Dignità e liberazione

Prospettiva teologica e politica

(Juan José Tamayo-Acosta) (*)

(In Concilium, rivista internazionale di teologia, 2/2003, © www.queriniana.it)


Un filo rosso percorre la religione biblica, la storia del cristianesimo e alcuni dei principali momenti della riflessione teologica: quello che colloca la relazione tra Dio e l'essere umano al crocevia in cui convergono liberazione e dignità umana. Quest'ultima non rimane a livello del privato e dell'interiorità, ma conosce uno sviluppo socio-politico mediante un processo di liberazione nel quale il ruolo di protagonista spetta all'essere umano, con la guida e l'accompagnamento del Dio liberatore. Nella presente riflessione percorrerò alcuni di questi momenti.

I/ LE RADICI BIBLICHE

1/ L'esodo: recupero della dignità umana di un popolo

L'esperienza dell'esodo costituisce il primo momento in cui convergono la dignità dell'essere umano e la liberazione attraverso un lungo e complesso processo che ha sullo sfondo Dio. Il popolo ebraico vive in una condizione di schiavitù e di inumanità sotto la dittatura dei faraoni. Jahweh prende coscienza della situazione, mostra la sua indignazione e assume l'impegno di liberare il popolo perché recuperi la dignità che il faraone gli aveva negato. Il Dio invisibile diventa così visibile nelle sue opere; il Dio silenzioso entra in comunicazione con il popolo; il Dio assente si rende presente con gesta di liberazione; il Dio lontano fa il suo ingresso sulla scena della quotidianità e condivide la sorte, spesso avversa, della comunità ebraica; il Dio apparentemente impassibile si mostra sensibile alla sofferenza umana, al grido delle vittime; il Dio estraneo all'avventura umana decide di accompagnare gli Israeliti illuminando la strada; il Dio della promessa si fa pellegrino con il popolo, aprendogli il cammino, ma senza risparmiargli le difficoltà della strada.
Il testo biblico è assai espressivo dell'atteggiamento compassionevole e solidale di Jahweh: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele [...]. Il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto l'oppressione con cui gli Egiziani li tormentano. Ora va'! Io ti mando dal faraone. Fa' uscire dall'Egitto il mio popolo, gli Israeliti!» (Es 3,7-10).
Per raggiungere il risultato è necessaria la collaborazione dello stesso popolo attraverso uno dei suoi capi, Mosè, che suscita negli Ebrei oppressi una coscienza alternativa che sfocia nel recupero della loro dignità negata e nella creazione di una comunità libera e liberata. Per questo bisogna rompere con la realtà dell'Egitto dei faraoni, con la loro religione trionfalista e con la loro politica di oppressione, e inaugurare una religione della libertà e una politica di giustizia. Il riconoscimento della dignità del popolo non avviene in modo solo formale, per mezzo di una dichiarazione di principi o di intenzioni, ma pure attraverso un processo lento, difficile, che ha inizio dalla presa di coscienza del popolo e sfocia nella libertà collettiva. Questo processo non è solo mentale: esso esige il mettersi in cammino per uscire dal cerchio infernale della schiavitù e dell'eterno ritorno dell'oppressione.

