PACEM IN TERRIS
(GIOVANNI
XXIII)
Sulla
pace fra tutte le genti
nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà.
L’ordine nell’universo
1. La Pace in terra, anelito profondo
degli esseri umani di tutti i tempi, può venire instaurata e consolidata
solo nel pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio.
I progressi delle scienze e le invenzioni
della tecnica attestano come negli esseri e nelle forze che compongono
l’universo, regni un ordine stupendo; e attestano pure la grandezza
dell’uomo, che scopre tale ordine e crea gli strumenti idonei per
impadronirsi di quelle forze e volgerle a suo servizio.
2. Ma i progressi scientifici e le
invenzioni tecniche manifestano innanzitutto la grandezza infinita di Dio
che ha creato l’universo e l’uomo. Ha creato l’universo, profondendo
in esso tesori di sapienza e di bontà, come esclama il Salmista: "O
Signore, Dio nostro, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra!" (Sal
8,1). "Quanto sono grandi le opere tue, o Signore! Tu hai fatto ogni
cosa con sapienza"; (Sal 104,24) e ha creato l’uomo intelligente e
libero, a sua immagine e somiglianza, (cf. Gen 1,26) costituendolo signore
dell’universo: "Hai fatto l’uomo - esclama ancora il Salmista - per
poco inferiore agli angeli, lo hai coronato di gloria e di onore; e lo hai
costituito sopra le opere delle tue mani. Hai posto tutte le cose sotto i
suoi piedi" (Sal 8,5-6).
L’ordine negli esseri umani
3. Con l’ordine mirabile
dell’universo continua a fare stridente contrasto il disordine che regna
tra gli esseri umani e tra i popoli; quasicché i loro rapporti non possono
essere regolati che per mezzo della forza.
Sennonché il Creatore ha scolpito
l’ordine anche nell’essere degli uomini: ordine che la coscienza rivela
e ingiunge perentoriamente di seguire: "Essi mostrano scritta nei loro
cuori l’opera della legge, testimone la loro coscienza" (Rm 2,15).
Del resto come potrebbe essere diversamente? Ogni opera di Dio è pure un
riflesso della sua infinita sapienza: riflesso tanto più luminoso quanto più
l’opera è posta in alto nella scala delle perfezioni (cf. Sal 18,8-11).
4. Una deviazione, nella quale si incorre
spesso, sta nel fatto che si ritiene di poter regolare i rapporti di
convivenza tra gli esseri umani e le rispettive comunità politiche con le
stesse leggi che sono proprie delle forze e degli elementi irrazionali di
cui risulta l’universo; quando invece le leggi con cui vanno regolati gli
accennati rapporti sono di natura diversa, e vanno cercate là dove Dio le
ha scritte, cioè nella natura umana.
Sono quelle, infatti, le leggi che
indicano chiaramente come gli uomini devono regolare i loro vicendevoli
rapporti nella convivenza; e come vanno regolati i rapporti fra i cittadini
e le pubbliche autorità all’interno delle singole comunità politiche;
come pure i rapporti fra le stesse comunità politiche; e quelli fra le
singole persone e le comunità politiche da una parte, e dall’altra la
comunità mondiale, la cui creazione oggi è urgentemente reclamata dalle
esigenze del bene comune universale.
I
- L’ORDINE TRA GLI ESSERI UMANI
Ogni essere umano è persona, soggetto
di diritti e di doveri
5. In una convivenza ordinata e feconda
va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona cioè
una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto
di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente
dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali,
inviolabili, inalienabili (cf. Radiomessaggio natalizio di Pio XII, 1942).
Che se poi si considera la dignità della
persona umana alla luce della rivelazione divina, allora essa apparirà
incomparabilmente più grande, poiché gli uomini sono stati redenti dal
sangue di Gesù Cristo, e con la grazia sono divenuti figli e amici di Dio e
costituiti eredi della gloria eterna.
I diritti
Il diritto all’esistenza e ad un
tenore di vita dignitoso
6. Ogni essere umano ha il diritto
all’esistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili e
sufficienti per un dignitoso tenore di vita, specialmente per quanto
riguarda l’alimentazione, il vestiario, l’abitazione, il riposo, le cure
mediche, i servizi sociali necessari; ed ha quindi il diritto alla sicurezza
in caso di malattia, di invalidità, di vedovanza, di vecchiaia, di
disoccupazione, e in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per
circostanze indipendenti dalla sua volontà (cf. enc. Divini Redemptoris di
Pio XI).
Diritti riguardanti i valori morali e
culturali
7. Ogni essere umano ha il diritto al
rispetto della sua persona; alla buona riputazione; alla libertà nella
ricerca del vero, nella manifestazione del pensiero e nella sua diffusione,
nel coltivare l’arte, entro i limiti consentiti dall’ordine morale e dal
bene comune; e ha il diritto all’obiettività nella informazione.
Scaturisce pure dalla natura umana il
diritto di partecipare ai beni della cultura, e quindi il diritto ad
un’istruzione di base e ad una formazione tecnico-professionale adeguata
al grado di sviluppo della propria comunità politica. Ci si deve adoperare
perché sia soddisfatta l’esigenza di accedere ai gradi superiori
dell’istruzione sulla base del merito; cosicché gli esseri umani, nei
limiti del possibile, nella vita sociale coprano posti e assumano
responsabilità conformi alle loro attitudini naturali e alle loro capacità
acquisite (cf. Radiomessaggio natalizio di Pio XII, 1942).
Il diritto di onorare Dio secondo il
dettame della retta coscienza
8. Ognuno ha il diritto di onorare Dio
secondo il dettame della retta coscienza; e quindi il diritto al culto di
Dio privato e pubblico. Infatti, come afferma con chiarezza Lattanzio:
"Siamo stati creati allo scopo di rendere a Dio creatore il giusto
onore che gli è dovuto, di riconoscere lui solo e di seguirlo. Questo è il
vincolo di pietà che a lui ci stringe e a lui ci lega, e dal quale deriva
il nome stesso di religione" (Divinae institutionis, lib. IV, c. 28, 2
PL, 6,535). Ed il nostro predecessore di i. m. Leone XIII cosi si esprime:
"Questa libertà vera e degna dei figli di Dio, che mantiene alta la
dignità dell’uomo, è più forte di qualunque violenza ed ingiuria, e la
Chiesa la reclamò e l’ebbe carissima ognora. Siffatta libertà
rivendicarono con intrepida costanza gli apostoli, la sancirono con gli
scritti gli apologisti, la consacrarono gran numero di martiri col proprio
sangue" (Enc. Libertas praestantissimum di Leone XIII).
Il diritto alla libertà nella scelta
del proprio stato
9. Gli esseri umani hanno il diritto alla
libertà nella scelta del proprio stato; e quindi il diritto di creare una
famiglia, in parità di diritti e di doveri fra uomo e donna; come pure il
diritto di seguire la vocazione al sacerdozio o alla vita religiosa (cf.
Radiomessaggio natalizio di Pio XII, 1942).
La famiglia, fondata sul matrimonio
contratto liberamente, unitario e indissolubile, è e deve essere
considerata il nucleo naturale ed essenziale della società. Verso di essa
vanno usati i riguardi di natura economica, sociale, culturale e morale che
ne consolidano la stabilità e facilitano l’adempimento della sua
specifica missione.
I genitori posseggono un diritto di
priorità nel mantenimento dei figli e nella loro educazione (cf. enc. Casti
connubii di Pio XI).
Diritti attinenti il mondo economico
10. Agli esseri umani è inerente il
diritto di libera iniziativa in campo economico e il diritto al lavoro (cf.
