IL CONTROLLO DELLE
NASCITE
NELLA CHIESA CATTOLICA
Nessun problema coinvolge più direttamente il ruolo
dell'autorità in seno alla Chiesa cattolica romana di quello relativo al
controllo delle nascite.
L'insegnamento papale sulla contraccezione è spesso presentato come un'antica
verità della Chiesa. Ma ciò non è del tutto esatto.
S. Agostino, che ci ha trasmesso la teoria della guerra giusta, ci ha fornito
anche la teoria del giusto sesso quando ha scritto: "Il rapporto
sessuale, anche con la propria moglie, è contro la legge ed è un male se si
impedisce il concepimento".
Lo stesso Agostino, reputato come uno dei più grandi dottori della Chiesa, alla
fine del IV secolo, si preoccupava a tal proposito di sottolineare che «Se
si esclude la procreazione, gli sposi non sono che dei vili amanti, le mogli
delle prostitute, i letti coniugali dei bordelli e i suoceri dei protettori» (Contra
Faustus XV, 7)
In realtà, nella storia della Chiesa, i riferimenti alla contraccezione
artificiale sono stati rari e spesso ambigui persino a metà del XIX secolo.
Con l'enciclica di Pio XI Casti connubi, nel dicembre
1930, si pronunciava la prima condanna universale della contraccezione da parte
della Chiesa cattolica.
In essa si ricordava solennemente che, secondo la tradizione, qualsiasi
pratica matrimoniale, qualunque essa sia, con cui l'atto è privato, con
artificio umano, del suo naturale potere di procreare la vita, offende la legge
di Dio e la legge naturale, e coloro che avranno compiuto qualcosa del genere si
saranno macchiati di un grave colpa.
Tra il 1930 ed il 1968, quando Paolo VI riprese gli insegnamenti di Pio XI, la
popolazione mondiale era cresciuta di circa un miliardo di unità, che
rappresentava il totale della popolazione mondiale nel 1831.
In questo periodo, in campo teologico, prendeva sempre più consistenza un nuovo
orientamento contrario alla condanna della contraccezione.
Partendo dalla considerazione che la fecondità è limitata per natura ad un
periodo molto corto del ciclo femminile, se ne deduceva l'insostenibilità del
principio secondo cui la procreazione deve essere considerata come il fine
principale del matrimonio.
Si rilevava, inoltre, che, sotto il profilo morale, l'uso dei contraccettivi non
si discosta molto dalla scelta sistematica dei giorni sterili, tenuto conto che
in ambedue i casi, l'intenzione è la stessa.
Ogni disquisizione, si osservava, avente ad oggetto la presunta liceità dei
mezzi naturali e l'illeceità di quelli non naturali rischia
di risolversi in un enunciato più ipocrita che morale.
Una coppia può avere un'attitudine aperta alla vita senza per ciò stesso
lasciare che ogni atto sia destinato alla procreazione. Non bisogna esasperare
il "crescete e moltiplicatevi", dettato biblico che deve
essere accolto nella sua giusta dimensione e significato, senza indulgere in
atteggiamenti fondamentalisti o legalisti.
Con un contraccettivo non si uccide nessuno, qualcuno ha osservato, anche se
bisogna riconoscere che si può uccidere l'amore utilizzando l'altro come un
oggetto. Ma se è vero che l'altro non deve essere considerato grettamente come
un oggetto di piacere, è altrettanto irriverente sul piano umano
considerare l'uno come un fattore e l'altra
come una fattrice. Il criterio di riferimento per un cristiano non è
dunque la natura ma la persona e l'amore.
L'eccessivo rigorismo, ci vien fatto di pensare, non è forse il riflesso di
subconscie frustrazioni e di un mal inteso senso morale? Non ha detto forse
Gesù che tutto è puro per l'uomo puro? Non è vero che l'amore
cancella una grande quantità di peccati (1Pt 4:8)? E' il fine dell'atto
sessuale che ne determina la moralità, o non piuttosto l'intenzione
della persona che agisce? L'orientamento secondo cui il fondamento della morale
si troverebbe nelle leggi della natura, non trae ispirazione più dallo
stoicismo che dal Vangelo?