2/ Una legislazione a difesa della dignità dell'essere umano e della terra

La dignità degli esseri umani e della terra sta alla base dei diversi corpi legislativi del Pentateuco (Codice dell'alleanza, Dodecalogo sichemita, Deuteronomio, Legge di santità) che assumono un profondo significato umanista ed ecologico. Il senso della dignità porta a riconoscere e a formulare con chiarezza i diritti delle persone escluse, dei gruppi più sfavoriti e della natura. Tra questi gruppi bisogna annoverare gli emigranti, gli orfani, le vedove, gli schiavi e i lavoratori. Il riconoscimento e la formulazione dei loro diritti possiedono un carattere imperativo e diventano norme di compimento obbligatorio che non ammette eccezioni: «Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri nel paese d'Egitto. Non maltratterai la vedova o l'orfano; se tu lo maltratti, quando invocherà da me l'aiuto, io ascolterò il suo grido...» (Es 22,20-22). «Non defrauderai il salariato povero e bisognoso, sia egli uno dei tuoi fratelli o uno dei forestieri che stanno nel tuo paese, nelle tue città; gli darai il suo salario il giorno stesso, prima che tramonti il sole, perché egli è povero e lo desidera; così egli non griderà contro di te a Jahweh e tu non sarai in peccato» (Dt 24,14-15). «Non consegnerai al suo padrone uno schiavo che, dopo essergli fuggito, si sarà rifugiato presso di te. Rimarrà da te nel tuo paese, nel luogo che avrà scelto, in quella città che gli parrà meglio; non lo molesterai» (Dt 23,16-17).
Il Dodecalogo sichemita, che rappresenta una tradizione antichissima, nondimeno radicalizza ancor più la proibizione, fino a dichiarare maledetto chi calpesta il diritto del forestiero, dell'orfano e della vedova (Dt 27,19). Il riconoscimento della dignità non rimane pertanto a livello formale, ma viene avallato da leggi che sanzionano gli atteggiamenti vessatori contro le persone.
La legislazione ebraica difende e protegge la dignità della terra, che non è un bene senza padrone del quale chiunque possa appropriarsi, né un oggetto di cui si possa abusare a proprio capriccio. I diritti della terra vengono formulati con lo stesso carattere imperativo di quelli dei gruppi più sfavoriti. I codici legislativi stabiliscono il riposo completo della terra, della vigna e dell'ulivo, come pure degli animali domestici (Es 23,10-11; Lv 25,1-7). Questo riposo ha luogo in occasione dell'anno sabbatico, ogni sette anni (Es 23,10-11; Lv 25,1-7), e in occasione dell'anno del giubileo, ogni cinquant'anni (Lv 25,11-12).

3/ // monoteismo etico dei profeti a favore delle alterità negate

Come riconoscono gli storici della religione di Israele e gli esegeti dell'Antico Testamento, la religione di Israele si caratterizza per il monoteismo etico: la cattedra da cui Dio si rivela sono gli esclusi, la gloria di Dio si manifesta attraverso azioni di liberazione, la conoscenza di Dio si traduce in pratica della giustizia. Il centro della vita religiosa non sono i tempi sacri, né i luoghi sacri, né le persone sacre, né le azioni sacre, ma l'esistenza umana con le sue luci e ombre, gli atteggiamenti etici. L'etica comincia quando entrano in scena gli altri, afferma Umberto Eco con chiaro linguaggio lévinasiano. Proprio gli altri esclusi, le alterità negate, costituiscono l'orizzonte del messaggio dei profeti di Israele. Sono essi a portare a termine la rivoluzione della soggettività nella religione di Israele, col situare il luogo dell'incontro della persona credente con Dio nell'interiorità, nella profondità, nel cuore. Una rivoluzione che comincia con il riconoscimento della dignità degli esseri umani umiliati dal peso delle strutture politiche ed economiche ingiuste e dal legalismo religioso.
La dignità non si raggiunge attraverso il culto, i sacrifici, le offerte, il digiuno, che spesso sfociano nel vuoto ritualismo e nella legittimazione dell'ingiustizia strutturale. Perciò Dio detesta il culto e lo scenario sacro in cui esso si svolge (Is 1,10-17; Ger 6,20; Am 5,21-27).
Secondo i profeti il culto non appartiene all'essenza della religione di Israele, non le è mai appartenuto. Così questo concetto viene espresso da Geremia in un testo che rinvia all'esodo: «In verità io non parlai né diedi comandi sull'olocausto e sul sacrificio ai vostri padri, quando li feci uscire dal paese d'Egitto» (Ger 7,22). La verità di questo asserto si può comprovare nel Decalogo, secondo il Codice dell'alleanza, dove non si trova alcuna prescrizione rituale. Ugualmente categorico e deciso si mostra Osea che mette sulla bocca di Dio una frase che il Vangelo di Matteo porrà due volte sulla bocca di Gesù di Nazaret: «Poiché io voglio l'amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti (Os 6,6; Mt 9,13; 12,7; cf. Mi 6,6-8; Am 5,21).
La propria dignità e quella degli altri la si raggiunge migliorando la condotta, amando la lealtà, desistendo dal fare il male, apprendendo a fare il bene, cercando ciò che è giusto, riconoscendo i diritti dell'oppresso, rendendo giustizia all'orfano, intercedendo per la vedova vulnerabile, dando da mangiare all'affamato, accogliendo il forestiero, consolando coloro che soffrono, annunciando la buona novella di liberazione ai poveri e proclamando la libertà dei prigionieri e dei carcerati (Is 1,16-17; 61,1-3; Am 5,14-15). La ricostruzione della dignità umana negata passa, pertanto, per la materialità del cibo e del vestito, per la com-passione nei confronti di coloro che soffrono, per il calore nell'accoglienza dell'altro, per l'affetto nell'ospitalità degli stranieri, per la premura nel trattare con le persone bisognose, per la consolazione delle persone tristi, per l'aiuto a scoprire il senso dato a coloro che vivono disorientati. L'altro escluso recupera la propria dignità quando siamo sensibili alla sua esclusione, ci mettiamo al suo posto e rispondiamo com-passionevolmente al suo grido: «Ho fame, ho sete, ho freddo».
La ricostruzione della dignità negata avviene pertanto tramite il ritorno all'interiorizzazione della religione, tramite la pratica della giustizia e il cambiamento delle strutture che negano questa dignità.
Il riconoscimento della dignità interiore senza trasformazione delle strutture che la negano rimane pura chiacchiera.

