è legato alla venuta dello Spirito Santo. Non è però il frutto di
una libera decisione del credente. Sembra piuttosto costitutivo del movimento
d'accoglienza dell'Evangelo proposto da Pietro. E' una necessità che si impone
contemporaneamente alla conversione, senza catechesi preliminare o valutazione
della fede.
In Atti 8,5-26 si parla della conversione e del battesimo dei
samaritani (v. 12) e di Simon Mago (v. 13). Rispetto al brano precedente Luca
propone una sequenza leggermente diversa, dato che il dono dello Spirito Santo
non è più legato immediatamente al battesimo (v. 16). Sarà dato più tardi ai
samaritani, dopo che Pietro e Giovanni avranno imposto le mani (v. 14ss). Le
ragioni per le quali Simon Mago chiede anch'egli di ricevere lo Spirito Santo
portano Pietro a dubitare dell'autenticità della sua fede (v. 18-24).
Come prima, il battesimo segue immediatamente l'accoglienza
dell'Evangelo. Non è tuttavia il risultato di una domanda dei samaritani, ma
appare come il prolungamento normale dell'adesione all'Evangelo (v. 12:
"quando ebbero creduto ... furono battezzati). Anche l'autenticità o
l'ortodossia della fede, non sono un criterio del battesimo (vedi Simon Mago).
Il terzo episodio è quello dell'eunuco etiope (Atti
8,26-40). Come nei due esempi precedenti, il battesimo segue la predicazione e
l'accoglienza dell'Evangelo. Questa accoglienza dell'eunuco è presupposta nella
domanda che questi fa a Filippo; tuttavia non deve essere presa come una
richiesta del battesimo. L'eunuco interroga Filippo sulla possibilità per un
pagano di ricevere la salvezza che Dio ormai offre in Gesù Cristo. In questo
senso la domanda prepara quella di Pietro riferita a Cornelio e ai suoi in 10,47
("C'è forse qualcuno che possa negare l'acqua e impedire che siano
battezzati questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo come noi?"); la
domanda è immediatamente seguita dall'ordine del battesimo (10,48). Allo stesso
modo la domanda dell'eunuco riceve come risposta il battesimo, amministrato da
Filippo (8,38). Il parallelismo tra i due episodi è rafforzato dall'utilizzo di
uno stesso verbo: kôlúein (8,38 e 10,47).
Il testo occidentale degli Atti, aggiunge qui il v. 37 con il
quale Filippo risponde alla domanda dell'eunuco, provocando in quest'ultimo una
confessione di fede: "Credo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio". La
sequenza allora proposta è più elaborata
(proclamazione/conversione/confessione di fede/battesimo) e istituisce l'idea di
una confessione pubblica che precede il battesimo. Questa sequenza mostra
un'evoluzione della pratica battesimale, nel senso di una struttura liturgica
nella quale la partecipazione del battezzato è messa in rilievo. Nel più
antico dei testi la fede è supposta ma il contenuto non ne è precisato. Il
battesimo si amministra a seguito della proclamazione dell'Evangelo e della sua
accoglienza.
La conversione di Paolo (Atti 9,1-18) offre a Luca
un'occasione per affermare ancora una volta il carattere abituale e necessario
del battesimo. Incontrato dal Signore, Paolo si ritrova cieco a Damasco (v.
3-9). Incontra allora Anania (v.17) che viene mandato da lui "affinché
ritrovi la vista e sia riempito di Spirito Santo". Questa parola trova il
suo compimento al v. 18 " recuperò la vista; poi alzatosi fu
battezzato". Paolo non ha chiesto di essere battezzato, ma lo ha ricevuto
come segno dell'incontro con l'Evangelo e della venuta dello Spirito. Nel cap.
22,16 il battesimo è anche un ordine dato da Anania, "ricevi il
battesimo". Il battesimo è l'immediato segno della conversione di Saulo.