Il cardinale Suenens, favorevole ad una revisione della dottrina tradizionale
che riteneva insostenibile sul piano evangelico, ebbe, una volta, modo di dire: Vi
scongiuro, fratelli, evitiamo un nuovo "processo Galileo". Alla Chiesa
ne basta uno.
Per quanto il Magistero gerarchico possa essere di aiuto, esso non può
garantire che la visione morale del Maestro non sia stata confusa nella
coscienza di una Chiesa che ama imperfettamente. Non può pretendere di averla trasmessa
con fedeltà senza eccezioni. Se una Chiesa peccatrice dovesse richiedere prove
di questo fatto, la sua storia ne fornirebbe in abbondanza. Una realistica
sincerità nei confronti della Chiesa non ci obbliga ad ammettere che la Chiesa
non è o non è stata sempre senza macchia nè ruga. Uno scrittore anonimo del
XII secolo, davanti a vistosi errori dei Padri della Chiesa, ebbe modo di
esclamare senza perdere la fede: "Lo Spirito non sempre riesce a
toccare il cuore dei suoi santi".
Giovanni XXIII, in questo come in altri campi più sensibile dei suoi
predecessori (e successori) alle istanze esistenziali della base
(Chiesa come popolo di Dio), piuttosto che a quelle politiche
e magisteriali del partito romano conservatore (Chiesa come gerarchia
ecclesiastica), decise di riprendere in considerazione il problema del
controllo delle nascite.
Nel 1963 istituì la Commissione pontificia per il controllo della
popolazione e delle nascite, che sarà poi composta da 68 tra teologi,
scienziati, esperti matrimoniali e coppie sposate, tutti con esperienza a
livello mondiale, ai quali, nella primavera del 1966, si aggiunsero, in qualità
di supervisori, sedici cardinali e arcivescovi, nominati da Paolo VI.
In quello stesso momento, quattro vescovi, facendosi promotori delle nuove
istanze di rinnovamento, intervennero "verbalmente" al Concilio
Vaticano II, in corso di svolgimento, auspicando che gli insegnamenti
del papa tenessero conto della testimonianza dei fedeli, dei nuovi progressi
della teologia e dei cambiamenti intervenuti nel modo di intendere la psicologia
sessuale.
Invece di discuterne in sede conciliare, Paolo VI decise di accantonare queste
dichiarazioni, favorendo il proseguimento dei lavori della Commissione.
Il 24 giugno 1966, i vescovi della Commissione si pronunciarono sulla
domanda fondamentale: la contraccezione è lecita?
Solo quattro (tutti teologi) si dichiararono contrari a modificare
l'insegnamento papale al riguardo, ammettendo tuttavia di non essere in
grado di dimostrare il no al controllo delle
nascite sulla base della legge naturale, mancando al riguardo un
qualsiasi argomento nella Sacra Scrittura o nella Rivelazione divina.
La loro posizione, tuttavia, si esaurì nella constatazione che, essendo stati
gli ultimi papi così risolutamente contrari alla contraccezione, il loro
ispiratore doveva essere stato lo Spirito Santo; quindi, permettere un
cambiamento di rotta nell'insegnamento avrebbe compromesso nella gente
la fiducia nel papa.
Gli altri 64 membri della Commissione non accettarono questa tesi, frutto del
tradizionale sillogismo curiale di comodo, realizzato mediante le
solite alchimie teologiche.
Il risultato finale fu una stragrande maggioranza di voti (64 contro 4) contro
il mantenimento del divieto e a favore di una revisione
dell'insegnamento tradizionale.
Due papi avevano invitato i fedeli a servire la Chiesa e costoro l'avevano fatto
in piena coscienza. Era un momento storico decisamente critico, nel quale il sensus
fidelium offriva validi elementi di riflessione sulle esperienze della
sessualità umana.
