non avesse fatta palese la virtù sua avreste dovuto per la più perversa cospirazione degli empi compiangere il Nostro fatale sommergimento. Rifugge l'animo dal rinnovare coll'amara esposizione di tanti infortuni il dolore vivissimo che ne provammo; e più Ci piace di sollevare riconoscenti benedizioni al Padre di ogni consolazione, il quale, con la dispersione dei ribelli, dall'imminente pericolo Ci trasse, e sedala la furiosa tempesta Ci fece respirare: Noi Ci proponemmo immediatamente di comunicarvi i Nostri divisamenti intesi al risanamento delle piaghe di Israele: ma la grave mole di cure che ne sopraggiunsero per conciliare il ristabilimento dell'ordine pubblico, pose allora un ostacolo a tal Nostro pensiero.

Novella cagione frattanto di tenerCi in silenzio venne suscitata dalla insolenza dei faziosi, che tentarono di alzare nuovamente il vessillo della fellonia. Vero è che, vedendo Noi che la lunga impunità e la costante Nostra benigna indulgenza, anziché ammansire, alimentava piuttosto lo sfrenato furor dei ribelli, dovemmo finalmente, sebbene con acerbissimo dispiacere, ricorrere alle armi spirituali per frenare tanta lor pervicacia, valendoCi dell'autorità a cotal fine da Dio a Noi conferita; ma da questo appunto agevolmente potete comprendere quanto più laboriosa sia la Nostra quotidiana sollecitudine.

Ma giunti alla fine a prendere il solenne possesso, secondo il costume dei Predecessori, della Nostra Basilica Lateranense, il quale per la cagione medesima avevamo dovuto differire, troncato ogni indugio Ci rivolgiamo solleciti a voi, Venerabili Fratelli, e pegno della Nostra dilezione vi indirizziamo questa Lettera, fra la esultanza di questo giorno lietissimo, in cui festeggiamo il trionfo della Vergine Assunta in Cielo, onde Essa, che Noi fra le più dolorose calamità sperimentammo sempre Avvocata Liberatrice, tale pure Ci assista propizia nello scrivere a voi, e con la sua Celeste ispirazione fecondi la Nostra mente di quei consigli che al cristiano gregge siano per essere sommamente salutari.

Dolenti invero, e col cuore sopraffatto dall'amarezza, a voi veniamo, Venerabili Fratelli, che atteso il vostro zelo ed attaccamento alla Religione ben sappiamo essere sommamente angustiati per tanta acerbità di tempi, in cui essa è ravvolta miseramente; poiché con tutta verità potremmo dire che l'ora è questa della potestà delle tenebre per vagliare, come grano, i figli di elezione. Piange a ragione può ripetersi con Isaia piange, e consumandosi vien meno la terra infetta da' suoi abitatori, perché hanno trasgredita la legge, hanno mutato il diritto ed hanno rotto il patto sempiterno .