L'episodio di Cornelio (Atti 10, 1-47) offre una sequenza un
po' diversa rispetto alle precedenti: nella misura in cui l'annuncio
dell'Evangelo è seguito dalla venuta dello Spirito, il battesimo interviene
solo dopo. E' notevole vedere in questa sequenza, che il dono dello Spirito ha
una precedenza sul battesimo (v. 11-16), ma questo non cambia l'idea che Luca ha
del battesimo. Quest'ultimo ha luogo come un ordine di Pietro (v. 48) e dopo un
lungo processo con il quale Dio lo convince dell'uguaglianza di trattamento tra
ebrei e pagani (tutto il capitolo 10). Ciò rende possibile il battesimo: per
Cornelio come per tutti i pagani convertiti (compreso l'eunuco etiope) il
battesimo non si richiede, ma si amministra, come una attestazione di avere
accolto l'Evangelo.
Tre versetti possono essere raggruppati. Si tratta di Atti
16,15.33 e 18,8: in Atti 16, 15 Lidia, dopo avere ricevuto il battesimo,
afferma: "Se avete giudicato che io sia fedele al Signore, entrate in casa
mia, e alloggiatevi". Come per l'eunuco e Cornelio il battesimo non è la
risposta del credente, ma il segno che la fede dei beneficiari è riconosciuta.
In Atti 16,30-34, il battesimo attesta la fede del carceriere, non come una
risposta del nuovo convertito, ma come un segno messo su di lui da Paolo e Sila.
In Atti 18,8, il battesimo attesta che Crispo ed i Corinzi hanno accolto
l'Evangelo. Anche là, non c'è richiesta del battesimo, ma il suo accoglierlo,
come un seguito naturale alla conversione.
L'ultimo testo conferma che Luca non propone una visione
molto precisa della prassi del battesimo nei primi tempi della chiesa. In 19,1-6
Paolo battezza nel nome di Gesù un gruppo di discepoli che avevano ricevuto
solo il battesimo di Giovanni (vedi Atti 19,4 e 1,5; ed anche Atti 18,24-28). Ma
che si voglia o no, il battesimo attesta, come sempre in Luca, un ascolto della
predicazione cristiana (Cfr. 19,5 "Udito questo, furono battezzati").
Conclusioni
Il libro degli Atti attesta l'esistenza e la prassi
generalizzata del battesimo cristiano nella chiesa primitiva. Non dice tuttavia
nulla sulla sua origine precisa.
Il battesimo è amministrato a degli adulti, nel nome di Gesù
(senza nessuna formula trinitaria). All'inizio del libro degli Atti (At. 2)
sembra legato al perdono dei peccati, poi questo motivo scompare nel corso della
narrazione. Il battesimo segue sempre invece l'accoglienza dell'Evangelo.
Non è sempre legato al dono dello Spirito, che può essere
ricevuto prima, durante o dopo il battesimo.
Il battesimo non è mai l'oggetto di una richiesta del
battezzato, ma è ordinato dal predicatore dell'Evangelo o dall'inviato di Dio
(Filippo per l'eunuco, Anania per Paolo, Pietro per Cornelio). Lo si riceve
passivamente come un segno che è posto da Dio e che attesta la fede del
battezzato.
Non è nemmeno legato alla qualità o all'ortodossia della fede del
credente (cfr. Simon Mago).
Bisogna dunque concludere che alla fine del I secolo, Luca,
lo storico della chiesa primitiva, non ha una teologia battesimale molto chiara
e molto elaborata. Inoltre, il battesimo non occupa un posto importante nel suo
racconto. In questo senso le impressioni avute dalla lettura dei testi di Paolo
sono confermate. Una differenza notevole si manifesta invece
nell'interpretazione del battesimo: mentre in Paolo esso attesta la precedenza
della grazia di Dio accordata al credente (o alla comunità dei credenti), in
Luca l'accento è posto sul riconoscimento della fede (intesa come risposta e
adesione all'Evangelo) dell'individuo (o del gruppo). Resta il fatto che l'uno e
l'altro condividono l'idea secondo la quale il battesimo rimanda ad un agire di
Dio in favore dell'uomo.