A Paolo VI, però, cui stava particolarmente a cuore conservare
l'autorità del Magistero, non tenne in alcun conto tali
conclusioni, e come se nulla fosse successo, il 25 luglio 1968, unicamente
sulla base della sua autorità papale, riaffermò nell'enciclica Humanae
vitae la condanna tradizionale della contraccezione,
limitandosi soltanto a stralciare dal progetto originale ogni riferimento alla
nozione di peccato mortale ed ogni allusione all'infallibilità,
auspicati dalla corrente più conservatrice della gerarchia ecclesiastica
romana. A questo proposito, anzi, durante un'apposita conferenza stampa svoltasi
a Roma il 25 luglio 1968, un portavoce del papa ebbe modo di precisare che
l'enciclica non era un documento infallibile, e che quindi era
suscettibile di modifiche successive.
La continuità della tradizione risultava, comunque, salvaguardata.
Il paragrafo 14 della Humanae vitae risulta eloquente in
tal senso: "Dobbiamo ancora una volta dichiarare che si deve
assolutamente escludere, come mezzo lecito della regolazione delle nascite ...
ogni azione la quale, sia in previsione dell'atto coniugale, sia nel suo
svolgimento, sia nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga come
fine o come mezzo per rendere impossibile la procreazione."
Ma, a quel punto, la posta in gioco era ben più alta.
Gli argomenti centrali non erano più il controllo delle nascite o il sesso, ma
toccavano l'autorità della Chiesa ed il suo ruolo di maestra delle coscienze.
Nonostante il papa avesse ritenuto necessario mantenere il divieto della
contraccezione artificiale, molte Conferenze episcopali diedero
un'interpretazione più elastica a questo insegnamento.
Dissero ai loro fedeli che il papa poneva loro un ideale elevato, ma se, in
coscienza, essi non si sentivano in grado di viverlo, non avrebbero per
questo dovuto sentirsi in peccato.
René Simon, salesiano e teologo moralista di grande fama,0 dichiarò di
aver immediatamente rilevato in quel testo una contraddizione fra
l'affermazione che ogni atto coniugale deve restare "aperto alla vita"
e l'autorizzazione al ricorso (preconizzato nella prospettiva della paternità
responsabile) dei periodi di infecondità della donna.
La maggioranza della Commissione la cui voce era restata inascoltata, da parte
sua, rivolgendosi alle donne, così si esprimeva: "Dovete seguire le
direttive dell'Humanae vitae. Ma se vostro marito ha in proposito opinioni
difformi, dovete innanzi tutto proteggere l'unione coniugale, anche a costo di
sacrificare la procreazione. E poi procreare non significa soltanto dare la vita
a un figlio, ma anche poterlo educare. E' quindi la coscienza dei coniugi a
dover decidere. La norma generale è quella stabilita dall'Enciclica, ma non
sempre il mancato rispetto della norma rappresenta una colpa. Anche l'assassinio
è un peccato. Ma non commette peccato chi uccide per legittima difesa...".
L'uomo, insomma, deve assumersi una decisione responsabile. La decisione può
essere contraria a quella del papa, ma dal momento che egli non parla
infallibilmente a questo riguardo, è possibile non essere d'accordo con lui ed
agire in modo contrario alle sue istruzioni.
Questa era, d'altra parte, anche la posizione dei vescovi canadesi, olandesi,
tedeschi, francesi, e di alcuni italiani ed australiani.Quando è implicata la
verità non si è disposti ad accettare qualcosa come vero solo perché qualcuno
lo afferma tale. Essi domandavano delle ragioni, affermando che le ragioni che
l'enciclica elenca non sono probanti. Anche questo costituisce un modo di
esprimere la propria devozione a una Chiesa che, quando sbaglia, deve essere
corretta. Il Vaticano II, peraltro, ha continuamente affermato che i carismi e
lo Spirito Santo non sono una prerogativa esclusiva della gerarchia.
I sondaggi effettuati in molte nazioni, indicavano che le percentuali di
cattolici che praticavano il controllo delle nascite non erano diverse da quelle
di altri gruppi religiosi.