Diciamo cose, Venerabili Fratelli, le quali avete voi pure di continuo sotto gli occhi vostri e che deploriamo perciò con pianto comune: superba tripudia l'improbità, insolente la scienza, licenziosa la sfrontatezza. Vien disprezzata la santità delle cose sacre, e l'augusta maestà del divin culto che pur tanto possiede di forza e di necessità sull'uman cuore, indegnamente da uomini ribaldi si riprova, si contamina e oggetto rendesi di ludibrio. Quindi si travolge e perverte la sana dottrina ed errori d'ogni genere si disseminano audacemente. Non leggi sacre, non diritti, non istituzioni, non discipline quali siansi più sante, sono al coperto dell'ardire di costoro, che solo eruttano malvagità dalla sozza loro bocca. Bersaglio di incessanti durissime vessazioni è fatta questa Romana Nostra Sede del Beatissimo Pietro, nella quale Gesù Cristo stabili la immobile base della sua Chiesa; ed i vincoli dell'unità di giorno in giorno sempre più s'indeboliscono e si disciolgono. Si oppugna la divina autorità della Chiesa, e calpestandone i diritti, assoggettare si vuole a ragioni terrene e con eccesso d'ingiustizia tentasi di renderla odiosa ai popoli, mentre si riduce ad ignominioso servaggio. Intanto si infrange l'ubbidienza dovuta ai Vescovi, e la loro autorità vien conculcata. Echeggiano orribilmente le Accademie e le Scuole di mostruosa novità di opinioni, con cui non più occultamente e con secrete mine la Cattolica fede si attacca, ma scopertamente e sotto gli occhi di tutti orrida e nefanda guerra le s muove. Imperocché corrotti gli animi dei giovani allievi per gli Insegnamenti viziosi, e per i pravi esempi dei precettori, si è dilatato ampiamente il guasto lacrimevole della religione ed il funestissimo pervertimento dei costumi. Scosso per tal maniera il freno della Santa Religione, che è la sola sopra cui si reggono saldi i Regni, e ferma si mantiene la forza e l'autorità di ogni dominazione, vedesi aumentare la sovversione dell'ordine pubblico, la decadenza dei Principati e il disfacimento di ogni legittima potestà. Ma un ammasso si enorme di disavventure devesi in speciale modo ripetere dalla cospirazione di quelle società, nelle quali sembra essersi accolto, come in sozza sentina, quanto v'ha di sacrilego, di abominevole e di empio nelle eresie e nelle sètte più ree.

Queste, Venerabili Fratelli, e più altre ancora, e forse più gravi cose, che al presente troppo lungo sarebbe L'annoverare, e che a voi sono ben cognite, in doglia Ci tengono tanto più acerba e durevole, in quanto posti sulla Cattedra del Principe degli Apostoli, Ci conosciamo in dovere di sentirCi divorare più che ogni altro dallo zelo della Casa di Dio. Ma scorgendoCi collocati in una Sede, ove non basta piangere soltanto queste innumerevoli sciagure, se ogni sforzo non adoperiamo per procurarne L'estirpamento, ricorriamo a tal fine al sussidio della vostra fede ed eccitiamo la vostra sollecitudine per la salvezza del cattolico gregge, Venerabili Fratelli, la cui specchiata virtù, religione, prudenza ed assiduità Ci aggiunge coraggio, ed in mezzo alla afflizione che Ci cagionano circostanze cosi disastrose, dolcemente Ci conforta e racconsola. Nostro obbligo è infatti alzar la voce e tentar ogni prova, perché né il cinghiale della selva devasti la vigna, né i lupi rapaci piombino a fare strage del gregge. A Noi spetta guidare le pecorelle a quei pascoli soltanto, che sian per esse salubri, e scevri d'ogni anche leggero sospetto d'essere perniciosi. Tolga Iddio, o Carissimi, tolga Iddio, che mentre pressano tanti mali e tanti pericoli sovrastano, manchino al proprio officio i Pastori, o colpiti da sbigottimento abbandonino le pecorelle, o, deposta la cura del gregge, si abbandonino all'ozio ed alla trascuratezza. Trattiamo anzi perciò nella unità dello Spirito la comune causa nostra, o a meglio dire la causa di Dio, e contro i comuni nemici vi sia per la salute dì tutto il popolo la medesima vigilanza in tutti e l'impegno medesimo,