Radiomessaggio di Pentecoste di Pio XII, 10).
A siffatti diritti è indissolubilmente
congiunto il diritto a condizioni di lavoro non lesive della sanità fisica
e del buon costume, e non intralcianti lo sviluppo integrale degli esseri
umani in formazione; e, per quanto concerne le donne, il diritto a
condizioni di lavoro conciliabili con le loro esigenze e con i loro doveri
di spose e di madri (cf. enc. Rerum novarum di Leone XIII).
Dalla dignità della persona scaturisce
pure il diritto di svolgere le attività economiche in attitudine di
responsabilità (cf. enc. Mater et magistra di Giovanni XXIII). Va inoltre e
in modo speciale messo in rilievo il diritto ad una retribuzione del lavoro
determinata secondo i criteri di giustizia, e quindi sufficiente, nelle
proporzioni rispondenti alla ricchezza disponibile, a permettere al
lavoratore ed alla sua famiglia, un tenore di vita conforme alla dignità
umana. In materia, il nostro predecessore Pio XII cosi si esprimeva:
"Al dovere personale del lavoro imposto dalla natura corrisponde e
consegue il diritto naturale in ciascun individuo a fare del lavoro il mezzo
per provvedere alla vita propria e dei figli: tanto altamente è ordinato
per la conservazione dell’uomo l’impero della natura" (cf.
Radiomessaggio di Pentecoste di Pio XII). Scaturisce pure dalla natura
dell’uomo il diritto di proprietà privata sui beni anche produttivi:
"diritto che costituisce un mezzo idoneo all’affermazione della
persona umana e all’esercizio della responsabilità in tutti i campi, un
elemento di consistenza e di serenità per la vita familiare e di pacifico e
ordinato sviluppo nella convivenza" (Enc. Mater et magistra di Giovanni
XXIII).
Torna opportuno ricordare che al diritto
di proprietà privata è intrinsecamente inerente una funzione sociale (cf.
ivi, p.t 430).
Diritto di riunione e di associazione
11. Dalla intrinseca socialità degli
esseri umani fluisce il diritto di riunione e di associazione; come pure il
diritto di conferire alle associazioni la struttura che si ritiene idonea a
perseguire gli obiettivi delle medesime; e il diritto di muoversi
nell’interno di esse di propria iniziativa e sulla propria responsabilità
per il concreto perseguimento di detti obiettivi (cf. enc. Rerum novarum di
Leone XIII).
Nell’enciclica Mater et magistra a
ragione è detto che la creazione di una ricca gamma di associazioni o corpi
intermedi per il perseguimento di obiettivi che i singoli esseri umani non
possono efficacemente perseguire che associandosi, si rivela un elemento
necessario e insostituibile perché sia assicurata alla persona umana una
sfera sufficiente di libertà e di responsabilità (cf. enc. Mater et
magistra di Giovanni XXIII).
Diritto di emigrazione e di
immigrazione
12. Ogni essere umano ha il diritto alla
libertà di movimento e di dimora nell’interno della comunità politica di
cui è cittadino; ed ha pure il diritto, quando legittimi interessi lo
consiglino, di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse
(cf. Radiomessaggio natalizio di Pio XII, 1952). Per il fatto che si è
cittadini di una determinata comunità politica, nulla perde di contenuto la
propria appartenenza, in qualità di membri, alla stessa famiglia umana; e
quindi l’appartenenza, in qualità di cittadini, alla comunità mondiale.
Diritti a contenuto politico
13. Dalla dignità della persona
scaturisce il diritto di prender parte attiva alla vita pubblica e addurre
un apporto personale all’attuazione del bene comune. "L’uomo, come
tale, lungi dall’essere l’oggetto e un elemento passivo nella vita
sociale, ne è invece e deve esserne e rimanerne il soggetto, il fondamento
e il fine" (cf. Radiomessaggio natalizio di Pio XII, 1944).
Fondamentale diritto della persona è
pure la tutela giuridica dei propri diritti: tutela efficace, imparziale,
informata a criteri obiettivi di giustizia.
"Dall’ordinamento giuridico,
voluto da Dio, promana l’inalienabile diritto dell’uomo alla sicurezza
giuridica, e con ciò stesso ad una sfera concreta di diritti, protetta
contro ogni arbitrario attacco" (cf. Radiomessaggio natalizio di Pio
XII, 1942).
I doveri
Indissolubile rapporto fra diritti e
doveri nella stessa persona
14. I diritti naturali testé ricordati
sono indissolubilmente congiunti, nella stessa persona che ne è il
soggetto, con altrettanti rispettivi doveri; e hanno entrambi nella legge
naturale, che li conferisce o che li impone, la loro radice, il loro
alimento, la loro forza indistruttibile.
Il diritto, ad esempio, di ogni essere
umano all’esistenza è connesso con il suo dovere di conservarsi in vita;
il diritto ad un dignitoso tenore di vita con il dovere di vivere
dignitosamente; e il diritto alla libertà nella ricerca del vero è
congiunto con il dovere di cercare la verità, in vista di una conoscenza
della medesima sempre più vasta e profonda.
Reciprocità di diritti e di doveri
fra persone diverse
15. Nella convivenza umana ogni diritto
naturale in una persona comporta un rispettivo dovere in tutte le altre
persone: il dovere di riconoscere e rispettare quel diritto. Infatti ogni
diritto fondamentale della persona trae la sua forza morale insopprimibile
dalla legge naturale che lo conferisce, e impone un rispettivo dovere.
Coloro pertanto che, mentre rivendicano i propri diritti, dimenticano o non
mettono nel debito rilievo i rispettivi doveri, corrono il pericolo di
costruire con una mano e distruggere con l’altra.
Nella mutua collaborazione
16. Gli esseri umani, essendo persone,
sono sociali per natura. Sono nati quindi per convivere e operare gli uni a
bene degli altri. Ciò richiede che la convivenza umana sia ordinata, e
quindi che i vicendevoli diritti e doveri siano riconosciuti ed attuati; ma
richiede pure che ognuno porti generosamente il suo contributo alla
creazione di ambienti umani, in cui diritti e doveri siano sostanziati da
contenuti sempre più ricchi.
Non basta, ad esempio, riconoscere e
rispettare in ogni essere umano il diritto ai mezzi di sussistenza: occorre
pure che ci si adoperi, secondo le proprie forze, perché ogni essere umano
disponga di mezzi di sussistenza in misura sufficiente.
La convivenza fra gli esseri umani, oltre
che ordinata, è necessario che sia per essi feconda di bene. Ciò postula
che essi riconoscano e rispettino i loro vicendevoli diritti ed adempiano i
rispettivi doveri, ma postula pure che collaborino tra loro nelle mille
forme e gradi che l’incivilimento acconsente, suggerisce, reclama.
In attitudine di responsabilità
17. La dignità di persona, propria di
ogni essere umano, esige che esso operi consapevolmente e liberamente. Per
cui nei rapporti della convivenza, i diritti vanno esercitati, i doveri
vanno compiuti, le mille forme di collaborazione vanno attuate specialmente
in virtù di decisioni personali; prese cioè per convinzione, di propria
iniziativa, in attitudine di responsabilità, e non in forza di coercizioni
o pressioni provenienti soprattutto dall’esterno.
Una convivenza fondata soltanto su
rapporti di forza non è umana. In essa infatti è inevitabile che le
persone siano coartate o compresse, invece di essere facilitate e stimolate
a sviluppare e perfezionare se stesse.
