All'ultimo
direttivo della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Camillo Ruini
ha messo in cima alla sua relazione politica la denatalità. Non ha fatto
cifre. Non ha ricordato che nel 2025, a forza di fare pochi figli, gli
italiani saranno 9 milioni di meno. Ma ha ammonito a pesare le «devastanti
conseguenze» di questo «triste primato». E se l'è presa con i laici tipo
Alberto Ronchey e Giovanni Sartori che in «autorevoli editoriali» chiudono
gli occhi sul crollo demografico dell'Italia e danno piuttosto la colpa alla
Chiesa per le troppe nascite nel Terzo mondo.
Il punto debole della Chiesa non sono infatti l'India o l'Africa ma le
nazioni più cattoliche dell'Europa. In testa alle classifiche mondiali
della denatalità sono da tempo l'Italia e la Spagna. Entrambe con un indice
da molti anni in picchiata, vicinissimo alla media d'un solo figlio per
coppia e lontanissimo dai precetti di papa Giovanni Paolo II. Padre
inascoltato proprio dai suoi figli primogeniti, dai cattolici ferventi che
non perdono una messa.
La conferma è in un volumone del Mulino che è in libreria in questi
giorni, 850 pagine dal titolo dotto, "Nuzialità e fecondità in
trasformazione: percorsi e fattori del cambiamento", e dal contenuto
ancor più ostico per i non specialisti. Sono 47 saggi firmati da 68
studiosi, coordinati da Paolo De Sandre, Antonella Pinnelli e Antonio
Santini, professori di scienze demografiche rispettivamente nelle università
di Padova, Roma e Firenze. Tutti analizzano i risultati della più imponente
indagine sulla natalità sinora compiuta in Italia, eseguita dall'Istat su
6.000 intervistati tra i 20 e i 50 anni, uomini e in maggior misura donne. E
per la prima volta, dalla mole dei dati, fanno affiorare ciò che sinora al
più era stato intuito, ma mai documentato per bene: la massiccia, pacifica
disubbidienza dei cattolici praticanti ai precetti della Chiesa in materia
di sesso.
La disubbidienza non sta, propriamente, nel basso numero di figli: il
Concilio Vaticano II ha introdotto la parola d'ordine della «paternità
responsabile» per affermare l'autonomia degli sposi nel decidere quanti
figli mettere al mondo. Il punto critico è il come. Nel 1968 Paolo VI,
nell'enciclica "Humanae Vitae", stabilì che i soli modi leciti
per non procreare sono i metodi naturali: l'astinenza dal sesso nei giorni
di fecondità della sposa, individuati con la semplice osservazione dei
ritmi corporei, delle temperature, delle secrezioni. Da allora, questa è
rimasta la dottrina ufficiale della Chiesa cattolica. Vescovi ed episcopati
nazionali si sono mossi perché venisse allentata, per dare cittadinanza
legittima anche ai contraccettivi artificiali. Ma Giovanni Paolo II è
sempre stato intransigente: la predicazione pubblica della Chiesa è questa,
e questa deve restare. A mediare in privato con le coscienze degli sposi
cattolici provvedono parroci e confessori, di fatto molto tolleranti con le
scelte difformi dei loro fedeli.
Sta di fatto che in Italia gli sposi cattolici non si distinguono dagli
altri per numero di figli. Non importa che in alcuni circoli ferventi le
coppie siano molto più prolifiche. I neocatecumenali teorizzano che «tra
moglie e marito non ci sia né termometro né calendario ma solo il buon Dio»,
e generano fino a otto, dieci, dodici figli. Le famiglie discepole del
monaco Giuseppe Dossetti producono anch'esse figliolanze numerose. E
altrettanto fertili sono le coppie modello dell'Opus Dei, o dei Focolarini,
o delle Equipes Notre Dame. Ma non sono queste eccezioni a modificare i
grandi numeri.
Non solo. Le differenze tra chi va in chiesa tutte le domeniche e chi mai
sono minime anche nell'uso dei metodi contraccettivi. Il grafico in questa
pagina mostra quanto sia generalizzato tra le donne cattoliche l'uso dei
metodi proibiti dalla Chiesa. E viceversa quanto siano poche quelle che
ricorrono ai metodi naturali, i soli approvati dalla morale cattolica:
appena 8 su cento, tra le donne sposate fra i 35 e i 44 anni assidue alla
messa. Le loro coetanee che non mettono mai piede in una chiesa ricorrono ai
metodi naturali nella misura di 6 su cento. E non è detto che questa
piccola differenza sia determinata dal fattore religione. A incidere
sull'uso dei metodi naturali è piuttosto il grado d'istruzione: vi
ricorrono 5 su cento delle donne con bassa scolarità e 12 su cento delle
laureate.
Rispetto a una precedente indagine dell'Istat di vent'anni fa, l'unica vera
novità contraccettiva è il declino del coito interrotto. «Ma i metodi
naturali raccomandati dalla Chiesa non hanno affatto guadagnato terreno,
neppure tra le praticanti», osserva Paolo De Sandre. «Il loro uso è
trasversale. E sembra piuttosto riflettere la ricerca di soluzioni
ecologiche e personalizzate».
Stando ai risultati dell'indagine, un terremoto culturale sembra scuotere i
cattolici. Da un lato i praticanti domenicali restano più ancorati degli
altri agli orientamenti della tradizione religiosa: sì al matrimonio «per
sempre», no all'aborto, meno divorzi, nuzialità più precoce. E più
restii degli altri ad abbracciare i comandamenti della nuova morale diffusa:
primi rapporti sessuali in età molto bassa, convivenze senza matrimonio,
aborto per semplice scelta, facile scioglimento dell'unione.
Dall'altro lato, però, anche tra i cattolici praticanti assidui trovano
spazio orientamenti molto antitradizionali. L'affermazione «una donna può
volere un figlio senza essere sposata» raccoglie tra di essi porzioni quasi
uguali d'accordo e di disaccordo. L'affermazione «mi piace sentire e vivere
il mio corpo molto intensamente» trova d'accordo i due terzi delle donne
che vanno a messa, praticamente come tra le non praticanti. Antonella
Clerici, dell'università di Padova, ha intitolato «autonomia di giudizio»
l'insieme di questi orientamenti nuovi che accomunano i due estremi della
scala religiosa: i ferventi e i miscredenti. «È nato un nuovo sistema di
valori», dice, «che avvicina i lontani e invece divide chi si trova a
celebrare lo stesso rito».