Ciò voi felicemente adempirete, se, come esige la ragione del vostro incarico, attenderete indefessamente a voi stessi e alla dottrina, richiamando spesso al pensiero che la Chiesa Universale riceve urto da qualunque novità e che, secondo l'avviso del Pontefice Sant'Agatone, delle cose che furono regolarmente definite, nessuna devesi diminuire, nessuna mutare, nessuna aggiungere, ma tali esse si debbono, nelle parole e nei sensi, custodire illibate. Immobile cosi rimarrà la fortezza di quella unità, che come in suo fondamento si regge e contiene in questa Cattedra di Pietro, affinché onde appunto diramansi su tutte le Chiese i diritti della veneranda Comunione, ivi tutti rivengano e mura di difesa, e sicurezza, e porto libero dai flutti, e tesoro di beni innumerevoli. A rintuzzare pertanto la temerità di quelli, i quali adoperano tutti i mezzi o per abbattere i diritti di questa Santa Sede o per isciogliere quel nesso e congiungimento delle Chiese colla medesima, sul quale solo hanno esse fermezza, solidità e vigore, a tutti inculcate il massimo impegno di fedeltà e di venerazione sincera verso di lei, facendo altamente intendere con San Cipriano, che falsamente confida di essere nella Chiesa chi abbandona la Cattedra di Pietro, sopra la quale è fondata la Chiesa.

A tale scopo devono perciò attendere i vostri travagli, le vostre cure sollecite, l'assidua vigilanza vostra, affinché gelosamente sia custodito il santo deposito della Fede in mezzo all'infernale cospirazione degli empi, che con Nostro estremo cordoglio vediamo intenta a derubarlo e a perderlo. Ricordinsi tutti che il giudizio intorno alla Santa Dottrina da insegnarsi ai popoli, non meno che il governo ed il potere giurisdizionale della Chiesa è presso il Romano Pontefice, a cui fu conferita da Gesù Cristo la piena potestà di pascere, reggere e governare la Chiesa Universale, siccome dichiararono solennemente i Padri del Concilio di Firenze. Obbligo è poi di ogni Vescovo tenersi fedelissimamente attaccato alla Cattedra di Pietro, custodire santamente e scrupolosamente il deposito della Fede e pascere il gregge di Dio, che gli è affidato. I Sacerdoti debbono stare soggetti ai Vescovi, i quali, avverte San Girolamo, si devono dai medesimi riguardare come padri della loro anima: né mai si dimentichino esser loro anche dagli antichi Canoni vietato d'intraprendere azione alcuna nel Sacro Ministero, e di assumere l'ufficio di insegnare e di predicare senza l'annuenza del Vescovo a cui venne commesso il popolo e a cui si domanderà conto delle anime. Tengasi finalmente per regola certa ed immobile, che tutti quelli i quali macchinassero qualche cosa contro questo ordine cosi stabilito, perturberebbero, quanto è da loro, lo stato della Chiesa.

Sarebbe poi troppo nefanda cosa, ed aliena pienamente da quell'affetto di venerazione con cui debbonsi rispettare le leggi della Chiesa, il lasciarsi trasportare da forsennata mania di opinare a capriccio, sicché si permettesse alcuno di disapprovare, o di accusare quasi contraria a certi principi di diritto di natura, o di dire manchevole, e imperfetta, e dipendente dalla civile autorità quella sacra disciplina, che fissò la Chiesa per l'esercizio del divin culto, per la direzione dei costumi, per la prescrizione dei suoi diritti e per il gerarchico regolamento dei suoi Ministri.

Essendo poi massima infrangibile, per valerCi delle parole dei Padri Tridentini, che la Chiesa fu erudita da Gesù Cristo e dai suoi Apostoli, e che viene ammaestrata dallo Spirito Santo, il quale di giorno in giorno le suggerisce ogni verità, chiaro apparisce quanto assurda cosa ed alla stessa Chiesa al sommo oltraggiosa sia il proporsi una certa restaurazione e rigenerazione, come necessaria per provvedere alla sua salvezza ed ai suoi avanzamenti, quasi che riputare essa si potesse soggetta a difetto, o ad oscuramento, o ad altri inconvenienti di simile genere: macchine tutte e trame dirette dai novatori al malaugurato lor fine di gettare le fondamenta di un recente umano stabilimento, onde quello ne avvenga che tanto detestavasi da San Cipriano, che umana cosa addivenisse la Chiesa, la quale è cosa tutta divina. Ma quelli che vanno meditando si fatti disegni, considerino che per testimonianza di San Leone al solo Romano Pontefice è affidata la dispensazione dei Canoni, e che ad esso solo compete, e non a privato uomo chi che sia, il definire alcuna cosa sulle regole delle paterne sanzioni, e, siccome scrive San Gelasio, bilanciare di tal maniera i decreti dei Canoni, e commensurare in guisa i precetti dei Predecessori, che dopo diligenti riflessioni dia un conveniente temperamento a quelle cose che la necessità dei tempi richiede doversi in bene delle Chiese precedentemente moderate.