Convivenza nella verità, nella
giustizia, nell’amore, nella libertà
18. La convivenza fra gli esseri umani è
quindi ordinata, feconda e rispondente alla loro dignità di persone, quando
si fonda sulla verità, conformemente al richiamo dell’apostolo Paolo:
"Via dunque da voi la menzogna e parli ciascuno col suo prossimo
secondo verità, poiché siamo membri gli uni degli altri" (Ef 4,25).
Ciò domanda che siano sinceramente riconosciuti i reciproci diritti e
vicendevoli doveri. Ed è inoltre una convivenza che si attua secondo
giustizia o nell’effettivo rispetto di quei diritti e nel leale
adempimento dei rispettivi doveri; che è vivificata e integrata
dall’amore, atteggiamento d’animo che fa sentire come propri i bisogni e
le esigenze altrui, rende partecipi gli altri dei propri beni e mira a
rendere sempre più vivida la comunione nel mondo dei valori spirituali; ed
è attuata nella libertà, nel modo cioè che si addice alla dignità di
esseri portati dalla loro stessa natura razionale ad assumere la
responsabilità del proprio operare.
19. La convivenza umana, venerabili
fratelli e diletti figli, deve essere considerata anzitutto come un fatto
spirituale: quale comunicazione di conoscenze nella luce del vero; esercizio
di diritti e adempimento di doveri; impulso e richiamo al bene morale; e
come nobile comune godimento del bello in tutte le sue legittime
espressioni; permanente disposizione ad effondere gli uni negli altri il
meglio di se stessi; anelito ad una mutua e sempre più ricca assimilazione
di valori spirituali: valori nei quali trovano la loro perenne vivificazione
e il loro orientamento di fondo le espressioni culturali, il mondo
economico, le istituzioni sociali, i movimenti e i regimi politici, gli
ordinamenti giuridici e tutti gli altri elementi esteriori, in cui si
articola e si esprime la convivenza nel suo evolversi incessante.
Ordine morale che ha per fondamento
oggettivo il vero Dio
20. L’ordine tra gli esseri umani nella
convivenza è di natura morale. Infatti, è un ordine che si fonda sulla
verità; che va attuato secondo giustizia; domanda di essere vivificato e
integrato dall’amore; esige di essere ricomposto nella libertà in
equilibri sempre nuovi e più umani.
Sennonché l’ordine morale -
universale, assoluto ed immutabile nei suoi principi - trova il suo
oggettivo fondamento nel vero Dio, trascendente e personale. Egli è la
prima Verità e il sommo Bene; e quindi la sorgente più profonda da cui
soltanto può attingere la sua genuina vitalità una convivenza fra gli
esseri umani ordinata, feconda, rispondente alla loro dignità di persone
(cf. Radiomessaggio natalizio di Pio XII, 1942). In materia, con chiarezza
si esprime san Tommaso: "La ragione umana è norma della volontà, di
cui misura pure il grado di bontà, per il fatto che deriva dalla legge
eterna, che si identifica con la stessa ragione divina... È quindi chiaro
che la bontà della volontà umana dipende molto più dalla legge eterna che
non dalla ragione umana" (Summa Theol., I-II, q. 19, a. 4; cf a. 9).
Segni dei tempi
21. Tre fenomeni caratterizzano
l’epoca moderna.
Anzitutto l’ascesa economico-sociale
delle classi lavoratrici. Nelle prime fasi del loro movimento di ascesa i
lavoratori concentravano la loro azione nel rivendicare diritti a contenuto
soprattutto economico-sociale; la estendevano quindi ai diritti di natura
politica; e infine al diritto di partecipare in forme e gradi adeguati ai
beni della cultura. Ed oggi, in tutte le comunità nazionali, nei lavoratori
è vividamente operante l’esigenza di essere considerati e trattati non
mai come esseri privi di intelligenza e di libertà, in balia dell’altrui
arbitrio, ma sempre come soggetti o persone in tutti i settori della
convivenza, e cioè nei settori economico-sociali, in quelli della cultura e
in quelli della vita pubblica.
22. In secondo luogo viene un fatto a
tutti noto, e cioè l’ingresso della donna nella vita pubblica: più
accentuatamente, forse, nei popoli di civiltà cristiana; più lentamente,
ma sempre su larga scala, tra le genti di altre tradizioni o civiltà. Nella
donna, infatti, diviene sempre più chiara e operante la coscienza della
propria dignità. Sa di non poter permettere di essere considerata e
trattata come strumento; esige di essere considerata come persona, tanto
nell’ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica.
23. Infine la famiglia umana, nei
confronti di un passato recente, presenta una configurazione
sociale-politica profondamente trasformata. Non più popoli dominatori e
popoli dominati: tutti i popoli si sono costituiti o si stanno costituendo
in comunità politiche indipendenti.
24. Gli esseri umani, in tutti i paesi e
in tutti i continenti, o sono cittadini di uno stato autonomo e
indipendente, o stanno per esserlo; nessuno ama sentirsi suddito di poteri
politici provenienti dal di fuori della propria comunità umana o gruppo
etnico. In moltissimi esseri umani si va cosi dissolvendo il complesso di
inferiorità protrattosi per secoli e millenni; mentre in altri si attenua e
tende a scomparire il rispettivo complesso di superiorità, derivante dal
privilegio economico-sociale o dal sesso o dalla posizione politica.
Al contrario è diffusa assai largamente
la convinzione che tutti gli uomini sono uguali per dignità n,aturale. Per
cui le discriminazioni razziali non trovano più alcuna giustificazione,
almeno sul piano della ragione e della dottrina; ciò rappresenta una pietra
miliare sulla via che conduce all’instaurazione di una convivenza umana
informata ai principi sopra esposti. Quando, infatti, negli esseri umani
affiora la coscienza dei loro diritti, in quella coscienza non può non
sorgere l’avvertimento dei rispettivi doveri: nei soggetti che ne sono
titolari, del dovere di far valere i diritti come esigenza ed espressione
della loro dignità; e in tutti gli altri esseri umani, del dovere di
riconoscere gli stessi diritti e di rispettarli.
25. E quando i rapporti della convivenza
si pongono in termini di diritti e di doveri, gli esseri umani si aprono sul
mondo dei valori spirituali, e comprendono che cosa sia la verità, la
giustizia, l’amore, la libertà; e diventano consapevoli di appartenere a
quel mondo. Ma sono pure sulla via che li porta a conoscere meglio il vero
Dio, trascendente e personale; e ad assumere il rapporto fra se stessi e Dio
a solido fondamento e a criterio supremo della loro vita: di quella che
vivono nell’intimità di se stessi e di quella che vivono in relazione con
gli altri.
II
- RAPPORTI TRA GLI ESSERI UMANI E I POTERI PUBBLICI
ALL’INTERNO DELLE SINGOLE COMUNITÀ POLITICHE
Necessità dell’autorità e sua
origine divina
26. La convivenza fra gli esseri umani
non può essere ordinata e feconda se in essa non è presente un’autorità
che assicuri l’ordine e contribuisca all’attuazione del bene comune in
grado sufficiente.