4/ Gesù di Nazaret: la dignità di coloro che vengono esclusi ad opera della religione

Con la scusa di difendere la dignità e i diritti di Dio, le religioni spesso negano la dignità e i diritti degli esseri umani, e soprattutto dei propri seguaci. In esse Dio appare come rivale, peggio, come vampiro che succhia il sangue all'essere umano e lo svuota della sua dignità. La negazione di Dio da parte dell'ateismo moderno affonda le sue radici proprio nella salvaguardia della dignità dell'essere umano.
Le religioni mettono le leggi al di sopra della libertà, l'obbedienza ai precetti che si presumono divini al di sopra della coscienza. Perfino la vita diventa un valore relativo dinanzi al valore assoluto della legge religiosa: il compimento di quest'ultima tende a situarsi al di sopra e prima della vita, fino al punto di esigere talora la morte.
Di fronte a una situazione di questo tipo si trova Gesù di Nazaret, che mette al centro del suo messaggio e come orizzonte della sua azione il riconoscimento della dignità umana a favore di quelle persone e gruppi sociali esclusi per motivi religiosi, sociali, politici, etnici o sessuali - malati, poveri, pubblicani, donne ecc. - e il loro inserimento nel progetto di salvezza da cui erano stati esclusi. E lo fa con parole e azioni. Con la parola: «In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti [a voi, sommi sacerdoti e anziani del popolo] nel regno di Dio» (Mt 21,31). Quando si produce un conflitto tra la legge e la dignità dell'uomo, egli propende per questa. Ciò lo porta a correggere la legge e perfino a non ottemperare ad essa se in gioco c'è la vita.
La religione è al servizio della vita e non viceversa. La salvezza, e non la condanna, costituisce il centro della predicazione e della prassi di Gesù.
Le parole di recupero della dignità non rimangono a livello di mera enunciazione, ma vengono accompagnate da gesti di liberazione che rendono reale il recupero annunciato. I miracoli sono gesti di compassione e di solidarietà attraverso i quali Gesù di Nazaret restituisce la dignità e l'integrità a coloro che ne erano stati privati, riconosce come persone coloro che venivano trattati come non-persone, li reintegra nella comunità da cui erano stati esclusi e ricostruisce il tessuto sociale distrutto dal codice di purità.
Il pasto con i peccatori e i pubblicani, con gente discreditata ed emarginata, è segno della presenza del regno di Dio nel mondo dell'emarginazione e significa comunità di vita con coloro che si situavano al di fuori della legge, con il conseguente scandalo per i Giudei osservanti della legge, che evitavano qualsiasi relazione con gente impura. Condividere il pasto comporta una profonda trama di reciprocità e interdipendenza, e al tempo stesso è esperienza di comunione e simbolo dell'interazione umana.
L'inserimento delle donne nel movimento comporta il fatto di liberarle dal permanente stato di minorità in cui erano relegate, dalle discriminazioni legali a cui si vedevano sottoposte e dalla dipendenza imposta dal patriarcato religioso, sociale e politico, e inserirle nella cerchia delle persone libere per la sequela.
L'accoglienza dei pagani «ritenuti gente senza Dio, rinnegati da Dio, senza maggior valore agli occhi dei Giudei che una balla di paglia o un sacco di immondizia» (J. Jeremias), comporta il riconoscimento della loro dignità e dell'universalità della salvezza: «Ora vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cicli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti» (Mt 8,11-12; par. Le 13,28-29). I pagani siedono alla stessa mensa dei "padri" della religione di Israele. Con questo atteggiamento aperto nei confronti dei pagani, Gesù mette in moto l'etica dell'alterità, che riconosce l'altro come altro, come diverso - e al tempo stesso come fratello/sorella - con la propria identità personale, etnica, culturale e religiosa. Il perdono dei peccati è probabilmente la sintesi migliore e il gesto per antonomasia della riabilitazione di tutte quelle persone che si avvertivano come condannate da Dio.
La riabilitazione ha luogo non solo a livello individuale o dello stesso gruppo di seguaci, ma pure a livello pubblico, di fronte ai capi religiosi e alla società. Le persone e i gruppi che la società e la religione consideravano indegni, Gesù li dichiara degni dinanzi a Dio e dinanzi agli esseri umani. Coloro che erano esclusi dalla cittadinanza, Gesù li riconosce cittadini a pieni diritti.