E qui vogliamo eccitare sempre più la costanza vostra a prò della Religione, onde vi opponiate all'immonda congiura contro il clericale celibato, la quale vi è noto accendersi ogni di più estesamente, unendo a quelli dei più sciagurati filosofi dell'età nostra i loro tentativi anche alcuni dell'istesso ceto ecclesiastico, i quali dimentichi della dignità loro e del loro ministero e trascinati dal lusinghiero torrente della voluttà, proruppero in tale eccesso di licenziosa impudenza, che non si ristettero di presentare in più luoghi pubbliche reiterate postulazioni ai Governi, onde abrogato venisse ed annientato questo santissimo punto di disciplina. Ma purtroppo C'incresce di trattenervi lungamente sopra questi attentati di turpitudine, e piuttosto con fiducia incarichiamo la religione vostra, acciocché tutto impieghiate il nerbo della vostra industria, per mantener sempre secondo il prescritto dei Sacri Canoni intatta, custodita e ferma e difesa una legge di tanto rilievo, contro la quale da ogni parte si scagliano gli strali degli impudichi.

Esige in seguito la Nostra premura l'onorando matrimonio dei Cristiani, che Sacramento grande in Cristo e nella Chiesa da San Paolo si chiama, affinché niente di meno retto si opini o si tenti di introdurre, che sia contrario alla sua santità o leda la indissolubilità del suo vincolo. Vi aveva questo già raccomandato istantemente nelle sue lettere il Nostro Predecessore Pio VII di felice memoria; ma ritornano a moltiplicarsi tuttavia contro di esso gli attentati della empietà. Fa perciò di mestieri istruire accuratamente i popoli, che il matrimonio, una volta legittimamente incontrato, non può più sciogliersi, e che ha Dio ingiunto ai coniugati una perpetua unione di vita ed un tal legame, che solo colla morte può rompersi. Rammentando come il matrimonio fra le cose sacre si novera, e che per questo è soggetto alla Chiesa, abbiano di continuo presenti le leggi da questa stabilite su di esso, e quelle adempiano santamente ed esattamente, siccome prescrizione dalla cui osservanza fedele dipende la forza, la validità e la giustizia del medesimo. Astengasi ognuno dal commettere per qualsivoglia motivo atti che siano contrari alle canoniche disposizioni e ai decreti dei Concili ehe lo riguardino, ben riconoscendosi che esito infelicissimo sogliono avere quei matrimoni che o contro la disciplina della Chiesa, o non implorata prima la benedizione del Cielo, o per solo bollore di cieca passione vengono celebrati, senza che della santità del Sacramento, e dei misteri che vi assecondano, alcun pensiero si prendano gli sposi.