Tale autorità, come insegna san Paolo,
deriva da Dio: "Non vi è infatti autorità se non da Dio" (Rm
13,1-6). Il quale testo dell’Apostolo viene commentato nei seguenti
termini da san Giovanni Crisostomo: "Che dici? Forse ogni singolo
governante è costituito da Dio? No, non dico questo: qui non si tratta
infatti di singoli governanti, ma del governare in se stesso. Ora il fatto
che esista l’autorità e che vi sia chi comanda e chi obbedisce, non
proviene dal caso, ma da una disposizione della Provvidenza divina" (In
Epist. ad Rom., c. 13, vv. 1-2, homil XXIII). Iddio, infatti, ha creato gli
esseri umani sociali per natura; e poiché non vi può essere "società
che si sostenga, se non c’è chi sovrasti gli altri, muovendo ognuno con
efficacia ed unità di mezzi verso un fine comune, ne segue che alla
convivenza civile è indispensabile l’autorità che regga; la quale, non
altrimenti che la società, è da natura, e perciò stesso viene da
Dio" (Enc. Immortale Dei di Leone XIII).
27. L’autorità non è una forza
incontrollata: è invece la facoltà di comandare secondo ragione. Trae
quindi la virtù di obbligare dall’ordine morale: il quale si fonda in
Dio, che ne è il primo principio e l’ultimo fine. "Lo stesso ordine
assoluto degli esseri e dei fini che mostra l’uomo come persona autonoma,
vale a dire soggetto di doveri e di diritti inviolabili, radice e termine
della sua vita sociale, abbraccia anche lo Stato come società necessaria,
rivestita dall’autorità, senza la quale non potrebbe né esistere, né
vivere... E poiché quell’ordine assoluto, alla luce della sana ragione, e
segnatamente della fede cristiana, non può avere altra origine che in un
Dio personale, nostro Creatore, ne consegue che la dignità dell’autorità
politica è la dignità della sua partecipazione all’autorità di
Dio" (cf. Radiomessaggio natalizio, di Pio XII, 1944).
28. L’autorità che si fonda solo o
principalmente sulla minaccia o sul timore di pene o sulla promessa e
attrattiva di premi, non muove efficacemente gli esseri umani
all’attuazione del bene comune; e se anche, per ipotesi, li movesse, ciò
non sarebbe conforme alla loro dignità di persone, e cioè di esseri
ragionevoli e liberi. L’autorità è, soprattutto, una forza morale; deve,
quindi, in primo luogo, fare appello alla coscienza, al dovere cioè che
ognuno ha di portare volonterosamente il suo contributo al bene di tutti.
Sennonché gli esseri umani sono tutti uguali per dignità naturale: nessuno
di esso può obbligare gli altri interiormente. Soltanto Dio lo può, perché
egli solo vede e giudica gli atteggiamenti che si assumono nel segreto del
proprio spirito.
29. L’autorità umana pertanto può
obbligare moralmente soltanto se è in rapporto intrinseco con l’autorità
di Dio, ed è una partecipazione di essa (cf. enc. Diuturnum illud di Leone
XIII).
In tal modo è pure salvaguardata la
dignità personale dei cittadini, giacché la loro obbedienza ai poteri
pubblici non è sudditanza di uomo a uomo, ma nel suo vero significato è un
atto di omaggio a Dio creatore e provvido, il quale ha disposto che i
rapporti della convivenza siano regolati secondo un ordine da lui stesso
stabilito; e rendendo omaggio a Dio, non ci si umilia, ma ci si eleva e ci
si nobilita, giacché servire Deo regnare est. (cf. ivi, p. 278; e enc.
Immortale Dei, di Leone XIII).
30. L’autorità, come si è detto, è
postulata dall’ordine morale e deriva da Dio. Qualora pertanto le sue
leggi o autorizzazioni siano in contrasto con quell’ordine, e quindi in
contrasto con la volontà di Dio, esse non hanno forza di obbligare la
coscienza, poiché "bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli
uomini"; (At 5,29) in tal caso, anzi, l’autorità cessa di essere
tale e degenera in sopruso. "La legge umana in tanto è tale in quanto
è conforme alla retta ragione e quindi deriva dalla legge eterna. Quando
invece una legge è in contrasto con la ragione, la si denomina legge
iniqua; in tal caso però cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto
di violenza" (Summa Theol., I-II, q. 93, a. 3 ad 2).
31. Tuttavia per il fatto che l’autorità
deriva da Dio, non ne segue che gli esseri umani non abbiano la libertà di
scegliere le persone investite del compito di esercitarla; come pure di
determinare le strutture di poteri pubblici, e gli àmbiti entro cui e i
metodi secondo i quali l’autorità va esercitata. Per cui la dottrina
sopra esposta è pienamente conciliabile con ogni sorta di regimi
genuinamente democratici (cf. enc. Diuturnum illud di Leone XIII).
L’attuazione del bene comune:
ragione d’essere dei poteri pubblici
32. Tutti gli esseri umani e tutti i
corpi intermedi sono tenuti a portare il loro specifico contributo
all’attuazione del bene comune. Ciò comporta che perseguano i propri
interessi in armonia con le sue esigenze; e adducano, allo stesso scopo, gli
apporti - in beni e servizi - che le legittime autorità stabiliscono,
secondo criteri di giustizia, nella debita forma e nell’ambito della
propria competenza; e cioè con atti formalmente perfetti e i cui contenuti
siano moralmente buoni o, almeno, ordinabili al bene.
Però l’attuazione del bene comune
costituisce la stessa ragione di essere dei poteri pubblici; i quali sono
tenuti ad attuarlo nel riconoscimento e nel rispetto dei suoi elementi
essenziali e secondo contenuti postulati dalle situazioni storiche (cf.
Radiomessaggio natalizio di Pio XII, 1942).
Aspetti fondamentali del bene comune
33. Vanno certamente considerati come
elementi del bene comune le caratteristiche etniche che contraddistinguono i
vari gruppi umani (cf. enc. Summi Pontificatus di Pio XII). Però quei
valori e quelle caratteristiche non esauriscono il contenuto del bene
comune. Il quale nei suoi aspetti essenziali e più profondi non può essere
concepito in termini dottrinali e meno ancora determinato nei suoi contenuti
storici che avendo riguardo all’uomo, essendo esso un oggetto
essenzialmente correlativo alla natura umana (cf. enc. Mit brennender Sorge di Pio XI).
34. In secondo luogo quello comune è un
bene a cui hanno diritto di partecipare tutti i membri di una comunità
politica, anche se in grado diverso a seconda dei loro compiti, meriti e
condizioni. I poteri pubblici quindi sono tenuti a promuoverlo a vantaggio
di tutti senza preferenza per alcuni cittadini o per alcuni gruppi di essi,
come insegna il nostro predecessore Leone XIII. "Né in veruna guisa si
deve far sì che la civile autorità serva all’interesse di uno o di
pochi, essendo essa invece stabilita a vantaggio di tutti" (Enc.
Immortale Dei di Leone XIII: Acta Leonis). Però ragioni di giustizia e di
equità possono talvolta esigere che i poteri pubblici abbiano speciali
riguardi per le membra più deboli del corpo sociale, trovandosi esse in
condizioni di inferiorità nel far vedere i loro diritti e nel perseguire i
loro legittimi interessi (cf. enc. Rerum novarum di Leone XIII).
35. Ma qui dobbiamo richiamare
l’attenzione sul fatto che il bene comune ha attinenza a tutto l’uomo:
tanto ai bisogni del suo corpo che alle esigenze del suo spirito. Per cui i
poteri pubblici si devono adoperare ad attuarlo nei modi e nei gradi che ad
essi convengono; in maniera tale però da promuovere simultaneamente, nel
riconoscimento e nel rispetto della gerarchia dei valori, tanto la prosperità
materiale che i beni spirituali (cf. enc. Summi pontificatus di Pio XII).
I principi sono indicati in perfetta
armonia con quanto abbiamo esposto nella Mater et magistra: "il bene
comune consiste nell’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e
favoriscono negli esseri umani lo sviluppo integrale della loro
persona" (Enc. Mater et magistra di Giovanni XXIII).
