LA CHIESA DEL FUTURO

Oscar Antonio Campana

~ Teologo argentino, direttore della rivista "Vida Pastoral".
Insegna presso l'Istituto superiore di studi teologici "Cristo Buon Pastore", di cui è anche segretario accademico, carica che ricopre anche al Centro di studi salesiano di Buenos Aires.
Estratto da "Adista" del 7 gennaio 2002 ~


Qualche tempo fa qualcuno mi ha suggerito di scrivere una nota sul tema "La Chiesa del futuro". Il primo sentimento è stato di timore: che avrei potuto dire del futuro? Poi, riflettendo, ho pensato che, sebbene io non possieda di certo il dono della profezia, faccio parte di un popolo tutto profeta, la Chiesa. D'altronde, il titolo sapeva di speranza: solo dalla speranza si può spiare il futuro. E ho accettato la sfida, mentre nella mia mente e nel mio cuore si facevano strada due libri pubblicati negli ultimi anni e che parlano molto della Chiesa del presente, che vorremmo fosse presto la Chiesa del passato: La Iglesia increíble (La Chiesa incredibile), di Luis Pérez Aguirre, e Querida Iglesia (Cara Chiesa), di Carlos Fernando Vallés.
Nella Bibbia si descrivono vari tipi di profezia. E a volte il cammino della parola passa per i sogni. Non so come sarà la Chiesa del futuro. So solo come la sogno. Se c'è ancora un posto per un sogno storico-teologico, è questo. E invito i lettori a sognare con me; e chissà che un giorno non si sogni tutti lo stesso sogno.

Le Chiese locali

La Chiesa del futuro sarà quella del passato, quella suggerita dal Concilio Vaticano II: una comunità di comunità. La Chiesa sarà, prima di tutto, la Chiesa locale. Pensando alla Chiesa, l'immagine che si affaccerà non sarà quella della piramide ma quella della riunione. La Koinonía-Comunione sarà il suo nome proprio. A quell'altezza, saranno scomparsi gli ordinariati castrensi, residuo scandaloso delle crociate, e le prelature personali come quella dell'Opus Dei.
Non ci sarà altra dignità nella Chiesa che quella del battezzato e non ci sarà altra appartenenza che non sia quella della comunità. Perché la Chiesa del futuro avrà compreso che il sogno di comunione del Vaticano II è possibile solo se ogni Chiesa locale è a sua volta essa stessa comunità di comunità. E al di là dei nomi che queste hanno, risulterà chiaro che la Chiesa è quello che fa, e quello che fa è creare comunità là dove si trova. Solo la comunità è il luogo della Teo-fania, perché solo in essa può manifestarsi un Dio che nel più profondo del suo essere non è una solitudine immobile ma è comunione di un Padre e di un Figlio nella dinamica dello Spirito. Per questo la Chiesa incessantemente anima nella storia degli uomini l'utopia della fraternità della quale ci dà conto tutto il Nuovo Testamento.

Il Vescovo di Roma

Un giorno, nella Chiesa del futuro, tutti si renderanno conto che la curia romana non aveva fondamento teologico. E allora si dissolveranno i dicasteri, le segreterie e le commissioni pontificie. "La guardia svizzera" sarà il nome di una cioccolateria e la carriera diplomatica della Santa Sede sarà considerata un'aberrazione non meno dell'Inquisizione e delle crociate.
Non ci saranno principi della Chiesa né cappellani di sua santità. Il papa lascerà i suoi appartamenti apostolici e si ritirerà a San Giovanni in Laterano. La basilica di San Pietro sarà il tempio di tutti e il patrimonio artistico del Vaticano passerà nelle mani dell'Unesco.
Il papa sarà, più che mai, il vescovo di Roma. Si incaricherà, come ogni vescovo, dei problemi della sua diocesi, nella quale si sposterà incessantemente rinunciando alla "papamobile", senza dimenticare che, come diceva nel II secolo Ignazio di Antiochia, è il vescovo della Chiesa locale che "presiede alle altre nella carità".
Ogni tanto si riunirà con gli altri vescovi, che gli renderanno visita spontaneamente, senza agenda né protocolli. Ogni tanto occuperà il suo posto nel Consiglio Mondiale delle Chiese. E quando il vescovo di Roma dovesse morire, e come succederebbe con tutti i vescovi, le comunità della sua diocesi, attraverso i presbiteri e con il consenso degli altri vescovi della regione, eleggeranno il successore, che non cambierà il proprio nome né gli aggiungerà un numero.

Le Chiese sorelle

Nella Chiesa del futuro non si parlerà di ecumenismo. Perché non ce ne sarà più bisogno. Le diverse Chiese avranno accettato le loro differenze e convivranno nel reciproco rispetto, nel dialogo fecondo e nel comune impegno. Smetteranno di disputarsi la gente come se fosse un bottino e cercheranno di dare testimonianza di unità a partire dalla differenza.
E non ci saranno più commissioni teologiche che avvicinino le posizioni, perché non ci saranno posizioni da avvicinare. Si riuniranno per celebrare il pane della Parola e dell'eucarestia pregando insieme Dio "perché tutti siano una cosa sola" (Gv 17,3). E daranno testimonianza di Cristo in mezzo alla vita e alla sofferenza dei più piccoli.