III - MATTEO 28,16-20
L'epilogo dell'Evangelo di Matteo riferisce l'ordine che il
Risorto dà ai suoi discepoli: "Fate miei discepoli tutti i popoli
battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando
loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate"
Prima di interrogarci sull'importanza di questa parola per il
nostro proposito, conviene comprenderla nel quadro del primo Evangelo.Questa
pericope conclude, non soltanto dal punto di vista letterale, ma anche
teologico, il racconto evangelico:
- dal punto di vista cristologico, l'evangelista sottolinea
l'identità del Risorto con il Gesù terreno: il contenuto del kérygma missionario
affidato ai discepoli (v. 19a) si riferisce in modo esplicito al contenuto
dell'insegnamento fatto dal Gesù terreno (v. 19b). In tal modo viene
sottolineata per Matteo la posta decisiva della storia di Gesù che egli ha
appena finito di raccontare. Non si tratta di una storia santa a scopo
edificante o educativo, ma della possibilità di una vera contemporaneità col
Risorto per ogni uomo che crederà al messaggio del Gesù terreno.
- dal punto di vista antropologico, l'epilogo riassume la
comprensione di Matteo sulla condizione del discepolo: diviso tra fede ed
incredulità (v. 17), il discepolo deve la sua identità di discepolo soltanto
alla vittoria del Risorto che gli comunica la sua autorità (v.18).
Quest'ultima, tuttavia, non mette il discepolo in una posizione di dominio e di
potere, al contrario, essa lo convoca per la missione (v.19-20a), compito
esigente che il discepolo può assumere soltanto con la presenza al suo fianco
del suo Signore (v. 20b).
Conclusioni
E' impossibile sapere con precisione qual è l'origine del
battesimo cristiano. Gli Evangeli attestano una ricezione tardiva (alla fine del
I secolo) della comprensione del battesimo. L'esempio tipico si trova nel testo
finale di Matteo, dove la formula trinitaria sembra più tardiva di quella,
senza dubbio molto più antica, del battesimo "nel nome di Gesù". Il
libro degli Atti propone una interpretazione teologica distante dalla pratica
delle comunità primitive. L'imprecisione nella presentazione della pratica
battesimale (in particolare il suo legame con il dono dello Spirito Santo)
attesta senza alcun dubbio l'esistenza di pratiche diverse in vigore nei primi
tempi della Chiesa. La testimonianza più antica è quella di Paolo (Rm. 6;
1Cor.) che prende atto di una antecedenza del battesimo. Paolo mette il
battesimo al servizio della sua riflessione teologica.
Questa prima constatazione non è senza importanza, essa ci
proibisce di intraprendere una ricerca nel Nuovo Testamento sotto l'aspetto di
una indagine genealogica, o della ricerca di un modello da ripetere. La pratica
del battesimo precede al tempo stesso Gesù, la nascita del cristianesimo e la
redazione degli scritti del Nuovo Testamento; in qualche modo, il battesimo
"è già lì". Provare di precisarne l'origine, si traduce, come
nell'indagine sul Gesù storico, in una ricerca del momento zero e nella
scoperta dell'idolo, vale a dire dell'immagine aprioristica che noi ne abbiamo.
