ENCICLICA
«NULLIS CERTE
VERBIS»
(Pio IX)
LETTERA ENCICLICA
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI
PRIMATI ARCIVESCOVI VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI
AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE
PACE E
COMUNIONE.
«Riafferma i
principi dell’enciclica "Qui nuper"
e
respinge i consigli di Napoleone III
perché consenta alla cessione di parte
del territorio della Chiesa.»
VENERABILI FRATELLI
SALUTE E
APOSTOLICA BENEDIZIONE
L’armistizio di Villafranca
ha concluso la guerra, ma il movimento unitario non si è arrestato. Consigli
erano pervenuti al Pontefice di consentire alla pacifica rinunzia di alcuni dei
territori del suo Stato, permettendo alle popolazioni di unirsi al Piemonte. Una
pubblicazione di cui appariva autore La Guéronnière, diplomatico e scrittore di
fama, ma che era certamente ispirata, se non dettata, da Napoleone III medesimo,
affermava che la limitazione del potere temporale del Pontefice non avrebbe
diminuito, anzi avrebbe aumentato il suo prestigio togliendogli le
preoccupazioni di un’amministrazione, di una polizia e di un esercito. Questa
pubblicazione provoca una polemica alla quale partecipa l’arcivescovo Dupanloup,
Accademico di Francia, con una pubblicazione scintillante di forma e di
contenuto. Il Pontefice stesso, in una allocuzione pubblica, definiva l’opuscolo
del La Guéronnière: "un monumento insigne di ipocrisia e un tessuto di ignobili
contraddizioni". Seguivano scambi di lettere con Napoleone III che infine
rispondeva al Pontefice con quella famosa nella quale lo si invitava a "far
sacrificio delle province ribelli, affidandole a Vittorio Emanuele". È questa la
lettera che ha provocato la presente enciclica. Pubblicata da un solo giornale
cattolico di Parigi ("L’Univers") ne provocò il sequestro. Il
ministro degli Affari Esteri, Thouvenel, diramò una circolare di protesta contro
il contenuto del documento papale, ritenuto offensivo per l’imperatore.
Seguirono mesi di intensa attività diplomatica, che si conclusero, come è noto,
con i plebisciti che riunivano al Piemonte la Toscana e le Romagne con Parma e
Piacenza (11-12 Marzo 1860).
Noi non possiamo certamente spiegarvi a parole, o
Venerabili Fratelli, quanto gaudio e quanta letizia, fra le Nostre gravissime
amarezze, Ci abbian recato per parte sì di voi tutti e sì dei fedeli commessi
alle vostre cure la singolare e meravigliosa fede, pietà ed osservanza,
verso di Noi e di questa Sede Apostolica, e l’egregio consentimento, l’alacrità,
il fervore e la costanza nel difendere i diritti della medesima Sede e nel
patrocinare la causa della giustizia. Imperciocché non appena dalle Nostre
Lettere Encicliche a voi spedite nel dì 18 Giugno dell’anno scorso, e quindi
dalle due nostre Allocuzioni concistoriali, con sommo dolore del vostro animo,
conosceste i gravissimi mali, onde erano miseramente colpite le cose sacre e
civili in Italia; e non appena comprendeste gl’iniqui modi ed ardimenti di
ribellione contro i legittimi Principi della stessa Italia, e contro il sacro e
legittimo principato Nostro e di questa Santa Sede, voi secondando tosto i
vostri voti e le Nostre cure, non frapponendo verun indugio, vi affrettaste con
ogni studio ad ordinare nelle vostre diocesi pubbliche preghiere. Quindi non
solo colle vostre lettere, piene di profondo ossequio e carità a Noi inviate, ma
ancora sia colle epistole pastorali sia con altre scritture dotte e religiose,
diffuse nel popolo, alzaste l’episcopale vostra voce, con lode insigne del
vostro Ordine e del vostro nome, a propugnare strenuamente la causa della nostra
santissima Religione e della giustizia, e a destare con ogni vigore i sacrileghi
attentati commessi contro il civile principato della Chiesa romana. E difendendo
costantemente questo principato, vi siete recato a gloria di professare ed
insegnare che esso per singolare consiglio di quella divina Provvidenza, che
regge e governa ogni cosa, fu dato al Romano Pontefice, acciocché questi col non
esser mai soggetto a nessun potere civile possa esercitare sopra l’universo
mondo, con libertà pienissima e senza nessun impedimento, il supremo ufficio
dell’apostolico ministero, a Lui dallo stesso Signor Nostro Gesù Cristo
divinamente affidato.