Ma gli esseri umani, composti di corpo e
di anima immortale, non esauriscono la loro esistenza né conseguono la loro
perfetta felicità nell’ambito del tempo. Per cui il bene comune va
attuato in modo non solo da non porre ostacoli, ma da servire altresì al
raggiungimento del loro fine ultraterreno ed eterno (cf. enc. Quadragesimo
anno di Pio XI).
Compiti dei poteri pubblici e diritti
e doveri della persona
36. Nell’epoca moderna l’attuazione
del bene comune trova la sua indicazione di fondo nei diritti e nei doveri
della persona. Per cui i compiti precipui dei poteri pubblici consistono,
soprattutto, nel riconoscere, rispettare, comporre, tutelare e promuovere
quei diritti; e nel contribuire, di conseguenza, a rendere più facile
l’adempimento dei rispettivi doveri. "Tutelare l’intangibile campo
dei diritti della persona umana e renderle agevole il compito dei suoi
doveri vuol essere ufficio essenziale di ogni pubblico potere" (cf.
Radiomessaggio di Pentecoste).
Per cui ogni atto dei poteri pubblici,
che sia od implichi un misconoscimento o una violazione di quei diritti, è
un atto contrastante con la stessa loro ragione di essere e rimane per ciò
stesso destituito d’ogni valore giuridico (cf. enc Mit brennender Sorge di
Pio XI).
Armonica composizione ed efficace
tutela dei diritti e doveri della persona
37. È quindi compito fondamentale dei
poteri pubblici disciplinare e comporre armonicamente i rapporti tra gli
esseri umani in maniera che l’esercizio dei diritti negli uni non
costituisca un ostacolo o una minaccia per l’esercizio degli stessi
diritti negli altri, e si accompagni all’adempimento dei rispettivi
doveri; ed è ancora compito loro tutelare efficacemente o ripristinare
l’esercizio di tali diritti (cf. enc. Divini Redemptoris di Pio XI).
Dovere di promuovere i diritti della
persona
38. È inoltre un’esigenza del bene
comune che i poteri pubblici contribuiscano positivamente alla creazione di
un ambiente umano nel quale a tutti i membri del corpo sociale sia reso
possibile e facilitato l’effettivo esercizio degli accennati diritti, come
pure l’adempimento dei rispettivi doveri. Infatti l’esperienza attesta
che qualora manchi una appropriata azione dei poteri pubblici, gli squilibri
economici, sociali e culturali tra gli esseri umani tendono, soprattutto
nell’epoca nostra, ad accentuarsi; di conseguenza i fondamentali diritti
della persona rischiano di rimanere privi di contenuto; e viene compromesso
l’adempimento dei rispettivi doveri.
39. È perciò indispensabile che i
poteri pubblici si adoperino perché allo sviluppo economico si adegui il
progresso sociale; e quindi perché siano sviluppati, in proporzione
dell’efficienza dei sistemi produttivi, i servizi essenziali, quali: la
viabilità, i trasporti, le comunicazioni, l’acqua potabile,
l’abitazione, l’assistenza sanitaria, l’istruzione, condizioni idonee
per la vita religiosa, i mezzi ricreativi. E devono anche provvedere a che
si dia vita a sistemi assicurativi in maniera che, al verificarsi di eventi
negativi o di eventi che comportino maggiori responsabilità familiari, ad
ogni essere umano non vengano meno i mezzi necessari ad un tenore di vita
dignitoso; come pure affinché a quanti sono in grado di lavorare sia
offerta una occupazione rispondente alle loro capacità; la rimunerazione
del lavoro sia determinata secondo criteri di giustizia e di equità; ai
lavoratori, nei complessi produttivi, sia acconsentito svolgere le proprie
attività in attitudine di responsabilità; sia facilitata la istituzione
dei corpi intermedi che rendono più articolata e più feconda la vita
sociale; sia resa accessibile a tutti, nei modi e gradi opportuni, la
partecipazione ai beni della cultura.
Equilibrio fra le due forme di
intervento dei poteri pubblici
40. Il bene comune esige che i poteri
pubblici, nei confronti dei diritti della persona, svolgano una duplice
azione: l’una diretta a comporre e tutelare quei diritti, l’altra a
promuoverli. In materia però va posta la più vigilante attenzione perché
le due azioni siano saggiamente contemperate. Si deve quindi evitare che,
attraverso la preferenza data alla tutela dei diritti di alcuni individui o
gruppi sociali, si creino posizioni di privilegio; e si deve pure evitare
che, nell’intento di promuovere gli accennati diritti, si arrivi
all’assurdo risultato di ridurre eccessivamente o renderne impossibile il
genuino esercizio. "Dev’essere sempre riaffermato il principio che la
presenza dello Stato in campo economico non va attuata per ridurre sempre più
la sfera di libertà della iniziativa personale dei singoli cittadini, ma
per garantire a quella sfera la maggiore ampiezza possibile,
nell’effettiva tutela, per tutti e per ciascuno, dei diritti essenziali
della persona" (Enc. Mater et magistra di Giovanni XXIII).
Allo stesso principio devono ispirarsi i
poteri pubblici nello svolgimento della loro multiforme azione diretta a
promuovere l’esercizio di diritti e a renderne meno arduo l’adempimento
di doveri in tutti i settori della vita sociale.
Struttura e funzionamento dei poteri
pubblici
41. Non si può stabilire, una volta per
sempre, qual è la struttura migliore secondo cui devono organizzarsi i
poteri pubblici, come pure il modo più idoneo secondo il quale devono
svolgere le loro specifiche funzioni, e cioè la funzione legislativa,
amministrativa, giudiziaria.
Giacché la struttura e il funzionamento
dei poteri pubblici non possono non essere in relazione con le situazioni
storiche delle rispettive comunità politiche: situazioni che variano nello
spazio e mutano nel tempo. Però riteniamo rispondente ad esigenze insite
nella stessa natura degli uomini l’organizzazione giuridico-politica della
comunità umana, fondata su una conveniente divisione dei poteri in
corrispondenza alle tre specifiche funzioni dell’autorità pubblica. In
essa infatti la sfera di competenza e il funzionamento dei poteri pubblici
sono definiti in termini giuridici; e in termini giuridici sono pure
disciplinati i rapporti fra semplici cittadini e funzionari. Ciò
costituisce un elemento di garanzia a favore dei cittadini nell’esercizio
dei loro diritti e nell’adempimento dei loro doveri.
42. Però affinché l’accennata
organizzazione giuridica-politica delle comunità umane arrechi i vantaggi
che le sono propri, è indispensabile che i poteri pubblici si adeguino nei
metodi e nei mezzi alla natura e complessità dei problemi che sono chiamati
a risolvere nell’ambiente in cui operano; ed è pure indispensabile che
ognuno di essi svolga la propria funzione in modo pertinente. Ciò comporta
che il potere legislativo si muova nell’ambito dell’ordine morale e
della norma costituzionale, e interpreti obiettivamente le esigenze del bene
comune nell’incessante evolversi delle situazioni; che il potere esecutivo
applichi le leggi con saggezza nella piena conoscenza delle medesime e in
una valutazione serena dei casi concreti; che il potere giudiziario
amministri la giustizia con umana imparzialità, inflessibile di fronte alle
pressioni di qualsivoglia interesse di parte, e comporta pure che i singoli
cittadini e i corpi intermedi, nell’esercizio dei loro doveri, godano di
una tutela giuridica efficace tanto nei loro vicendevoli rapporti che nei
confronti dei funzionari pubblici (cf. Radiomessaggio natalizio di Pio XII,
1942).