Del resto, nel Nuovo Testamento, la questione del battesimo
non è centrale. Lo testimonia il fatto che tutti i testi che ne parlano, lo
fanno in maniera indiretta; il battesimo è al servizio dell'argomentazione
teologica o parenetica; non la fonda mai. Per gli autori del Nuovo Testamento
esso è un dato di fatto che li precede e che è accettato come anteriore alla
loro riflessione teologica. A questo titolo è reinterpretato a partire dalla
loro propria riflessione teologica. Di conseguenza si può dire che non c'è una
comprensione biblica del battesimo, ma ci sono delle teologie del Nuovo
Testamento che reinterpretano il dato battesimale
Descrivere con precisione le origini, le pratiche ed il
significato del battesimo cristiano non è dunque possibile. Una volta
sottolineato il radicamento del battesimo cristiano in quello di Giovanni
Battista - dal quale tuttavia si è separato abbastanza presto - si constata che
la sua pratica ed il suo significato sono caratterizzati dalla diversità.
Quanto alla pratica, il battesimo viene fatto dapprima nel nome di Gesù; più
tardi con una formula trinitaria. Quanto al suo significato, la dimensione
purificatrice (battesimo come segno del perdono dei peccati), sembra faccia
posto, abbastanza presto, all'idea di un'unione con Cristo (battesimo come segno
della grazia di Dio o anche come riconoscimento dell'accoglienza della Buona
Novella).
A partire dalle tradizioni da loro ricevute, Paolo e Luca
propongono due differenti accentuazioni di questo dato battesimale: per Paolo il
battesimo attesta la grazia preveniente di Dio. Sottolinea l'essere-in-Cristo
del credente come decisione di grazia di Dio.
In Luca, esso sottolinea il
riconoscimento dell'adesione all'Evangelo.
Al di là delle differenze di
accento, alcune linee guida attraversano le loro due testimonianze: non è mai
presente l'idea che ci sia una decisione umana di ricevere il battesimo. Non si
sceglie l'ora, né il giorno né la data del proprio battesimo. Esso non è la
risposta dell'uomo, il "sì" della sua volontà (tutt'al più, secondo
Luca, esso attesta questo "sì"). Lo si riceve come un gesto
necessario e gioioso che accompagna la proclamazione dell'Evangelo. La sequenza
proclamazione/conversione/con-fessione pubblica/battesimo del testo occidentale
di At. 8, 26-40 o la sequenza insegnamento/battesimo della Didaché sono
più tardive. Tali sequenze insistono sulla partecipazione umana a ricevere il
battesimo e suppongono una valutazione dell'ortodossia della fede che è assente
nei testi del Nuovo Testamento.
Alcune riflessioni di Michel Bouttier riassumono, meglio di
quello che abbiamo saputo fare noi, l'essenziale di ciò che il Nuovo Testamento
( e particolarmente Paolo) vuole dire del battesimo: "la realtà della
nostra vita con lui ( il Cristo ), ha le sue radici in quello che si è
compiuto sulla croce: ecco quello che si inscrive nel battesimo e in tal modo
esclude ogni mitologia (in questo senso, il battesimo cristiano è agli
antipodi dei battesimi di iniziazione nei misteri antichi). Così pure è
escluso ogni ricorso all' introspezione soggettiva - come se fosse in
nostro potere rendere reale a nostra volta una verità storica, appropriandocela
attraverso la nostra esperienza cristiana. Ora, la fede nella
risurrezione, iniziativa di Dio, che ci lancia in una avventura rinnovatrice,
sbarra la strada, per parte sua, ad ogni ritualismo sacramentale . Ci
troviamo al centro di questa dialettica paolina, centro che il Cristianesimo avrà
tante difficoltà a mantenere".
IV - APERTURA
L'attuale riflessione della chiesa sul battesimo non deve
domandare alle Scritture quello che non sono in grado di darci.
Il Nuovo
Testamento non propone una dottrina del battesimo, ma attesta una pratica del
battesimo che non cerca né di spiegare con precisione né di fondare
teologicamente. Così il Nuovo Testamento non giustifica, né proibisce il
battesimo dei bambini: questa problematica gli è completamente estranea.
Come
del tutto estranea al Nuovo Testamento é l'idea che il battesimo sia
subordinato ad una domanda del battezzato (argomento che abitualmente giustifica
la pratica del battesimo degli adulti).
