Nel nome del padre e della pillola
CATTOLICI E ANTICONCEZIONALI ~ UNA SCOPERTA CHOC

Fanno solo un figlio. Usano i preservativi... Uno studio svela che i fedeli non seguono il papa. E sono responsabili del calo delle nascite
(Sandro Magister, L'Espresso, 10 febbraio 2000)

All'ultimo direttivo della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Camillo Ruini ha messo in cima alla sua relazione politica la denatalità. Non ha fatto cifre. Non ha ricordato che nel 2025, a forza di fare pochi figli, gli italiani saranno 9 milioni di meno. Ma ha ammonito a pesare le «devastanti conseguenze» di questo «triste primato». E se l'è presa con i laici tipo Alberto Ronchey e Giovanni Sartori che in «autorevoli editoriali» chiudono gli occhi sul crollo demografico dell'Italia e danno piuttosto la colpa alla Chiesa per le troppe nascite nel Terzo mondo.
Il punto debole della Chiesa non sono infatti l'India o l'Africa ma le nazioni più cattoliche dell'Europa. In testa alle classifiche mondiali della denatalità sono da tempo l'Italia e la Spagna. Entrambe con un indice da molti anni in picchiata, vicinissimo alla media d'un solo figlio per coppia e lontanissimo dai precetti di papa Giovanni Paolo II. Padre inascoltato proprio dai suoi figli primogeniti, dai cattolici ferventi che non perdono una messa.
La conferma è in un volumone del Mulino che è in libreria in questi giorni, 850 pagine dal titolo dotto, "Nuzialità e fecondità in trasformazione: percorsi e fattori del cambiamento", e dal contenuto ancor più ostico per i non specialisti. Sono 47 saggi firmati da 68 studiosi, coordinati da Paolo De Sandre, Antonella Pinnelli e Antonio Santini, professori di scienze demografiche rispettivamente nelle università di Padova, Roma e Firenze. Tutti analizzano i risultati della più imponente indagine sulla natalità sinora compiuta in Italia, eseguita dall'Istat su 6.000 intervistati tra i 20 e i 50 anni, uomini e in maggior misura donne. E per la prima volta, dalla mole dei dati, fanno affiorare ciò che sinora al più era stato intuito, ma mai documentato per bene: la massiccia, pacifica disubbidienza dei cattolici praticanti ai precetti della Chiesa in materia di sesso.
La disubbidienza non sta, propriamente, nel basso numero di figli: il Concilio Vaticano II ha introdotto la parola d'ordine della «paternità responsabile» per affermare l'autonomia degli sposi nel decidere quanti figli mettere al mondo. Il punto critico è il come. Nel 1968 Paolo VI, nell'enciclica "Humanae Vitae", stabilì che i soli modi leciti per non procreare sono i metodi naturali: l'astinenza dal sesso nei giorni di fecondità della sposa, individuati con la semplice osservazione dei ritmi corporei, delle temperature, delle secrezioni. Da allora, questa è rimasta la dottrina ufficiale della Chiesa cattolica. Vescovi ed episcopati nazionali si sono mossi perché venisse allentata, per dare cittadinanza legittima anche ai contraccettivi artificiali. Ma Giovanni Paolo II è sempre stato intransigente: la predicazione pubblica della Chiesa è questa, e questa deve restare. A mediare in privato con le coscienze degli sposi cattolici provvedono parroci e confessori, di fatto molto tolleranti con le scelte difformi dei loro fedeli.
Sta di fatto che in Italia gli sposi cattolici non si distinguono dagli altri per numero di figli. Non importa che in alcuni circoli ferventi le coppie siano molto più prolifiche. I neocatecumenali teorizzano che «tra moglie e marito non ci sia né termometro né calendario ma solo il buon Dio», e generano fino a otto, dieci, dodici figli. Le famiglie discepole del monaco Giuseppe Dossetti producono anch'esse figliolanze numerose. E altrettanto fertili sono le coppie modello dell'Opus Dei, o dei Focolarini, o delle Equipes Notre Dame. Ma non sono queste eccezioni a modificare i grandi numeri.
Non solo. Le differenze tra chi va in chiesa tutte le domeniche e chi mai sono minime anche nell'uso dei metodi contraccettivi. Il grafico in questa pagina mostra quanto sia generalizzato tra le donne cattoliche l'uso dei metodi proibiti dalla Chiesa. E viceversa quanto siano poche quelle che ricorrono ai metodi naturali, i soli approvati dalla morale cattolica: appena 8 su cento, tra le donne sposate fra i 35 e i 44 anni assidue alla messa. Le loro coetanee che non mettono mai piede in una chiesa ricorrono ai metodi naturali nella misura di 6 su cento. E non è detto che questa piccola differenza sia determinata dal fattore religione. A incidere sull'uso dei metodi naturali è piuttosto il grado d'istruzione: vi ricorrono 5 su cento delle donne con bassa scolarità e 12 su cento delle laureate.
Rispetto a una precedente indagine dell'Istat di vent'anni fa, l'unica vera novità contraccettiva è il declino del coito interrotto. «Ma i metodi naturali raccomandati dalla Chiesa non hanno affatto guadagnato terreno, neppure tra le praticanti», osserva Paolo De Sandre. «Il loro uso è trasversale. E sembra piuttosto riflettere la ricerca di soluzioni ecologiche e personalizzate».
Stando ai risultati dell'indagine, un terremoto culturale sembra scuotere i cattolici. Da un lato i praticanti domenicali restano più ancorati degli altri agli orientamenti della tradizione religiosa: sì al matrimonio «per sempre», no all'aborto, meno divorzi, nuzialità più precoce. E più restii degli altri ad abbracciare i comandamenti della nuova morale diffusa: primi rapporti sessuali in età molto bassa, convivenze senza matrimonio, aborto per semplice scelta, facile scioglimento dell'unione.
Dall'altro lato, però, anche tra i cattolici praticanti assidui trovano spazio orientamenti molto antitradizionali. L'affermazione «una donna può volere un figlio senza essere sposata» raccoglie tra di essi porzioni quasi uguali d'accordo e di disaccordo. L'affermazione «mi piace sentire e vivere il mio corpo molto intensamente» trova d'accordo i due terzi delle donne che vanno a messa, praticamente come tra le non praticanti. Antonella Clerici, dell'università di Padova, ha intitolato «autonomia di giudizio» l'insieme di questi orientamenti nuovi che accomunano i due estremi della scala religiosa: i ferventi e i miscredenti. «È nato un nuovo sistema di valori», dice, «che avvicina i lontani e invece divide chi si trova a celebrare lo stesso rito».