Ordinamento giuridico e coscienza
morale
43. Un ordinamento giuridico in armonia
con l’ordine morale e rispondente al grado di maturità della comunità
politica, di cui è espressione, costituisce, non v’è dubbio, un elemento
fondamentale per l’attuazione del bene comune.
Però la vita sociale, nei nostri tempi,
è così varia, complessa e dinamica, che gli ordinamenti giuridici, anche
se elaborati con competenza consumata e lungimirante avvedutezza, sono
sempre inadeguati.
Inoltre i rapporti fra i singoli esseri
umani; fra i singoli esseri umani e i corpi intermedi da una parte, e i
poteri pubblici dall’altra; come pure i rapporti fra gli stessi poteri
pubblici nell’interno della compagine statale, presentano zone spesso così
delicate e nevralgiche, che non sono suscettibili di essere disciplinate con
quadri giuridici ben definiti. Per cui le persone investite di autorità per
essere, nello stesso tempo, fedeli agli ordinamenti giuridici esistenti,
considerati nei loro elementi e nella loro ispirazione di fondo, e aperti
alle istanze che salgono dalla vita sociale; come pure per adeguare gli
ordinamenti giuridici all’evolversi delle situazioni e risolvere, nel modo
migliore, i sempre nuovi problemi, devono avere idee chiare sulla natura e
sull’ampiezza dei loro compiti; e devono essere persone di grande
equilibrio e di spiccata dirittura morale, fornite di intuito pratico, per
interpretare con rapidità e obiettivamente i casi concreti, e di volontà
decisa e vigorosa per agire con tempestività ed efficacia.
La partecipazione dei cittadini alla
vita pubblica
44. È un’esigenza della loro dignità
di persone che gli esseri umani prendano parte attiva alla vita pubblica,
anche se le forme con cui vi partecipano sono necessariamente legate al
grado di maturità umana raggiunto dalla comunità politica di cui sono
membri e in cui operano.
Attraverso la partecipazione alla vita
pubblica si aprono agli esseri umani nuovi e vasti campi di bene, mentre i
frequenti contatti fra cittadini e funzionari pubblici rendono a questi meno
arduo cogliere le esigenze obiettive del bene comune; e l’avvicendarsi dei
titolari nei poteri pubblici impedisce il loro logorio e assicura il loro
rinnovarsi in rispondenza dell’evolversi sociale.
Segni dei tempi
45. Nell’organizzazione giuridica delle
comunità politiche nell’epoca moderna, si riscontra anzitutto la carta
dei diritti fondamentali degli esseri umani: carta che viene, non di rado,
inserita nelle costituzioni o che forma parte integrante di esse.
In secondo luogo si tende pure a fissare
in termini giuridici, per mezzo della compilazione di un documento
denominato costituzione, le vie attraverso le quali si formano i poteri
pubblici; come pure i loro reciproci rapporti, le sfere di loro competenza,
i modi o metodi secondo cui sono tenuti a procedere nel porre in essere i
loro atti.
Si stabiliscono, quindi, in termini di
diritti e di doveri i rapporti tra i cittadini e i poteri pubblici; e si
ascrive ai poteri pubblici il compito preminente di riconoscere, rispettare,
comporre armonicamente, tutelare e promuovere i diritti e i doveri dei
cittadini.
Certo non può essere accettata come vera
la posizione dottrinale di quanti erigono la volontà degli esseri umani,
presi individualmente o comunque raggruppati, a fonte prima ed unica donde
scaturiscono diritti e doveri, donde promana tanto l’obbligatorietà delle
costituzioni che l’autorità dei poteri pubblici (cf. epist. apost. Annum
ingressi di Leone XIII).
46. Però le tendenze, di cui si è fatto
cenno, sono pure un segno indubbio che gli esseri umani, nell’epoca
moderna, hanno acquistato una coscienza più viva della propria dignità:
coscienza che, mentre li sospinge a prendere parte attiva alla vita
pubblica, esige pure che i diritti della persona - diritti inalienabili e
inviolabili - siano riaffermati negli ordinamenti giuridici positivi; ed
esige inoltre che i poteri pubblici siano formati con procedimenti stabiliti
da norme costituzionali, ed esercitino le loro specifiche funzioni
nell’ambito di quadri giuridici.
III
- RAPPORTI FRA LE COMUNITÀ POLITICHE
Soggetti di diritti e di doveri
47. Riaffermiamo noi pure quello che
costantemente hanno insegnato i nostri predecessori: le comunità politiche,
le une rispetto alle altre, sono soggetti di diritti e di doveri; per cui
anche i loro rapporti vanno regolati nella verità, nella giustizia, nella
solidarietà operante, nella libertà. La stessa legge morale, che regola i
rapporti fra i singoli esseri umani, regola pure i rapporti tra le
rispettive comunità politiche.
Ciò non è difficile a capirsi quando si
pensi che le persone che rappresentano le comunità politiche, mentre
operano in nome e per l’interesse delle medesime, non possono venire meno
alla propria dignità; e quindi non possono violare la legge della propria
natura, che è la legge morale.
Sarebbe del resto assurdo anche solo il
pensare che gli uomini, per il fatto che vengono preposti al governo della
cosa pubblica, possano essere costretti a rinunciare alla propria umanità;
quando invece sono scelti a quell’alto compito perché considerati membra
più ricche di qualità umane e fra le migliori del corpo sociale.
Inoltre, l’autorità è un’esigenza
dell’ordine morale nella società umana; non può quindi essere usata
contro di esso, e se lo fosse, nello stesso istante cesserebbe di essere
tale; perciò ammonisce il Signore: "udite pertanto voi, o re, e ponete
mente, imparate voi che giudicate tutta la terra. Porgete le orecchie voi
che avete il governo dei popoli, e vi gloriate di aver soggette molte
nazioni: la potestà è stata data a voi dal Signore e la dominazione
dall’Altissimo, il quale disaminerà le opere vostre, e sarà scrutatore
dei pensieri" (Sap 6,2-4).
48. Infine è pure da ricordare che anche
nella regolazione dei rapporti fra le comunità politiche, l’autorità va
esercitata per attuare il bene comune, che costituisce la sua ragione di
essere. Elemento però fondamentale del bene comune è il riconoscimento e
il rispetto dell’ordine morale. "L’ordine tra le comunità
politiche ha da essere innalzato sulla rupe incrollabile e immutabile della
legge morale, manifestata dal Creatore stesso per mezzo dell’ordine
naturale e da lui scolpita nei cuori degli uomini con caratteri
incancellabili... Quale faro splendente, essa deve, coi raggi dei suoi
principi, dirigere il corso dell’operosità degli uomini e degli Stati, i
quali avranno da seguirne le ammonitrici, salutari e proficue segnalazioni,
se non vorranno condannare alla bufera e al naufragio ogni lavoro e sforzo
per stabilire un nuovo ordinamento" (cf. Radiomessaggio di Pentecoste,
1941).
Nella verità
49. I rapporti fra le comunità politiche
vanno regolati nella verità. La quale esige anzitutto che da quei rapporti
venga eliminata ogni traccia di razzismo; e venga quindi riconosciuto il
principio che tutte le comunità politiche sono uguali per dignità di
natura; per cui ognuna di esse ha il diritto all’esistenza, al proprio
sviluppo, ai mezzi idonei per attuarlo, ad essere la prima responsabile
nell’attuazione del medesimo; e ha pure il diritto alla buona reputazione
e ai dovuti onori.
