CONFESSIONI DI UN TEOLOGO


Sono andato alla ricerca delle cose nascoste di Dio, ho sezionato, scomposto, ricostituito e interpretato la Verità infinita della Parola di Dio intessendo mille sterili teorie con l'esercizio mistificante della mia ragione finita e presuntuosa.

Proponendo l'immagine di un dio che non accoglie chi dissente dalla mia dottrina, ho armato la mia mano con i postulati del mio credo religioso perseguitando chi non vi si conformava e osava contrastare i miei abusi e le mie deviazioni.

Ho ostinatamente preteso che la forma e la ritualità valgono più della sostanza, l'atteggiamento esteriore più del sentimento e delle convinzioni profonde.

Ho creduto di rendere giustizia ponendo sul piatto della mia bilancia la misura del mio interesse e delle mie prerogative.

Ho predicato l'altruismo, l'amore e la fraternità, chiudendo la mia borsa e il mio cuore.

Ho preteso che i miei fratelli guardassero Dio attraverso la lente deformata della mia accidia.

Mentre le mie labbra proferivano parole di vita e di amore, ho benedetto il fluire del sangue in guerre e in crociate che di religioso recavano solo il pretesto.

Ho coperto il mio orgoglio e la mia sete di potere con l'abito verbale della povertà e dell'umiltà, pur adulando dal pulpito della mia ipocrisia i ricchi e i potenti.

Ma ora, come folgorato da un'improvvisa illuminazione e resipiscenza, il dubbio della fallibilità delle mie radicate convinzioni mi assale: che abbia fatto mia una prerogativa che solo a Dio appartiene? Non ho forse fatto germogliare con l'acqua torbida della mia presunzione un nuovo albero della conoscenza del bene e del male gustandone i frutti? Non ho forse giudicato quando avrei dovuto capire? Non ho preteso quando avrei dovuto dare? Non ho dimostrato diffidenza, indifferenza, protervia ed egoismo, in luogo di comprensione, fratellanza e carità? Non ho contribuito ad edificare un mostruoso sepolcro imbiancato ripieno dei vermi della mia abiezione?

Al tramonto della mia vita, scopro nel mio cuore soltanto la gelida sensazione della delusione e dell'amarezza riflesse dal simulacro di un falso dio, dipinto con i colori della mia incapacità d'amare.

Mi rendo, finalmente, conto che l'ultima parola spetta solo all'Amore, che a nessuno compete il monopolio della Verità; che la parola "Io" può essere usata solo da Dio.

Scopro che idolatria non è soltanto quella di chi identifica Dio con un'immagine, ma anche quella di chi pretende di confinarlo in un'idea; che la Verità non è una formula, ma un'esperienza.

Mi accorgo di essermi occupato più del miraggio che del reale; più delle cose che del Signore delle cose; di essermi lasciato irretire dalle mie categorie mentali, pensando che racchiudessero l'Essere.

Scopro che i miei concetti astratti di Dio per quanto abbiano potuto accarezzare il mio orgoglio, non hanno dissetato la mia anima; che i miei sofismi, minuziosamente costruiti, hanno avuto soltanto il potere di fare di me un religioso fanatico, mandando deluse le istanze profonde del mio cuore.

Al cospetto di quest'inaspettata consapevolezza, mi chiedo se la misericordia di Dio mi concederà ancora la forza di portare la croce della rinuncia lungo la strada di tutti i miei errori passati.

Potrà la Verità trionfare sulla paura di perdere le prerogative e le posizioni di potere arrogantemente acquisite?

La mia umanità non è forse divenuta sorda alla dolce e suadente musica dell'Amore che sgorga dal cuore di Dio?

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