II/ LA LOTTA POLITICA

1/ Bartolomé de Las Casas: la difesa della dignità degli Indios

Bartolomé de Las Casas è probabilmente l'esempio più emblematico della sintesi tra dignità umana e liberazione nella duplice prospettiva teologica e politica e nella duplice dimensione religiosa e umanitaria. Con lui ha inizio una filosofia morale e politica dell'alterità molto più avanzata di quella degli illuministi europei di due secoli dopo. È quella che Francisco Fernàndez Buey definisce variante latina della filosofia morale europea sull'alterità e la tolleranza nella riflessione sullo scontro fra culture. Questa filosofia tende alla relativizzazione di ciò che è culturale, pur non cadendo nello scetticismo. Cerca di comprendere i comportamenti dell'altro e i suoi perché e si mostra tollerante verso le sue abitudini, ritenute dai contemporanei occidentali come "barbare". Adotta un atteggiamento critico verso la doppia morale utilizzata per valutare ciò che è un comportamento barbaro e ciò che è un comportamento evoluto. Non crede che il barbaro sia solo l'altro, ma possiede una coscienza storica che la porta a comprendere le altre culture e a ricordare gli atti di barbarie della propria. Sostiene una gerarchizzazione dei valori e opta per le persone e i gruppi umani ritenuti inferiori. Accetta la diversità culturale. Qualifica determinati comportamenti degli Indios - ritenuti aberranti dalla cultura occidentale - solo come errori moralmente giustificabili o scusabili, anche se modificabili. Sostiene l'egualitarismo cristiano. Mostra pietà e com-passione per l'altro e, partendo da questo atteggiamento, diventa discorso a favore dell'altro. È, infine, una filosofia morale che riconosce l'Indio come altro.
De Las Casas mette in pratica questi principi. Come? Negando l'assoluzione agli encomenderos [coloni occidentali aventi in carico le encomiendas] che continuavano ad avere Indios come schiavi; intervenendo nella elaborazione di leggi in difesa dei diritti degli indigeni; ergendosi in loro difesa nei confronti dei poteri reali; difendendo la loro dignità umana nel dibattito intellettuale dell'epoca contro Ginés de Sepùlveda che riteneva gli Indios inferiori e destinati per natura alla schiavitù.
Il percorso personale che B. de Las Casas segue fino a giungere alla formulazione della sua filosofia morale ha inizio con la sensibilità nei confronti dell'inumanità con la quale erano trattati gli indigeni, continua con l'indignazione e la denuncia di questa situazione e culmina con la proposta di leggi alternative che riconoscano agli indigeni un differente trattamento umano che sia in accordo con la loro dignità e l'esercizio dei loro diritti senza alcuna limitazione.