Veniamo ora ad un'altra sorgente trabocchevole dei mali da cui compiangiamo affiitta presentemente la Chiesa. L'indifferentismo, vogliamo dire, ossia quella perversa opinione che per frodolenta opera degli increduli si dilatò in ogni parte, che cioè possa in qualunque professione di fede conseguirsi l'eterna salvezza dell'anima, se i costumi si conformino alla norma del retto e dell'onesto. Ma a voi non sarà malagevole cosa allontanare dai popoli alla vostra cura commessi un errore cosi pestilenziale intorno a una cosa eosi chiara e senza contrasto evidentissimo. Poiché asserendosi dall'Apostolo, esservi un solo Dio, una sola Fede, un solo Battesimo, temano coloro i quali sognano che veleggiando sotto bandiera di qualunque religione possa egualmente approdarsi al porto della eterna felicità, e considerino che, per testimonianza dello stesso Salvatore, sono essi contro Cristo, perché non sono con Cristo, e che sventuratamente disperdono sol perche con lui non raccolgono; e che quindi senza dubbio periranno in eterno, se non tengano la fede Cattolica, e questa non conservino intera e inviolata. ascoltino San Girolamo, il quale, trovandosi divisa per scisma in tre parti la Chiesa, raccolta che, tenace come egli era nel santo proposito, quando taluno cercava di attirarlo al suo partito, alto levando la voce rispondeva costantemente: Chi sta unito alla Cattedra di Pietro, quegli è mio. A torto poi alcuni di coloro che a quella non sono congiunti oserebbero trarre ragione di tranquillante lusinga per essere anche essi rigenerati nell'acqua di salute, poiché gli risponderebbe opportunamente Sant'Agostino: Anche il sarmento reciso dalla vite ha la stessa forma: ma che gli giova la forma, se non vive alla radice? E da questa corrottissima sorgente dell'indifferentismo scaturisce quella assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che debbasi ammettere e garantire per ciascuno la libertà di coscienza: errore velenosissimo a cui appiana il sentiero quella piena e smodata libertà d'opinare che va sempre aumentandosi a danno della Chiesa e dello Stato, non mancando chi osa vantare con impudenza sfrontata provenire da siffatta licenza alcun comodo alla Religione. Ma qual può darsi morte peggiore dell'anima che la libertà dell'errore? esclama Sant'Agostino. Tolto infatti ogni freno che contenga nelle vie della verità gli uomini già volgentisi al precipizio per la natura inclinata al male, potremmo dire con verità essersi aperto il pozzo dell'abisso dal qual vide San Giovanni salire tal fumo, che oscurato ne rimase il sole, uscendone locuste innumerabili a disertare la terra. Indi infatti deriva sempre il cangiamento degli spiriti, indi la depravazione della gioventù, indi il disprezzo nel popolo delle cose sacre e delle leggi più sante, indi in una parola la peste della società più d'ogni altra esiziale, mentre l'esperienza di tutti i secoli fin dalla più remota antichità luminosamente dimostra, che città per opulenza, per dominazione, per gloria le più fiorenti, per questo solo disordine, cioè per un’eccessiva libertà di opinioni, per la licenza delle conventicole, per la smania di novità, andavano infelicemente in rovina.

A questo fine è diretta quella pessima né mai abbastanza esecrata ed aborrita libertà della stampa nel divulgare scritti di qualunque sia genere; libertà che taluni osano invocare e promuovere con tanto clamore. Inorridiamo, Venerabili Fratelli, nel rimirare qual Ci opprima stravaganza di dottrine o più veramente portentosa mostruosità di errori, che si spargono e disseminano per ogni dove con quella sterminata moltitudine di libri, di opuscoli e di scritti piccoli certamente di mole ma per malizia grandissimi, dai quali vediamo con le lacrime agli occhi uscire la maledizione ed inondare tutta la faccia della terra. Eppure (ahi, doloroso riflesso!) vi ha di quelli che giungono alla sfrontatezza di asserire con insultante protervia che questo inondamento di errori è più che abbondevolmente compensato da qualche opera, che in mezzo a tanta tempesta di pravità si mette in luce per difesa della religione e della verità. Nefanda cosa è indubbiamente e da ogni legge riprovata il commettere a bello studio un male certo e più grave, perché vi è lusinga di poterne trarre un qualche bene. Ma potrà mai dirsi da chi sia sano di mente, che debbasi liberamente ed in pubblico spargere, vendere, trasportare anzi tracannare ancora il veleno, perché esiste un cotal rimedio, di cui usando, avvenga talvolta che alcuno scampi da morte?