Fra gli esseri umani molto spesso
sussistono differenze, anche spiccate, nel sapere, nella virtù, nelle
capacità inventive, nel possesso di beni materiali. Ma ciò non può mai
giustificare il proposito di far pesare la propria superiorità sugli altri;
piuttosto costituisce una sorgente di maggiore responsabilità
nell’apporto che ognuno e tutti devono addurre alla vicendevole
elevazione.
Così le comunità politiche possono
differire tra loro nel grado di cultura e di civiltà o di sviluppo
economico; però ciò non può mai giustificare il fatto che le une facciano
valere ingiustamente la loro superiorità sulle altre; piuttosto può
costituire un motivo perché si sentano più impegnate nell’opera per la
comune ascesa.
50. Non ci sono esseri umani superiori
per natura ed esseri umani inferiori per natura; ma tutti gli esseri umani
sono uguali per dignità naturale. Di conseguenza non ci sono neppure
comunità politiche superiori per natura e comunità politiche inferiori per
natura: tutte le comunità politiche sono uguali per dignità naturale,
essendo esse dei corpi le cui membra sono gli stessi esseri umani. Né va
quindi dimenticato che i popoli, a ragione, sono sensibilissimi in materia
di dignità e di onore.
Inoltre la verità esige che nelle
molteplici iniziative rese possibili dai progressi moderni nei mezzi
espressivi - iniziative attraverso le quali si diffonde la mutua conoscenza
fra i popoli - ci si ispiri a serena obiettività: il che non esclude che
sia legittima nei popoli una preferenza di far conoscere gli aspetti
positivi della loro vita. Vanno però respinti i metodi di informazione con
i quali, venendo meno alla verità, si lede ingiustamente la riputazione di
questo o di quel popolo (cf. Radiomessaggio di Pio XII, 1940).
Secondo giustizia
51. I rapporti fra le comunità politiche
vanno inoltre regolati secondo giustizia: il che comporta, oltre che il
riconoscimento dei vicendevoli diritti, l’adempimento dei rispettivi
doveri.
Le comunità politiche hanno il diritto
all’esistenza, al proprio sviluppo, ai mezzi idonei per attuarlo: ad
essere le prime artefici nell’attuazione del medesimo; ed hanno pure il
diritto alla buona riputazione e ai debiti onori: di conseguenza e
simultaneamente le stesse comunità politiche hanno pure il dovere di
rispettare ognuno di quei diritti; e di evitare quindi le azioni che ne
costituiscono una violazione. Come nei rapporti tra i singoli esseri umani,
agli uni non è lecito perseguire i propri interessi a danno degli altri,
così nei rapporti fra le comunità politiche, alle une non è lecito
sviluppare se stesse comprimendo od opprimendo le altre. Cade qui opportuno
il detto di sant’Agostino: "Abbandonata la giustizia, a che si
riducono i regni, se non a grandi latrocini?" (De civitate Dei, lib.
IV, c. 4: PL, 41,115; cf. Radiomessaggio natalizio di Pio XII, 1939).
Certo, anche tra le comunità politiche
possono sorgere e di fatto sorgono contrasti di interessi; però i contrasti
vanno superati e le rispettive controversie risolte, non con il ricorso alla
forza, con la frode o con l’inganno, ma, come si addice agli esseri umani,
con la reciproca comprensione, attraverso valutazioni serenamente obiettive
e l’equa composizione.
Il trattamento delle minoranze
52. Dal XIX secolo una tendenza di fondo
assai estesa nell’evolversi storico è che le comunità politiche si
adeguano a quelle nazionali. Però, per un insieme di cause, non sempre
riesce di far coincidere i confini geografici con quelli etnici: ciò dà
origine al fenomeno delle minoranze e ai rispettivi complessi problemi.
Va affermato nel modo più esplicito che
una azione diretta a comprimere e a soffocare il flusso vitale delle
minoranze è grave violazione della giustizia; e tanto più lo è quando
viene svolta per farle scomparire.
Risponde invece ad un’esigenza di
giustizia che i poteri pubblici portino il loro contributo nel promuovere lo
sviluppo umano delle minoranze, con misure efficaci a favore della loro
lingua, della loro cultura, del loro costume, delle loro risorse ed
iniziative economiche (cf. Radiomessaggio natalizio di Pio XII, 1941).
53. Qui però va rilevato che i membri
delle minoranze, come conseguenza di una reazione al loro stato attuale o a
causa delle loro vicende storiche, possono essere portati, non di rado, ad
accentuare l’importanza degli elementi etnici, da cui sono caratterizzati,
fino a porli al di sopra dei valori umani; come se ciò che è proprio
dell’umanità fosse in funzione di ciò che e proprio della nazione.
Mentre saggezza vorrebbe che sapessero pure apprezzare gli aspetti positivi
di una condizione che consente loro l’arricchimento di se stessi con
l’assimilazione graduale e continuata di valori propri di tradizioni o
civiltà differenti da quella alla quale essi appartengono. Ciò però si
verificherà soltanto se essi sapranno essere come un ponte che facilita la
circolazione della vita nelle sue varie espressioni fra le differenti
tradizioni o civiltà, e non invece una zona di attrito che arreca danni
innumerevoli e determina ristagni o involuzioni.
Solidarietà operante
54. I rapporti tra le comunità politiche
vanno regolati nella verità e secondo giustizia; ma quei rapporti vanno
pure vivificati dall’operante solidarietà attraverso le mille forme di
collaborazione economica, sociale, politica, culturale, sanitaria, sportiva:
forme possibili e feconde nella presente epoca storica. In argomento occorre
sempre considerare che la ragione d’essere dei poteri pubblici non è
quella di chiudere e comprimere gli esseri umani nell’ambito delle
rispettive comunità politiche; è invece quella di attuare il bene comune
delle stesse comunità politiche; il quale bene comune però va concepito e
promosso come una componente del bene comune dell’intera famiglia umana.
Ciò importa non solo che le singole
comunità politiche perseguano i propri interessi senza danneggiarsi le une
le altre, ma che mettano pure in comune l’opera loro quando ciò sia
indispensabile per il raggiungimento di obiettivi altrimenti non
raggiungibili: nel qual caso però occorre usare ogni riguardo perché ciò
che torna di utilità ad un gruppo di comunità politiche non sia di
nocumento ad altre, ma abbia anche su esse riflessi positivi.
Il bene comune universale inoltre esige
che le comunità politiche favoriscano gli scambi, in ogni settore, fra i
rispettivi cittadini e i rispettivi corpi intermedi.
55. Sulla terra esiste un numero
rilevante di gruppi etnici, più o meno accentuatamente differenziati
l’uno dall’altro. Però gli elementi che caratterizzano un gruppo etnico
non devono trasformarsi in uno scompartimento stagno in cui degli esseri
umani vengano impediti di comunicare con gli esseri umani appartenenti a
gruppi etnici differenti: ciò sarebbe in stridente contrasto con un’epoca
come la nostra, nella quale le distanze tra i popoli sono state quasi
eliminate. Né va dimenticato che se, in virtù delle proprie peculiarità
etniche, gli esseri umani si distinguono gli uni dagli altri, posseggono però
elementi essenziali comuni, e sono portati per natura a incontrarsi nel
mondo dei valori spirituali, la cui progressiva assimilazione apre ad essi
possibilità di perfezionamento senza limiti. Deve quindi essere loro
riconosciuto il diritto e il dovere di vivere in comunione gli uni con gli
altri.