I ministeri

Nella Chiesa del futuro, comunità di comunità, tutta battesimale, sarà esplosa la pluralità dei ministeri nell'unità della fede, della speranza, dell'amore. Infine sarà caduto il muro - o la scalinata - che separa il clero e il laicato. La Chiesa sarà, tutta, popolo di Dio. E lo sarà realmente in ciascuno dei suoi membri.
Alla fine si sarà compresa la necessità e l'importanza di distinguere, nel sacerdozio, il carisma del celibato dal ministero. E, come già succede nella Chiesa che è in Oriente, ci saranno sacerdoti sposati e sacerdoti celibi. La loro formazione non si farà nell'isolamento di un chiostro ma nel mezzo della vita della società e delle comunità. E, come Paolo, lavoreranno per guadagnarsi il pane. Il diaconato avrà mostrato alla Chiesa che, tutta, è diacona, serva. E questo ministero, il primo che la Chiesa ha dato a se stessa, sarà il più ambito dai cristiani.
I teologi insegneranno senza altra condizione che quella del loro impegno verso le comunità, abbandonando il modello ancora vigente del teologo medievale, "scolastico", e tornando a quello della Chiesa dei primi secoli, il "teologo-pastore".
La catechesi, la liturgia, la lettura della Bibbia, la spiritualità e le diverse forme di pietà popolare avranno dato luogo ad una grande varietà di ministeri sorti nel seno delle comunità e per il servizio alle stesse.

La donna

In questa Chiesa ministeriale, le donne occuperanno un posto nuovo e di spicco. Usciranno dall'ombra nella quale tanti secoli di maschilismo e di lettura mascolinizzante degli scritti cristiani le avevano confinate.
Non ci sarà differenza di sessi nei ministeri, nemmeno nel ministero sacerdotale. Nessuno potrà più dire che "la donna non può essere immagine della persona di Cristo perché Cristo era un uomo", come se la grazia di Dio fosse sessuata e potesse essere compresa solo nel genere maschile.
Perché nella Chiesa del futuro, Dio sarà celebrato come il Padre misericordioso che ci prepara la festa del reincontro e del perdono e anche come la Madre che con amore sviscerato ci stringe al suo seno.
Dopo tanti secoli di sessismo e di clerocrazia, la Chiesa del futuro sarà profondamente comunitaria, ministeriale e femminile.

La Bibbia

Nella Chiesa del futuro si ricorderà il Concilio Vaticano II come quello che restituì la Bibbia al popolo di Dio. E, in esso, la Bibbia ha fatto il suo cammino. La sua lettura nelle comunità ha fatto scoprire, nascosti in essa, nuovi significati che aspettavano il loro momento. Ha alimentato la preghiera e l'impegno. Il popolo ha saputo leggersi nelle parole della Bibbia e rileggersi nella storia che racconta.
In essa i credenti si sono ritrovati con quel Dio misericordioso che attraversa tutte le sue pagine: dal momento in cui ha ascoltato il grido del sangue di Abele fino al momento in cui, alla fine della storia, asciugherà tutte le lacrime.
In essa hanno riscoperto il dramma di Gesù di Nazareth, il profeta itinerante che non aveva dove poggiare il capo ma che ha offerto il suo petto perché il discepolo vi poggiasse il suo. Colui che ha celebrato il Dio di cui ha rivelato i segreti ai piccoli e ai semplici, i poveri con i quali egli si è identificato fino al punto di condividere la loro sorte.
Nella Chiesa del futuro il popolo di Dio, comunità di comunità, con la Bibbia in mano, saprà farsi libro aperto dove Dio continuerà a raccontarsi agli uomini come storia vivente di amore e di misericordia.