Ma assai ben diverso u il sistema adoperato dalla Chiesa per sterminare la peste dei cattivi librì fin dall'età degli Apostoli, i quali leggiamo aver consegnato alle fiamme pubblicamente quantità ben grande di libri sì fatti. Basta leggere le provvidenze date su tal proposito nel Concilio Lateranense V e la Costituzione che ne pubblicò Leone X di felice memoria Nostro Predecessore, appunto perché quella stampa che fu salutevolmente ritrovata per aumento della Fede e per la propagazione delle buone arti, non venisse a contrari fini rivolta, e le casse dànno e pregiudizio alla salute dei fedeli di Cristo. Fu ciò parimente a cuore dei Padri Tridentini per tal maniera, che per applicare opportuno rimedio ad inconveniente sì dannoso e misero emanarono quell'utilissimo decreto sulla formazione dell'Indice dei libri entro i quali malsane ed impure dottrine si contenessero. Conviene, dice Clemente XIII Nostro Predecessore di felice rimembranza nella sua Enciclica sulla proscrizione de' libri nocivi, conviene combattere valorosnmente per quanto sì grande affare il richiede, ed esterminare per ogni modo il pernicioso mortifero ammasso di tali libri guasti e nocivi, poiché mai si toglierà via la materia dell'errore finché arsi non periscano tra le fiamme gli impuri elementi della malvagità. Per tale adunque e così costante sollecitudine, con cui in tutti i tempi questa Santa Sede Apostolica studiò sempre di condannare i libri pravi e sospetti, e di strapparli di mano ai fedeli, rendesi assai palese quanto falsa, temeraria ed oltraggiosa alla stessa Apostolica Sede, nonché ferace di sommi mali per il popolo cristiano sia la dottrina di coloro, i quali non solo rigettano come grave ed onerosa eccessivamente la censura dei libri, ma a tanto altresi si avanzano di audace malignità, che la dichiarano perfino aborrente dai principî del retto diritto e negano arditamente alla Chiesa l'autorità di ordinarla e di eseguirla.