Quando il cardinale Karol Wojtyla divenne, nel 1978, papa Giovanni Paolo II, da
alcuni indizi sembrò filtrare una certa flessibilità sul tema del
controllo delle nascite in quanto egli additava gli ideali della Chiesa pur
mantenendo una certa tolleranza di fronte alle lotte della gente con le esigenze
pratiche della vita.
Ad esempio, in un discorso fatto quando era ancora arcivescovo di
Cracovia, ad un incontro organizzato a Milano dal "Centro Studi Famiglia",
Wojtyla aveva detto: "...ed ecco perché la Gaudium et spes, l'Enciclica
Humanae vitae e le dichiarazioni che esse hanno provocato..., l'insegnamento
della Chiesa, tutto ha il fine ultimo di formare una retta e matura coscienza
nei coniugi".
Tuttavia, fin dai primi mesi del suo pontificato, nei viaggi compiuti in vari
Paesi, Giovanni Paolo II continuò a far riferimento al divieto della
contraccezione quasi fosse un insegnamento immutabile della Chiesa.
Nel 1980, al Sinodo sulla famiglia a Roma, i vescovi americani ed inglesi, sotto
la pressione dei laici dei rispettivi Paesi, cercarono di far riaprire il
discorso sulla contraccezione.
L'arcivescovo John Quinn di San Francisco trovò il coraggio di corredare il suo
intervento con cifre riguardanti i cattolici nord-americani che non accettavano
il divieto: 71% dei sacerdoti, 84% dei laici ed il 91% dei giovani cattolici
U.S.A. non accettavano il divieto e si sentivano liberi di usare i
contraccettivi (nel caso dei sacerdoti, di permetterne l'uso). Ma questi
vescovi furono "snobbati" dal papa che consigliò loro di
iniziare campagne educative più incisive per far capire ed accettare
ai loro fedeli gli insegnamenti contro la contraccezione.
Da allora il papa ha fatto spesso delle dichiarazioni, quanto meno sorprendenti,
sull'argomento.
Ha detto, per esempio, ad un manipolo di preti convenuti il 17 settembre1983 a
Roma per un corso di pianificazione familiare basata sui metodi naturali, che
"coloro che praticano la contraccezione o addirittura pensano che sia
moralmente lecita, rifiutano oggettivamente di riconoscere Dio".
Questa posizione cosi rigida sembrava in tale contraddizione con le
preoccupazioni pastorali del papa che molti teologi italiani, in un primo tempo,
rifiutarono di credere che il papa in persona avesse scritto quel discorso.
Sembrava un papa ben diverso da quello che solo un anno prima si era rivolto
alla seconda Conferenza internazionale sulla famiglia delle Americhe ad
Acapulco, in Messico, nell'agosto del 1982.
Dopo aver lodato i metodi naturali di controllo delle nascite e quelli che li
promuovono, il pontefice aveva infatti dichiarato: "Non possiamo
concludere queste considerazioni senza ricordare che ci sono, nonostante tutto,
molte famiglie che vivono in situazioni tali -pensiamo ad esempio alle vaste
zone di acuta povertà del Terzo Mondo - da far sembrare impossibile
l'osservanza pratica della legge morale espressa dall'ideale cristiano. Pur
mantenendo ferma la sua validità, devono essere fatti grossi sforzi a livello
pastorale per rafforzare la fede di queste persone portandole gradualmente verso
la conoscenza e l'applicazione dell'ideale evangelico in base alla possibilità
delle loro forze".
Il buon senso e la comprensione del papa sembravano collegare l'adesione alla
dottrina papale tradizionale con una preoccupazione per i fatti concreti che
affrontano coloro le cui condizioni di vita rendono virtualmente impossibile la
pratica di tale dottrina. (Oggi, più dell'80% della popolazione dei Paesi in
via di sviluppo ha programmi di pianificazione familiare con la contraccezione
come metodo pienamente accettato. Si ritiene che i metodi "naturali"
siano applicati solo dal 2 al 4% della popolazione mondiale ed il loro effetto
in termini di freno all'aumento della popolazione mondiale - dal 2% del 1965
all'l,7% del 1984 - e stato del tutto irrilevante).