2/ Dietrich Bonhoeffer: dignità e liberazione in lotta contro il nazismo

Un altro esempio in cui dignità e liberazione convergono è quello del teologo martire Dietrich Bonhoeffer, in questo caso mediante un'azione di lotta contro il nazismo e l'elaborazione di un'etica della resistenza a partire dalla sua esperienza religiosa radicale.
Le chiese tedesche si sono sottomesse al nazismo. Hanno rinunciato alla difesa della dignità degli esseri umani per mantenere la propria condizione di privilegio e liberarsi della persecuzione nazista. Hanno accettato la protezione del Führer mentre i fratelli della resistenza venivano arrestati, accusati di altro tradimento e giustiziati, come è stato il caso di Bonhoeffer.
In un clima siffatto, e in mezzo all'incomprensione di non pochi cristiani e colleghi teologi, Bonhoeffer trasforma la difesa della dignità e della vita dell'essere umano nel centro della fede cristiana, della sua vita, della sua riflessione teologica e della sua etica. La fede, afferma, è prima di tutto un atto di vita. Gesù di Nazaret non crea un nuovo sistema di credenze, non convoca ad aderire a una nuova religione, ma alla vita.
Se la chiesa non vuole rimanere in un atteggiamento estetizzante e spiritualista deve porsi al servizio degli altri e difendere la dignità degli esseri umani. Così si esprime Bonhoeffer nella "Ipotesi per un lavoro" di Resistenza e resa: la chiesa è chiesa solamente quando esiste per gli altri e colla-bora nei compiti profani offrendo aiuto e servizio, non a partire dal dominio. La chiesa può cantare gregoriano solo se al tempo stesso leva la sua voce a favore degli Ebrei, dirà il mistico e attivista Bonhoeffer altrove, puntando il dito accusatore sulla chiesa tedesca comodamente inserita nel sistema. E per rendere ciò realtà crea insieme a Martin Niemöller la chiesa confessante, una delle organizzazioni cristiane più critiche nei confronti delle misure discriminatorie del nazismo contro gli Ebrei.
Pregare e praticare la giustizia: questo è il compito dei cristiani in seno alla società e in un clima di persecuzione contro la dignità umana. È il modo di attendere il tempo di Dio. Così si esprime Bonhoeffer in uno dei più bei paragrafi del suo testamento spirituale e politico, che sono le lettere dal carcere:

Il nostro essere cristiani oggi consisterà solo in due cose: nel pregare e nel fare ciò che è giusto tra gli uomini. [...] Non è nostro compito predire il giorno - ma quel giorno verrà - in cui degli uomini saranno chiamati nuovamente a pronunciare la parola di Dio in modo tale che il mondo ne sarà trasformato e rinnovato. Sarà un linguaggio nuovo, forse completamente non-religioso, ma capace di liberare e redimere, come il linguaggio di Gesù, tanto che gli uomini ne saranno spaventati e tuttavia saranno vinti dalla sua potenza: il linguaggio di una nuova giustizia e di una nuova verità, il linguaggio che annuncia la pace di Dio con gli uomini e la prossimità del suo Regno. [...] Ci saranno uomini che pregheranno, faranno ciò che è giusto e attenderanno il tempo di Dio. (Resistenza e resa, Queriniana, Brescia)

Il tempo di Dio non è quello dell'attesa oziosa e passiva che giunga il prossimo treno, ma il tempo della semina che, con l'adeguata coltivazione, la pioggia e il concime, darà un ricchissimo raccolto.
La difesa della dignità umana costituisce l'orizzonte dell'Etica di Bonhoeffer, piena di denunce, spesso criptiche e sottili, contro il nazionalsocialismo, che egli accusa di debolezza: «L'idea di annientare una vita che ha perduto la sua utilità sociale non nasce dalla forza ma dalla debolezza».
Bonhoeffer prende gradualmente le distanze dai progetti etici della teologia del suo tempo, sia da quelli di tendenza liberale, che erano una versione sfumata della "ideologia del progresso", sia da quelli della teologia dialettica, che accentuava la distanza radicale tra Dio e l'essere umano sfociando, infine, in un pessimismo etico. Egli offre un doppio fondamento all'etica: antropologico e cristologico. L'origine dell'etica va cercata nell'essere umano in quanto persona libera, autonoma e responsabile dei propri atti. Il bene etico per eccellenza da proteggere è la dignità e la vita dell'essere umano. Alla base dell'etica si trova così il medesimo Gesù Cristo, che è la realtà ultima; non il Cristo della dogmatica, ma gli atti e le sofferenze di Gesù di Nazaret. Abbiamo qui il superamento della concezione meramente dogmatica del cristianesimo e l'affermazione della sua dimensione morale. Etica e cristologia interagiscono e convergono nella prassi di liberazione di Gesù attraverso la trasgressione della legge e l'azione responsabile a favore della dignità degli esseri umani a cui viene negata quella stessa dignità.
Bonhoeffer è, a mio giudizio, un esempio di coerenza nei confronti della "morale formulata" nella sua Etica a favore della dignità umana e della "morale vissuta" attraverso l'impegno per la libertà e la lotta contro il nazismo.