Avendo poi rilevato da parecchi scritti che circolano fra le mani di tutti, propagarsi certe dottrine tendenti a far crollare la fedeltà e sommissione dovuta ai Principi, e ad accendere ovunque le faci della fellonia, vi esortiamo ad essere sommamente guardinghi, affinché i popoli per tali seduzioni non si lascino miseramente rimuovere dal diritto sentiero. Riflettano tutti che, secondo l'avviso dell'Apostolo, non vi ha potestà se non da Dio, e che le cose che sono furono ordinate da Dio. Chi perciò resiste alla potestà resiste all’ordinazione di Dio e quelli che resistono si procurano da se stessi la condanna. Ecco perché: e il divino e l'umano diritto gridano contro coloro i quali con infamissime trame e con macchinamenti di fellonia e di sedizioni impiegano i loro sforzi nel mancare di fede ai Principi e nel balzarli addirittura dal trono. E fu appunto per non contaminarsi di tanto obbrobrioso delitto, che gli antichi Cristiani anche nel bollore delle persecuzioni si videro sempre ben meritare degli Imperatorî e della salvezza dell'Impero, né ciò solo confermare colla fedeltà più verace nell'adempiere esattamente e con pronta alacrità quanto veniva loro ingiunto non contrario alla Religione, ma con l’inalterabile loro costanza e col sangue eziandio sparso per essi nei più rischiosi cimenti. I soldati Cristiani, dice Sant'Agostino, servivano all'Imperatore infedele; quando toccavasi la causa di Gesù Cristo non conoscevano altri che quello il quale regna nei Cieli. Distinguevano il Signore Eterno dal signore terreno e ciò nonostante pel Signore Eterno si tenevano obbedienti anche al signore terreno. E tali motivi appunto s'era posto innanzi agli occhi dell'invitto martire San Maurizio, capo della legione Tebana allorché, come riferisce Sant'Eucherio, così rispose all'Imperatore: Siamo tuoi soldati, o Imperatore, tuttavia siamo al tempo istesso servi di Dio; e lo confessiamo liberamente... che pure neanche questa stessa dura necessita di serbare la vita ci spinge alla ribellione: ecco abbiamo le armi, eppure non facciamo resistenza, perché reputiamo sorte migliore il morire che l'uccidere. La qual fedeltà degli antichi cristiani verso i loro Principi anche più illustre risplende, se si rifletta con Tertulliano che a quel tempo non mancava ai Cristiani gran numero di armi e di armati, se avessero voluto farla da nemici dichiarati. Siamo sbocciati ieri appena - egli dice agli Imperatori pagani - e già abbiamo riempito ogni vostro luogo, le città, le isole, le castella, i municipî, le adunanze, gli accompagnamenti istessi, le tribú, le curie, il palazzo, il Senato, il Foro... A quale guerra non saremmo noi idonei e pronti, quando pure fossimo inferiori di numero, noi che ci lasciamo trucidare tanto volonterosamente, se dalla nostra disciplina non fosse permesso più il lasciarsi uccidere, che l'uccidere? Se tanta moltitudine di persone qual noi siamo, allontanandosi da voi, si fosse rifugiata in qualche remotissima plaga dell'0rbe, avrebbe certamente recata vergogna alla vostra potenza la perdita di tanti, quali ch'essi fossero, cittadini; anzi l'avrebbe pur anche punita collo stesso abbandono. Senza dubbio vi sareste sbigottiti a tal solitudine... E cercato avreste a chi comandare: vi sarebbero rimasti più nemici che cittadini, mentre ora avete minor numero di nemici in vista della moltitudine dei Cristiani.

Esempi sì luminosi di inalterable sommissione ai Principi, che necessariamente derivavano dai santissimi precetti della Religione Cristiana, condannano altamente la detestabile insolenza ed improbità senza ritegno, che sono totalmente rivolte a manomettere, anzi a svellere, qualunque diritto del Principato, onde poscia recare ai popoli sotto colore di libertà il più duro servaggio. A questo scopo per verità cospirano gli scellerati delirî e i disegni dei Valdesi, dei Begardi, dei Wiclefiti e di altrettali figli di Belial, che furono l'ignominia e la feccia dell'uman genere, meritamente perciò tante volte colpiti dagl’anatemi di questa Sede Apostolica. Né certamente per altro motivo cotesti pensatori moderni tutte sviluppano le loro forze, se non perché possano menar festa e trionfo con Lutero e compiacersi con esso, disposti perciò decisamente ad accingersi a qualunque più riprovevole impresa, per giungere con più facilità e speditezza a conseguire l'intento.

Né più lieti successi potremmo presagire per la Religione ed il Principato dai voti di coloro che vorrebbero vedere separata la Chiesa dal Regno e troncata la mutua concordia dell'Impero col Sacerdozio. Poiché troppo è chiaro che dagli amatori d'un’impudentissima libertà assai si teme quella concordia, che fu sempre al sacro ed al civile governo fausta e vantaggiosa.

Ma a tante e così amare cagioni che Ci tengono solleciti, e nel comune pericolo con dolor singolare Ci crucciano, s'unirono certe associazioni e alcune determinate adunanze, nelle quali, fatta lega con gente d'ogni religione, anche falsa e di estraneo culto, si predicano libertà d'ogni genere, si suscitano turbolenze contro l'uno e l'altro potere e si conculca ogni più veneranda autorità, sotto lo specioso pretesto di pietà e di attaccamento alla Religione, ma con mira in fatto di promuovere ovunque novità e sedizione.