Il Vaticano ha sempre avuto la tendenza a minimizzare la gravità
dell'esplosione demografica nella seconda metà del XX secolo, che passata dai
2,5 miliardi del 1950 ai 4,7 miliardi del 1984, continuerà ad espandersi
vertiginosamente oltre i 6 miliardi nell'anno 2000. Attualmente, infatti, il
ritmo di crescita è valutato in cento milioni di persone in più ogni anno.
Giovanni Paolo II non esclude, peraltro, il diritto dei genitori di scegliere il
numero di figli che ritengono adeguato.
Nel suo messaggio alla Conferenza delle Nazioni Unite sulla popolazione
nell'agosto del 1984, egli dichiarò infatti: "Purtuttavia sappiamo
tutti che la decisione degli sposi di tenere ed allevare un figlio non è sempre
facile e genera spesso dei sacrifici. In questo caso la Chiesa è realistica: il
suo insegnamento in materia di maternità e paternità responsabile riguarda le
coppie sposate - le sole che abbiano il diritto di procreare - per assisterle in
quella che deve essere una decisione libera presa dalle due parti ed informata
sugli intervalli tra le nascite e la dimensione della famiglia. Questa decisione
dovrebbe essere fondata sul generoso apprezzamento, in spirito di preghiera, da
parte dei genitori, della loro collaborazione al progetto di Dio nella creazione
e delle responsabilità che hanno verso se stessi, i figli, la famiglia e la
società".
Si trattava di una dichiarazione di notevole portata, un progresso rispetto alle
prime dichiarazioni del Vaticano in ambito internazionale.
La frase successiva diceva però che tale scelta doveva essere praticata con
"mezzi moralmente accettabili", ossia con quelli "naturali",
che sono i soli che la Chiesa accetta.
Ma i metodi "naturali" non sono accessibili ad un vasto
numero di persone nel mondo e comunque non sono adatti a tutte le coppie.
In buona sostanza, il papa, riconoscendo le esigenze della coppia e ben
consapevole del fatto che il controllo delle nascite e lo sviluppo procedono di
pari passo, non si oppone alta limitazione delle nascite, ma è contrario a
tutti i mezzi efficaci, e ampiamente disponibili, che consentono di
raggiungere lo scopo.
Ci sono indubbiamente dei pro e dei contro in ogni
contraccettivo.
Astinenza e termometri, legamenti delle tube e vasectomie, pillole, spirali e
preservativi hanno potenzialmente delle controindicazioni di tipo fisico,
estetico, emotivo e la maggior parte delle coppie che ne fanno uso lo sa bene,
come è pur vero che esiste anche una "mentalità anticoncezionale"
che può ostacolare e inibire l'amore coniugale.
Purtroppo, però, la Chiesa ha sempre generalizzato rifiutandosi di assumere un
atteggiamento di comprensione nei riguardi della sessualità umana in tutte le
sue implicazioni. E' innegabile nella tradizione cristiana la permanenza di una
sorta di latente pessimismo manicheistico nei confronti del sesso
che puntualmente riemerge.
Soltanto dopo il Vaticano II, in molti scritti cattolici contemporanei, si
esalta la bellezza del sesso piuttosto che i suoi pericoli, ma l'antica
tradizione rimane operante, soprattutto nella mentalità di quei sacerdoti
rimasti a lungo avulsi dalla realtà, comprese molte realtà teologiche, della
vita del laicato.
La relazione di maggioranza della "Commissione pontificia per il
controllo delle nascite" spiegava la ragione per cui la Chiesa aveva
necessità di aggiornare i suoi insegnamenti sulla sessualità, citando "...i
cambiamenti sociali intervenuti nel matrimonio, nella famiglia, nella posizione
della donna: la riduzione della mortalità infantile, i progressi delle
conoscenze in campo fisiologico, biologico, psicologico e sessuale; una diversa
valutazione del significato della sessualità e delle relazioni fra i coniugi;
ma, in particolare, una miglior percezione della responsabilità dell'uomo (e
della donna) nell'umanizzare i doni della natura ed usarli per condurre la vita
dell'umanità verso una maggiore perfezione. Si deve infine tener conto
dell'opinione dei fedeli".