Dalle quali vostre dottrine ammaestrati, e
dall’egregio esempio eccitati, i figliuoli a Noi carissimi della Chiesa
Cattolica, con sommo studio gareggiarono nel significarci per parte loro i
medesimi sentimenti. E in verità, da tutte le regioni dell’intero orbe cattolico
ricevemmo quasi innumerevoli lettere sì di ecclesiastici e di laici d’ogni
dignità, ordine, e condizione, e fino lettere sottoscritte da centinaia di
migliaia di cattolici, colle quali tutte essi manifestano e confermano la loro
venerazione e devozione filiale verso di Noi e verso la Cattedra di Pietro; e
detestando fortemente la ribellione e gli attentati commessi in alcune Nostre
province, sostengono che il patrimonio del Beato Pietro debba onninamente
conservarsi intiero ed inviolato, e difendersi da ogni offesa e ciò non pochi
tra loro dimostrarono con dottrina e sapienza in libri appositamente dati alla
luce. Or queste preclare manifestazioni sì vostre sì dei fedeli meritevoli
certamente di ogni lode ed encomio, e degne che vengano iscritte nei fasti della
Chiesa Cattolica a caratteri d’oro, talmente Ci commossero, che non Ci potemmo
astenere dallo esclamare lietamente: Benedetto sia Dio e il Padre del Signore
nostro Gesù Cristo, Padre delle misericordie e Dio di tutta consolazione che
così Ci consola in sì aspro travaglio! Imperciocché in mezzo alle gravissime
angustie dalle quali veniamo oppressi, nulla poteva riuscirCi più grato, nulla
più giocondo, nulla più desiderato che il vedere di qual concorde ed ammirabile
premura voi tutti, o Venerabili Fratelli, siete animati ed accesi per difendere
i diritti di questa Santa Sede, e con quale egregia volontà i Fedeli consegnati
alle vostre cure in ciò vi secondano. Quindi voi assai agevolmente potete da per
voi stessi pensare quanto altamente la paterna Nostra benevolenza verso di voi e
verso gli stessi cattolici ogni dì a buon diritto e meritamente si
accresca.
Sennonché, mentre il Nostro dolore veniva alleviato
da un così stupendo impegno ed amore sì vostro e sì dei fedeli verso di Noi e di
questa Santa Sede, una nuova cagion di tristezza Ci venne da altra parte. Ecco
perché Noi vi scriviamo queste Lettere, affinché in caso di tanta imponenza
siano principalmente a voi di bel nuovo manifestissimi i sentimenti del Nostro
animo. Non ha guari, siccome la più parte di voi già conoscerà, venne dal
giornale di Parigi, intitolato Moniteur, divulgata una lettera
dell’Imperatore dei Francesi, colla quale egli rispondeva a una Nostra epistola,
in cui con ogni calore pregavamo la Maestà Sua Imperiale a volere col
validissimo suo patrocinio nel Congresso di Parigi mantenere intero ed
inviolabile il temporale dominio Nostro e di questa Santa Sede, e rivendicarlo
dalla iniqua ribellione. Or nell’anzidetta sua risposta quel Supremo Imperatore,
ricordando certo suo consiglio propostosi poco tempo innanzi intorno alle
province ribelli del Nostro Dominio Pontificio, Ci esorta a voler rinunciare al
possedimento di quelle province, sembrando a lui che solo così possa ora
rimediarsi al presente perturbamento delle cose.