Queste cose, Venerabili Fratelli, con animo dolentissimo ma pieno di fiducia in Colui che comanda ai venti e porta la tranquillità, abbiamo a voi esposte, affinché impugnato lo scudo della fede seguitiate animosi a combattere per il Signore. A voi sopra ogni altro appartiene stare qual muro saldo a fronte di ogni superba altura, che levar si voglia contro la scienza di Dio; da voi si brandisca la spada dello spirito, che è la parola di Dio, e siano per voi provveduti di pane quelli che sono famelici della giustizia. Chiamati ad essere coltivatori industriosi nella vigna del Signore, occupatevi di questo solo, e a questo solo volgete le comuni vostre fatiche, che cioè ogni radice di amarezze sia svelta dal campo a voi assegnato, e spento ogni seme vizioso, rigogliosa in essa biondeggi ed abbondante vi cresca la messe della virtù. Singolarmente con paterno affetto abbracciando quelli i quali si applicano ai filosofici studi e più ancora alle sacre discipline: inculcate loro premurosamente che si guardino dal fidarsi alle sole forze del proprio ingegno per non lasciare il sentiero della verità, e prendere, malaccorti, quello che dagli empi si calca. Si rammentino che Iddio è il vero Duce della sapienza e l'emendatore dei sapienti, e che mai può avvenire che senza Dio conosciamo Dio, il quale per mezzo del Verbo ammaestra gli uomini della conoscenza di Dio.

Proprio è del superbo, o piuttosto dello stolto, il volere pesare sulle umane bilance i misteri della Fede, che avanzano ogni umano concepimento, e fidare sulla ragione della nostra mente, che per la condizione istessa dell’umana natura troppo è fiacca e malsana.

Del resto secondino questi comuni voti pel bene della Chiesa e dello Stato i Figli Nostri Carissimi in Cristo, i Principi, col loro aiuto e con quella autorità, la quale debbono considerare a sé conferita non pel governo soltanto delle cose terrene, ma in modo speciale per sostenere la Chiesa. Riflettano seriamente, farsi per il loro Impero e per la loro quiete, quanto si adopera per la salvezza della Religione: si persuadano, anzi, dover essere loro assai più a cuore la causa della Fede con quella del Regno, e a grande onore si rechino, lo ripetiamo col Pontefice San Leone, che al loro diadema per man del Signore la corona si aggiunga altresì della Fede. Posti quasi per padri e tutori dei popoli, procureranno a questi quiete e tranquillità vera, costante e doviziosa, se attendono particolarmente a far fiorire tra essi la religione e la pietà verso Dio, il quale porta scritto nel femore: Re dei Re e Signor dei Signori.

Ma per impetrare successi sì prosperi e sì felici, solleviamo supplichevoli gli sguardi e le mani verso la Santissima Vergine Maria, la quale sola conquide le eresie tutte, ed è la massima Nostra fiducia, anzi la ragion tutta della Nostra speranza. Ella, la grande Avvocata, col suo patrocinio, in mezzo a tanta necessità del Cristian Gregge, implori benigna ai Nostri consigli, sforzi ed azioni, un esito fortunatissimo. Tanto con umil preghiera addomandiamo ancora al Principe degli Apostoli San Pietro e al suo Coapostolo San Paolo, affinché, saldi tutti, rimaniate a guisa di stabil muro, onde altro fondamento non pongasi diverso da quello che fu già posto. Da sì gioconda speranza animati, confidiamo che 1'Autore e Conservatore della fede Gesù Cristo consolerà finalmente noi tutti nelle tribolazioni che troppo ci tengono bersagliati, ed intanto, quasi foriera ed auspice del Celestiale soccorso, a voi, Venerabili Fratelli, e a tutto il Gregge alla vostra cura commesso, affettuosamente impartiamo 1'Apostolica Benedizione.

Dato in Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 15 Agosto, giorno dell’Assunzione, nell'Anno 1832, secondo del Nostro Pontificato.

GREGORIO PP. XVI