Anche il futuro Giovanni Paolo I, con un lungo e metodico lavoro aveva messo a
punto un documento, fatto pervenire a Paolo VI attraverso il card. Urbani, che
se non sanciva la "pillola cattolica", certo concedeva largo
margine alla coscienza dei coniugi.
Ma naturalmente alla fine, come si è visto, ebbero la meglio sia la fiducia di
Paolo VI nei processi strettamente biologici, intesi come unici punti di
riferimento morali, sia la presunzione del clero nell'attribuire alla Chiesa una
competenza particolare nel discernere la verità delle leggi naturali. Dopo la
doccia fredda della Humanae Vitae, mons. Albino Luciani si allineò
prontamente, esclamando: "Roma ha parlato, la causa è finita".
A proposito dell'Humanae vitae, il teologo metodista Albert C. Outler
pronosticava, in una sua analisi, che tale enciclica "...avrebbe fatto
andare all'indietro l'orologio della riforma cattolica molto più di quanto si
potesse immaginare...". Proseguiva affermando che il documento
conteneva delle incoerenze: "...ammette inoltre come lecito il ricorso
ai periodi infecondi, costituendo così un'eccezione all'insegnamento
tradizionale che vede nella procreazione l'unico sbocco dell'amore coniugale.".
L'enciclica, scriveva Outler nel 1968, fa appello agli uomini di scienza
perché spieghino in modo più approfondito le varie condizioni che favoriscono
un'adeguata regolazione delle nascite. Non è questa un'implicita
affermazione dell'amore coniugale non finalizzato alla procreazione?
Ora - ha commentato Outler - il papa ha deciso di aggravare la già
difficile crisi dell'autorità nella Chiesa cattolica romana - e delle sue
relazioni ecumeniche con le altre Chiese in quelli che mi sembrano il momento e
il modo sbagliati.
L'enciclica Veritatis splendor,
del 6 agosto 1993, compendiando il tradizionale insegnamento del Magistero,
nella più rigorosa aderenza alla Humanae vitae,
annovera tra gli "atti intrinsecamente cattivi" le pratiche
contraccettive (n.d.r.: escluse quelle "naturali")
mediante le quali l'atto coniugale è reso intenzionalmente infecondo. (§ 80).
Convinto che l'attitudine al godimento, nella sua essenza obiettiva, è
contraria all'amore, Giovanni Paolo II ritorna ad una nuova esaltazione
della continenza periodica.
Nell'affermare, inoltre, che l'Humanae vitae fa parte della
Rivelazione, con implicito sillogismo, ne afferma la sua infallibilità.
Da molti viene fatto osservare che l'enunciazione di qualifiche quali "contro
natura" e "secondo natura", sottesa a tale dottrina
cara al papa, presuppone come fissa una nozione che è al contrario sempre
mutevole, in funzione del semplice punto di vista che si vuole adottare, e
pertanto arbitraria.
Lascia, inoltre, perplessi e mal si comprende la logica di una morale
secondo cui uno stesso atto sessuale compiuto con l'intenzione di non
procreare, non sia necessariamente per sé stesso male, ma possa divenirlo
se l'espediente usato a tal fine non è "naturale"
(nei periodi infecondi = bene; con preservativi o pillola = male),
anche perché un'applicazione rigorosa delle argomentazioni che vi sono sottese,
che si risolvono nel discriminare ciò che è naturale da ciò che non
lo è, finirebbe per portare, paradossalmente e per converso, alla
condanna anche delle pratiche dirette a rendere possibile o comunque
favorire la gravidanza.
Questa la voce della tradizione e la logica del Magistero,
che non sembra certo riflettere il sensus fidelium,
al quale la Chiesa si richiama tanto volentieri in altre circostanze.
Sta di fatto che molti, soprattutto i giovani, hanno semplicemente
smesso di ascoltare.
E se la Chiesa sbaglia a tal punto in tema di sessualità umana - essi si
chiedono in tranquilla coscienza - chissà in quali altri campi sbaglia ancora.