Ciascuno di voi, Venerabili Fratelli, intende
benissimo che Noi, memori del gravissimo Nostro dovere, non abbiamo potuto
tacere dopo aver ricevuto una tale lettera. Perciò senza frapporre dimora Ci
affrettammo di rispondere allo stesso Imperatore dichiarando limpidamente e
apertamente con l’Apostolica libertà dell’animo Nostro che in nessun modo
affatto Noi potevamo annuire al suo consiglio, perché esso presenta insuperabili
difficoltà, avuta ragione della dignità Nostra e di questa Santa Sede e del
Nostro sacro carattere e dei diritti della stessa Sede, i quali non appartengono
alla successione di qualche reale famiglia, ma bensì a tutti i cattolici; ed
insieme abbiamo professato non potersi da Noi cedere ciò che non è Nostro, e
bene da Noi intendersi che la vittoria, che si vorrebbe concessa ai ribelli
dell’Emilia, sarebbe di stimolo agli indigeni ed ai forestieri perturbatori
delle altre province a fare il medesimo, vedendo la prospera fortuna toccata a
quei primi. E fra altre cose allo stesso Imperatore manifestammo non poter Noi
rinunciare alle dette province dell’Emilia, appartenenti al Nostro Pontificio
Dominio, senza violare solenni giuramenti dai quali siamo legati, senza eccitare
querele e moti nelle altre Nostre province, senza recar ingiuria a tutti i
cattolici; infine senza debilitare i diritti non solo dei Principi di Italia,
che furono ingiustamente spogliati dei loro domini, ma ancora di tutti i
Principi del mondo cristiano, i quali non potrebbero con indifferenza vedere
introdotti certi perniciosissimi principi. Né abbiamo tralasciato di notare che
la Maestà Sua non ignorava per quali uomini, con quale pecunia e con quali aiuti
i recenti attentati di rivolta a Bologna, a Ravenna ed in altre città erano
stati eccitati e compiuti; mentre la massima parte di quei popoli quasi attonita
si rimase dal parteggiare a quegli scompigli inaspettati, e si mostrò del tutto
aliena dal volerli seguire. E poiché il serenissimo Imperatore credeva che Noi
dovessimo cedere quelle province pei moti di ribellione, ivi di quando in quando
suscitati, abbiamo risposto a tal proposito: questo argomento, siccome quello
che prova troppo, non prova nulla. Imperocché moti non dissimili sì negli Stati
d’Europa e sì altrove accaddero spessissimo; e niuno è che non vegga, non
potersi da ciò ritrarre motivo di diminuire il civile dominio di un legittimo
Principe. E non abbiamo omesso di esporre al medesimo Imperatore che dall’ultima
sua lettera era molto diversa la prima, scritta a Noi avanti la guerra di Italia
e che Ci recava non afflizione ma consolazione. Avendo poi giudicato per certe
parole di codesta lettera imperiale, pubblicata nella menzionata effemeride, di
dover temere che le predette Nostre province dell’Emilia già s’avessero a
riguardare come staccate dal Pontificio Nostro Dominio; perciò abbiamo pregato,
in nome della Chiesa, la Maestà Sua, di fare in modo, anche nel suo proprio bene
e vantaggio, che tale Nostro timore fosse pienamente dileguato. E con quella
paterna carità, con cui dobbiamo provvedere alla eterna salute di tutti, gli
abbiamo richiamato alla mente, che ciascuno dovrà un giorno dare stretta ragione
di se al tribunale di Dio, ed incontrare giudizio severissimo, e perciò deve
ciascuno attentamente studiarsi di avere a provare gli effetti della
misericordia anziché della giustizia.