III/ CONCLUSIONE: LA DIGNITA' NELLA PROSPETTIVA DEL GENERE, DELL'ETNIA, DELLA RELIGIONE E DELL'ECOLOGIA

Dignità e liberazione tornano a convergere oggi nelle diverse teologie della liberazione: nera, asiatica, latinoamericana, femminista, delle religioni ecc. Il loro punto di partenza è il grande fatto della negazione della dignità umana e dell'emarginazione cui si vedono sottoposti nazioni, popoli, comunità, gruppi sociali, per ragioni di sesso, razza, etnia, cultura, classe, lingua e religione. Si tratta di interi continenti esclusi a causa dell'uragano della globalizzazione neoliberale. Culture soffocate sotto il peso del pensiero unico; etnie e razze che sono oggetto di xenofobia e di razzismo da parte della cultura dominante; classi sociali sottoposte al dominio del capitale trasformato in idolo che esige sacrifici di vite umane; natura soggiogata da un modello di crescita economica che non viene accompagnato da uno sviluppo umano integrale e universale; religioni accusate di essere idolatriche e distrutte; donne emarginate due se non tre volte. La globalizzazione neoliberale proclama a parole, attraverso solenni dichiarazioni, la dignità di tutti gli esseri umani, mentre la nega con le sue politiche economiche che escludono più di due terzi dell'umanità.
La teologia africana pretende di rispondere al "grido dell'uomo africano" affrontando una duplice sfida - quella della inculturazione e quella della povertà strutturale del continente - e assumendo un duplice compito: il recupero del mondo simbolico delle religioni africane, piene come sono di una grande ricchezza antropologica, e l'interpretazione libe-ratrice della fede cristiana. Il luogo della riflessione teologica, dell'esperienza religiosa e dell'impegno cristiano non è l'Africa del tam-tam, ma l'"Africa strangolata" sotto il peso della colonizzazione culturale e dello sfruttamento economico. Questa teologia sostiene un cristianesimo, autenticamente africano, che superi la concezione colonizzatrice della missione, aiuti a canalizzare le aspirazioni di giustizia, libertà e uguaglianza del continente e contribuisca a liberarlo dalle strutture di dipendenza in cui esso vive.
Il nuovo paradigma teologico della liberazione a partire dallo sviluppo in Asia tiene conto della pluralità delle religioni e della plurale situazione di povertà del continente. A partire da qui cerca 1 incontro tra il vissuto mistico della sapienza (prañña) e l'impegno profetico dell'amore (agàpe). In questa teologia il cammino per il recupero della dignità umana negata ha luogo nell'incontro delle molte religioni con i molti poveri e nell'alleanza tra il dialogo interreligioso e la teologia della liberazione.
La teologia femminista destruttura il discorso teologico androcentrico che sottopone le donne a una situazione di dipendenza in relazione all'uomo, trasformato in paradigma di umanità e modello di comportamento. Ricostruisce un nuovo discorso in cui le donne esprimono la fede a partire dalla loro inalienabile soggettività e riformulano le proprie esperienze umane e le credenze religiose a partire dalla prospettiva di genere. In tal modo le donne riconoscono se stesse come mediatrici di grazia e di liberazione, si autoscoprono soggetti in tutte le dimensioni dell'essere e dell'impegno umano - sociale, politico, etico, religioso, ecclesiale e teologico - e affermano la propria dignità distrutta dal patriarcato.
Le tendenze attuali della teologia latinoamericana della liberazione si mostrano sensibili al grido dei nuovi soggetti oppressi - indigeni, afrolatinoamericani, contadini, donne, terra ecc. - che reclamano la loro dignità negata per secoli e secoli dalla conquista, dalla colonizzazione e oggi dalla globalizzazione neoliberale.
I movimenti indigeni e dei neri rispondono alla discriminazione etnica, razziale e culturale.
I movimenti femminili fanno fronte alla discriminazione sessuale.
I movimenti dei diritti umani denunciano le profonde carenze democratiche dell'attuale modello economico e politico. I contadini lottano contro il depredamento non solo delle terre che coltivano ma pure del prodotto del loro lavoro e perfino delle loro vite. I movimenti ecologisti rispondono al deterioramento dell'ambiente e alla distruzione della natura da parte delle multinazionali depredatrici. I movimenti di resistenza globale si ergono contro la globalizzazione neoliberale e propongono politiche alternative che rendano possibile un mondo diverso dove ci sia posto per tutti e per tutte.
Partendo dai nuovi soggetti, le odierne teologie latinoamericane allargano l'orizzonte della liberazione. La teologia indigena punta alla ricostruzione del soggetto indigeno come persona e come popolo attraverso il recupero delle sue culture e religioni come elementi fondamentali della sua identità.
La teologia afrolatinoamericana critica il feticcio di ciò che è bianco, afferma i valori religiosi e culturali delle comunità nere e ritiene la differenza espressione dell'identità umana plurale, negando in tal modo qualsiasi base antropologica alle tendenze xenofobe e razziste. La teologia in chiave ecologica si muove nell'ambito del paradigma cosmocentrico che interpreta la realtà in modo unitario, ascolta il grido della terra che soffre e sostiene la sua liberazione insieme a quella dell'umanità impoverita. La teologia femminista pretende di superare il disaccordo tra donna e teologia e traduce l'opzione per i poveri nei termini di opzione per le donne povere.
La teologia contadina considera la terra creazione di Dio e cerca in essa lo spazio di realizzazione ecoumana attraverso una relazione armonica, non opprimente, e un lavoro non alienato che permetta ai coltivatori della terra una vita degna.
La teologia liberatrice delle religioni viene elaborata nell'orizzonte del dialogo interreligioso, che deve essere correlazionale e globalmente corresponsabile. La correlazionalità comporta l'uguaglianza nei diritti di tutte le religioni, anche se non necessariamente l'uguaglianza nei loro asserti. La corresponsabilità globale esige il collaborare nella risposta ai grandi problemi dell'umanità e del pianeta. Il punto di partenza e la preoccupazione fondamentale del dialogo sono gli oppressi della terra e la terra oppressa, afferma Knitter, il principale rappresentante di questa teologia.