Gli autori del Nuovo Testamento che abbiamo studiato
interpretano il dato battesimale a loro disposizione partendo dalla propria
teologia. In questo quadro prende corpo un'idea guida comune: il battesimo è un
segno che attesta una Parola esterna all'uomo, lo precede e gli va incontro. Non
è mai una risposta dell'uomo. Per Paolo è un segno della salvezza data da Dio
e evidenzia l'appartenenza alla Chiesa. In Luca è riconoscimento da parte di
Dio dell'accoglienza dell'Evangelo per mezzo della fede. Per l'autore del libro
degli Atti, la risposta dell'uomo consiste nell'accoglienza stessa
dell'Evangelo; in tal modo, essa precede il battesimo ma si situa al di fuori di
esso. In Matteo 28, 16-20 questa risposta dell'uomo alla grazia di Dio,
manifestata nel battesimo, fa seguito al battesimo poiché essa consiste
nell'"osservare i comandamenti". In Paolo l'idea stessa di risposta è
impropria per tradurre l'incontro con una Parola che da sempre precede l'uomo e
che il battesimo attesta.
Una tale comprensione del battesimo contesta, al tempo
stesso, la pratica del pedobattismo - inteso come azione quasi magica (il
battesimo che salva) - e quella del battesimo degli adulti - inteso come
risposta dell'uomo al gesto di Dio. Pedobattismo e battesimo degli adulti
invece, se compresi come parola di Dio che precede l'uomo e gli viene incontro
integrandolo nel corpo di Cristo che è la Chiesa, trovano entrambi un
fondamento teologico nel Nuovo Testamento.
Se si vuole fare giustizia ad una prospettiva lucana il
battesimo degli adulti attesterà l'accoglienza dell'Evangelo da parte del
credente.
Questa comprensione del battesimo degli adulti ha tuttavia delle
conseguenze sia sulla catechesi sia sul significato liturgico che si vuole dare
alla cerimonia del battesimo. La catechesi non dovrebbe più essere un preambolo
al battesimo, ma la sua conseguenza. Quanto alla confessione di fede non
dovrebbe più imporsi prima dell'atto liturgico battesimale. Dovrebbe seguire
invece il battesimo come confessione di fede della comunità riunita, alla quale
il battezzato può associarsi, dal momento che ora ne è membro.
Se ci si pone nella logica paolina (battesimo come segno di
una grazia che precede), il battesimo del fanciullo sottolinea in modo efficace
questa precedenza. Qui, il ruolo della famiglia e della chiesa è fondamentale
per sostenere la dimensione comunitaria dell'atto e la speranza (la
"benedizione") che questo contiene per il battezzato. Tutto sommato,
battesimo degli adulti e pedobattismo costituiscono solo delle accentuazioni
particolari basate su un'idea fondamentale comune: il battesimo è un dono che
Dio fa all'uomo. E' poco importante il momento in cui il battesimo avrà luogo:
nel caso del fanciullo sottolineerà la grazia che precede, nel caso di un
adulto attesterà invece la fede del battezzato per quanto incerta possa essere
e senza che essa venga sottoposta ad esame.
L'interpretazione che noi proponiamo del dato battesimale nel
Nuovo Testamento ci conduce a scartare dall'atto stesso (ma, certo, non dalla
vita cristiana) la nozione di risposta o di partecipazione attiva dell'uomo. Per
esempio, tra i motivi che possono portare dei genitori cristiani a non fare
battezzare il loro bambino, l'idea diffusa secondo la quale "egli sceglierà
in tutta coscienza" appare estranea al Nuovo Testamento. Ugualmente nel
caso di battesimi di fanciulli, l'idea di una confermazione diventa inutile
nella comprensione del battesimo da noi proposta. Tocca ai sistematici ed ai
teologi pratici (se la nostra lettura dei testi biblici suggeriti appare
accettabile) trarre le conclusioni per la riflessione teologica e per la vita
della Chiesa.