I poveri

La Chiesa del futuro avrà sperimentato che nella sua vicinanza ai poveri stava tutta la sua credibilità e autenticità. E che solo così essa avrebbe potuto essere, come voleva Giovanni XXIII nel convocare il Concilio Vaticano II, "la Chiesa dei poveri": "per i Paesi sottosviluppati, la Chiesa si presenta com'è e come vuole essere, come la Chiesa di tutti, in particolare come la Chiesa dei poveri".
La teologia della liberazione sarà ricordata come l'espressione di quella Chiesa che meglio ha compreso le "insinuazioni" dello Spirito disseminate qua e là nel testo conciliare:
"Cristo fu inviato dal Padre ad evangelizzare i poveri e a innalzare gli oppressi, per cercare di salvare chi si era perso; così anche la Chiesa abbraccia con il suo amore tutti gli afflitti dalla debolezza umana; più ancora, riconosce nei poveri e in coloro che soffrono l'immagine del suo Fondatore povero e paziente, si sforza di porre rimedio alle loro necessità e cerca di servire, in essi, Cristo. Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini del nostro tempo, soprattutto dei poveri e dei sofferenti, sono insieme gioie e speranze, tristezze e angosce dei discepoli di Cristo".
Mai più la Chiesa starà dalla parte dei potenti. Mai si sentirà "mediatrice" nei conflitti che coinvolgono i più indifesi: starà al loro fianco. In poche parole, sentirà la sua missione come quella del buon samaritano, facendosi segno visibile del Dio che nel suo grembo consolerà tutto il dolore della storia, del Dio che non ha altra perfezione da essere imitata che quella della misericordia.
Dal suo posto a fianco dei poveri celebrerà spontaneamente, e senza cause né processi, i santi e i martiri dei diseredati, come Angelelli, Romero e Proaño. E lotterà con tutte le sue forze contro le cause della povertà e dell'oppressione.
La Chiesa sarà essa stessa dei poveri, i quali, come chi prende possesso di una casa, sistemeranno tutto a loro gusto. E la Chiesa, pertanto, sarà essa stessa povera, non come frutto di un "voto" ma come naturale conseguenza della sua conversione.

I diritti umani

Nella sua fedeltà ai poveri, la Chiesa del futuro vorrà accompagnare l'impegno degli uomini di buona volontà sui diritti umani, in nome di quel Dio che, come ci dice san Giacomo nella sua lettera, non fa preferenza fra persone, perché in Gesù Cristo - dice Paolo - non c'è né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna…
La Chiesa potrà prendere le difese degli altri perché in essa si terrà conto dei diritti umani di tutti: rispetterà la libertà di coscienza dei credenti sui temi più vari e nelle circostanze più diverse, prendendo molto sul serio il fatto che la coscienza è il "santuario" dove Dio si manifesta in ogni uomo.
In nome di chi è venuto a liberarci perché fossimo liberi, la Chiesa non difenderà il suo posto e i suoi privilegi, ma sarà serva di tutti e testimone della vita ovunque essa si manifesti. Non chiuderà le sue porte a Rachele che piange i suoi figli, ma la Chiesa stessa terrà un fazzoletto bianco sulla sua testa.
Non chiuderà le sue porte a nessuno perché la sua casa, anticipo della patria definitiva, sarà la casa di tutti.

La Chiesa, laboratorio aperto verso il futuro

Svegliandomi dal mio sogno, incontro questo testo scritto qualche anno fa dal card. Roger Etchegaray:
"… la Chiesa è capace di trovare le tracce del Vangelo nel peregrinare degli uomini e dei popoli. Ma più si adegua ai tempi, a maggior ragione deve lasciare trasparire il suo aspetto originale. L'uomo moderno, spesso deluso o tradito dalle sue stesse opere, attende molto dalla Chiesa, molto più di quello che dice e anche pensa. Non è che la Chiesa debba sedurre una clientela; sa, senza dubbio, che il mondo la supererà in tutti i campi. Di fronte alle sfide gigantesche di questo mondo, la Chiesa è come il piccolo Davide di fronte a Golia. Cos'ha essa, che il mondo non possa offrire a se stesso? Cosa sarà essa che non possa venire inventato dal mondo? Essa non risponde a tutti gli interrogativi, ma chiama tutti a che vadano più lontano, fino all'estremità dell'umano. Non traccia un suo proprio cammino, ma apre un laboratorio sempre più ampio, ben al di là dell'anno 2000. Non dà oro né argento, ma - in nome di Gesù Cristo - dice: "alzati e cammina". Offre, semplicemente, l'incontro con il Risorto, con Colui che risveglia e sazia al tempo stesso una fame di giustizia più profonda di quella degli uomini. Una Chiesa che insegnasse agli uomini solo quello che possono apprendere da soli diventerebbe presto una Chiesa insignificante, carente di interesse, non sarebbe Chiesa. Felice Chiesa pellegrina nell'età nucleare, ma le cui bisacce sono piene solo delle piccole pietruzze pulite dal torrente dello Spirito! Tutti i salvataggi che offre questo mondo, per quanto necessari, non arriveranno mai ad essere una salvezza. E questa salvezza, per debole e irrisoria che possa sembrare, è l'unica che salva veramente l'uomo, tutta l'umanità. Ecco qui l'unica "forza del Vangelo".
Dopo tutto, chissà, non siamo tanto pochi. Dopo tutto, questo sogno, in diverse forme, ha già cominciato ad essere sognato da molti. Paradossalmente, per giungere alla Chiesa sognata bisognerà rimanere attenti nella veglia dello Spirito, quella della mistica e dell'impegno, del canto e della liberazione, della gratuità e della giustizia, quella che, come il lettore attento avrà capito, ha già cominciato ad apparire tra di noi.


Ikthys