(Traduzione dallo spagnolo di Mauro Nicolosi)


* Juan José Tamayo-Acosta

È nato ad Amusco (Palencia, Spagna). Dottore in teologia e in filosofia e diplomato in scienze sociali, è direttore della Cattedra di teologia e scienze delle religioni «Ignaci Ellacuria» dell'Università Carlos III di Madrid, professore della Cattedra delle tre religioni presso l'Università di Valencia e segretario generale dell'Associazione dei teologi e teologhe «Juan XXIII». Collabora a numerose riviste europee e latino-americane di filosofia e di teologia con contributi relativi alla filosofia della religione e all'etica nella prospettiva dell'utopia, nonché con saggi sulla teologia della liberazione.

Tra le sue opere più recenti ricordiamo: La marginación, lugar social de los cristianos (Madrid 1998); Por eso lo mataron. El horizonte ètico de Jesùs de Nazaret (Madrid 1998) [trad. it., Per questo lo hanno ucciso. Cristologia storica in prospettiva etica, Cittadella, Assisi 2000]; Dios y Jesùs. El horizonte religioso de Jesùs de Nazaret (Madrid 2000); Para comprender la teologia de la liberación (Estella 20005); Para comprender la escatologìa cristiana (Estella 20002) [trad. it., L'escatologia cristiana, Boria, Roma 1996]; Para comprender la crisis de Dios hoy (Estella 2000:); Diez palabras clave sabre la globalización (Estella 2002); (in collaborazione con J. Bosch) Panorama de la teologìa latinoamerìcana (Estella 20022); Nuevo paradigma teològico en clave de liberación (Madrid 2003).

(Indirizzo: calle Ginzo de Limia, 55, I/B, 28034 Madrid, Spagna. E-mail: jtamayo@bbvnet.com )


Ikthys