In un mondo diviso, apparentemente avviato verso la distruzione nucleare,
travagliato dalla fame, dall'ingiustizia, dalla sofferenza e dalla rivoluzione
tecnologica, non vi è nulla di più tragico che si debba dedicare tanta energia
intellettuale ad un argomento d'importanza relativamente minore e così
debolmente legato ai principi evangelici.
E, perché non lo si dimentichi, il tema non è il controllo delle
nascite, ma i mezzi moralmente leciti per praticare tale
controllo.
Ma l'uomo non ha bisogno che gli si parli della pillola e di problemi ormai
superati: ha bisogno di conoscere quel Vangelo che deve dargli la pace.
Che c'è di male se gli sposi scelgono il numero dei loro figli, pianificano la
loro famiglia, stabiliscono fino a che punto possono spingersi il loro amore e
la loro energia? Devono affidare la fecondità al caso oppure programmare
l'amore? Non è forse vero che i mezzi contraccettivi sono secondari, mentre è
il senso dei rapporti coniugali che conta?
Nessun solido argomento impedisce alla Chiesa di autorizzare la contraccezione.
Basta soltanto riconoscere, come fa qualsiasi uomo che ama, che il
significato del sesso non si limita alla procreazione. Nell'attribuire alla
sessualità umana una coessenziale funzione procreativa, si rischia di accedere
alla concezione di una natura che richiama più quella animale
che quella umana.
Non crediamo che la contraccezione sia contro natura, ma piuttosto che
il calendario e il termometro possano trasformare la vita sessuale degli sposi,
assillati da immotivati ingenerati sensi di colpa, in un dovere in cui non vi è
più spazio per la spontaneità.
La contraccezione non turba né gli ebrei né gli altri fratelli cristiani.
Il patriarca ortodosso di Costantinopoli Atenagora I, interpellato in proposito,
una volta disse: "Non ho leggi da dare, ma il solo compito di
richiamare qual'è il significato della vita... Se un uomo e una donna si amano
veramente, non ci si deve intromettere nella loro stanza, tutto ciò che fanno
è santo...". La Chiesa deve annunciare il Vangelo e suscitare la
fede, perché la fede è quella forza divina che permette di accettare l'altro;
la legge naturale non procura questa forza. Il teologo ortodosso
Olivier Clément, da parte sua osserva che non si tratta di chiedere alla
Chiesa di essere compiacente nei confronti del relativismo morale, ma di
ricordarle che non si può agire in profondità sulle coscienze che con la
persuasione facendo appello alla libertà.(...) Abbiamo veramente tanto
tempo da perdere? Tutte queste discussioni fra moralisti che pretendono di
stabilire tutto, non si risolvono in una fuga davanti all'essenziale?
L'ebraismo, pur condannando in linea di principio i mezzi contraccettivi
artificiali, "tiene conto delle situazioni individuali, caso per
caso" (rabbino Daniel Levy).
In campo protestante si osserva che gli uomini e le donne sono chiamati alla
libertà e alla responsabilità... secondo la Bibbia, la sessualità è buona,
gioiosa e benedetta... quanto alla procreazione, essa non è la finalità unica
del matrimonio, e ancor meno la sua sola giustificazione o il suo presupposto.
Le cittadine cattoliche praticanti, se credono, accetteranno i suggerimenti
vaticani; ma le altre (e sono milioni) devono essere libere di seguire la
propria coscienza, senza condizionamenti. «Perché la mia libertà - scrive
l'apostolo Paolo - dev'essere giudicata dalla coscienza altrui?».
E così i cattolici che amano la famiglia, con buona pace del Magistero,
pieni di speranza, amano Gesù, lodano Dio e continuano ad usare i
contraccettivi senza ricavarne il minimo senso di colpa.
E' vietato ma lo
faccio, sondaggio sulla morale dei cattolici a trent'anni
dall'enciclica "Humanae Vitae".
I cattolici e gli anticoncezionali
Tanti divieti, pochi osservanti,
scene da uno scisma strisciante.
La contraccezione naturale non è affatto
naturale, l'ex abate di Monserrat contro la morale
sessuale della Chiesa.