Queste sono le cose precipue che fra le altre abbiamo
risposto al Supremo Imperatore dei Francesi; le quali abbiamo giudicato di dover
al tutto manifestare a voi, o Venerabili Fratelli, affinché Voi in prima, ed
anche tutto l‘Orbe cattolico viemmeglio sappia che Noi, aiutandoCi Iddio, pel
gravissimo debito dell’uffizio Nostro senza timore veruno facciamo ogni sforzo,
e non tralasciamo verun tentativo per difendere fortemente la causa della
Religione e della giustizia, ed il civile Principato della Chiesa Romana; e
mantenere costantemente intere ed inviolate le sue possessioni temporali e i
suoi diritti, i quali interessano tutto l’Orbe cattolico; e provvedere altresì
alla giusta causa degli altri Principi. Ed avvalorati dal divino aiuto di Colui
che disse: "Nel mondo sarete angustiati; ma abbiate fede, io ho vinto il
mondo" (Ioan. XVI, 33); e: "Beati quelli che soffrono
persecuzioni per la giustizia" (Matth. V, 10); siamo preparati
a seguire le illustri vestigia dei Nostri Predecessori, ad emularne gli esempi,
a patire ogni cosa aspra ed acerba, ed anche a dare la vita, anziché disertare
in alcun modo la causa di Dio, della Chiesa e della giustizia. Ma ben di
leggieri potete argomentare, o Venerabili Fratelli, da quanto dolore siamo
trafitti vedendo da quale atrocissimo guerra la santissima nostra Religione, con
grandissimo detrimento delle anime, è combattuta, e da quali turbini
veementissimi è sconquassata la Chiesa e questa Santa Sede. E facilmente ancora
comprendete come gravissima sia la nostra angoscia, ben sapendo quanto è grande
il pericolo delle anime in quelle sconvolte Nostre province; dove, per opera
specialmente di pestiferi scritti, diffusi nel pubblico, la pietà, la Religione,
la fede e l’onestà dei costumi di giorno in giorno vengono scrollati.
Voi, dunque, Venerabili Fratelli, i quali siete
chiamati a parte della Nostra sollecitudine, e che con tanta fede, costanza e
virtù vi accendeste a propugnare la causa della Religione, della Chiesa e di
questa Santa Sede Apostolica, continuate con maggior animo ed impegno a
difendere la medesima causa, ed ogni giorno infiammate maggiormente i fedeli
commessi alle vostre cure, acciocché essi sotto il vostro indirizzo non cessino
mai di porre ogni opera ed ogni studio ed ogni consiglio per la difesa della
Cattolica Chiesa e di questa Santa Sede e per la conservazione del civile
Principato della medesima e del patrimonio del Beato Pietro, la tutela del quale
appartiene a tutti i cattolici.
Quello però che massimamente, quanto sappiamo e
possiamo, chiediamo da voi, o Venerabili Fratelli, si è che insieme con Noi e
unitamente ai fedeli commessi alle vostre cure, porgiate senza intermissione
fervidissime preghiere a Dio Onnipotente, acciocché Egli comandi ai venti ed al
mare, e col suo potentissimo aiuto assista a Noi, assista alla sua Chiesa, e
sorga e giudichi la causa sua; ed oltre ciò con la celeste sua Grazia voglia,
propizio, illuminare tutti i nemici della Chiesa e di questa Apostolica Sede, e
colla onnipotente sua virtù, si degni di ridurli nella via della verità, della
giustizia e della salute.
Ed acciocché Iddio, supplicato da Noi, più facilmente
porga l’orecchio alle preghiere Nostre e vostre e di tutti i fedeli, domandiamo
soprattutto, o Venerabili Fratelli, l’intercessione dell’Immacolata e Santissima
Madre di Dio, Maria Vergine; la quale è di tutti noi amatissima madre e speranza
fidissima, e potente tutela e sostegno della Chiesa, e del cui patrocinio niente
è più valido presso Dio. Imploriamo altresì il suffragio del Beatissimo Pietro,
Principe degli Apostoli, che Cristo Signor nostro stabilì qual pietra
fondamentale della sua Chiesa, contro cui le porte dell’inferno non potranno mai
prevalere; e chiediamo ancora il suffragio del suo Coapostolo Paolo e di tutti i
Santi, che con Cristo regnano in cielo. Non dubitiamo, Venerabili Fratelli, che
voi, attesa la vostra esimia religione e zelo sacerdotale, in che siete
sommamente prestanti, vorrete secondare solertissimamente questi Nostri voti e
queste Nostre richieste. E frattanto, come pegno della nostra ardentissima
carità verso voi, impartiamo amatissimamente l’Apostolica Benedizione, la quale
muove dall’intimo del Nostro cuore, sì a voi, o Venerabili Fratelli, come a
tutto il clero, e fedeli laici commessi alla vigilanza di ciascun di
voi.
Dato in Roma, presso San Pietro, il dì 19 Gennaio 1860, del Nostro Pontificato anno XIV.
PIO PP. IX.