Equilibrio tra popolazione, terra e
capitali
56. Come è noto, vi sono sulla terra
paesi che abbondano di terreni coltivabili e scarseggiano di uomini; in
altri paesi invece non vi è proporzione tra le ricchezze naturali e i
capitali a disposizione. Ciò pure domanda che i popoli instaurino rapporti
di mutua collaborazione, facilitando tra essi la circolazione di capitali,
di beni, di uomini (cf. enc. Mater et magistra di Giovanni: XXIII).
Qui crediamo opportuno di osservare che,
ogniqualvolta è possibile, pare che debba essere il capitale a cercare il
lavoro e non viceversa.
In tal modo si offrono a molte persone
possibilità concrete di crearsi un avvenire migliore senza essere costrette
a trapiantarsi dal proprio ambiente in un altro; il che è quasi impossibile
che si verifichi senza schianti dolorosi, e senza difficili periodi di
riassestamento umano o di integrazione sociale.
Il problema dei profughi politici
57. Il sentimento di universale paternità
che il Signore ha acceso nel nostro animo, ci fa sentire profonda amarezza
nel considerare il fenomeno dei profughi politici: fenomeno che ha assunto
proporzioni ampie e che nasconde sempre innumerevoli e acutissime
sofferenze.
Esso sta purtroppo a indicare come vi
sono regimi politici che non assicurano alle singole persone una sufficiente
sfera di libertà, entro cui al loro spirito sia consentito respirare con
ritmo umano; anzi in quei regimi è messa in discussione o addirittura
misconosciuta la legittimità della stessa esistenza di quella sfera. Ciò,
non v’è dubbio, rappresenta una radicale inversione nell’ordine della
convivenza, giacché la ragione di essere dei poteri pubblici è quella di
attuare il bene comune, di cui elemento fondamentale è riconoscere quella
sfera di libertà e assicurarne l’immunità.
Non è superfluo ricordare che i profughi
politici sono persone; e che a loro vanno riconosciuti tutti i diritti
inerenti alla persona: diritti che non vengono meno quando essi siano stati
privati della cittadinanza nelle comunità politiche di cui erano membri.
Fra i diritti inerenti alla persona vi è
pure quello di inserirsi nella comunità politica in cui si ritiene di
potersi creare un avvenire per sé e per la propria famiglia; di conseguenza
quella comunità politica, nei limiti consentiti dal bene comune rettamente
inteso, ha il dovere di permettere quell’inserimento, come pure di
favorire l’integrazione in se stessa delle nuove membra.
58. Siamo lieti di cogliere l’occasione
per esprimere il nostro sincero apprezzamento per tutte le iniziative
suscitate e promosse dalla solidarietà umana e dall’amore cristiano allo
scopo di rendere meno doloroso il trapianto di persone da un corpo sociale
ad un altro.
E ci sia pure consentito di segnalare
all’attenzione e alla gratitudine di ogni animo retto la multiforme opera
che in un campo tanto delicato svolgono istituzioni internazionali
specializzate.
Disarmo
59. Ci è pure doloroso costatare come
nelle comunità politiche economicamente più sviluppate si siano creati e
si continuano a creare armamenti giganteschi; come a tale scopo venga
assorbita una percentuale altissima di energie spirituali e di risorse
economiche; gli stessi cittadini di quelle comunità politiche siano
sottoposti a sacrifici non lievi; mentre altre comunità politiche vengono,
di conseguenza, private di collaborazioni indispensabili al loro sviluppo
economico e al loro progresso sociale.
Gli armamenti, come è noto, si sogliono
giustificare adducendo il motivo che se una pace oggi è possibile, non può
essere che la pace fondata sull’equilibrio delle forze. Quindi se una
comunità politica si arma, le altre comunità politiche devono tenere il
passo ed armarsi esse pure. E se una comunità politica produce armi
atomiche, le altre devono pure produrre armi atomiche di potenza distruttiva
pari.
60. In conseguenza gli esseri umani
vivono sotto l’incubo di un uragano che potrebbe scatenarsi ad ogni
istante con una travolgenza inimmaginabile. Giacché le armi ci sono; e se
è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di assumersi la
responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe,
non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far
scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico. Inoltre va
pure tenuto presente che se anche una guerra a fondo, grazie all’efficacia
deterrente delle stesse armi, non avrà luogo, è giustificato il timore che
il fatto della sola continuazione degli esperimenti nucleari a scopi bellici
possa avere conseguenze fatali per la vita sulla terra.
Per cui giustizia, saggezza ed umanità
domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti, si riducano
simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti; si mettano al
bando le armi nucleari; e si pervenga finalmente al disarmo integrato da
controlli efficaci. "Non si deve permettere - proclama Pio XII - che la
sciagura di una guerra mondiale con le sue rovine economiche e sociali e le
sue aberrazioni e perturbamenti morali si rovesci per la terza volta
sull’umanità" (cf. Radiomessaggio natalizio di Pio XII, 1941).
61. Occorre però riconoscere che
l’arresto agli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva riduzione, e,
a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello
stesso tempo non si procedesse ad un disarmo integrale; se cioè non si
smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi,
la psicosi bellica: il che comporta, a sua volta, che al criterio della pace
che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio
che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi
riteniamo che si tratti di un obiettivo che può essere conseguito. Giacché
esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più
alta utilità.
62. È un obiettivo reclamato dalla
ragione. È evidente, o almeno dovrebbe esserlo per tutti, che i rapporti
fra le comunità politiche, come quelli fra i singoli esseri umani, vanno
regolati non facendo ricorso alla forza delle armi, ma nella luce della
ragione; e cioè nella verità, nella giustizia, nella solidarietà
operante.
È un obiettivo desideratissimo. Ed
invero chi è che non desidera ardentissimamente che il pericolo della
guerra sia eliminato e la pace sia salvaguardata e consolidata?
È un obiettivo della più alta utilità.
Dalla pace tutti traggono vantaggi: individui, famiglie, popoli, l’intera
famiglia umana. Risuonano ancora oggi severamente ammonitrici le parole di
Pio XII: "Nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con
la guerra" (cf. Radiomessaggio di Pio XII, 24 agosto 1939).
63. Perciò come vicario di Gesù Cristo,
Salvatore del mondo e artefice della pace, e come interprete dell’anelito
più profondo dell’intera famiglia umana, seguendo l’impulso del nostro
animo, preso dall’ansia di bene per tutti, ci sentiamo in dovere di
scongiurare gli uomini, soprattutto quelli che sono investiti di
responsabilità pubbliche, a non risparmiare fatiche per imprimere alle cose
un corso ragionevole ed umano.
Nelle assemblee più alte e qualificate
considerino a fondo il problema della ricomposizione pacifica dei rapporti
tra le comunità politiche su piano mondiale: ricomposizione fondata sulla
mutua fiducia, sulla sincerità nelle trattative, sulla fedeltà agli
impegni assunti. Scrutino il problema fino a individuare il punto donde è
possibile iniziare l’avvio verso intese leali, durature, feconde.
Da parte nostra non cesseremo di
implorare le benedizioni di Dio sulle loro fatiche, affinché apportino
risultati positivi.
Nella libertà
64. I rapporti tra le comunità politiche
vanno regolati nella libertà. Il che significa che nessuna di esse ha il
diritto di esercitare un’azione oppressiva sulle altre o di indebita
ingerenza. Tutte invece devono proporsi di contribuire perché in ognuna sia
sviluppato il senso di responsabilità, lo spirito di iniziativa, e
l’impegno ad essere la prima protagonista nel realizzare la propria ascesa
in tutti i campi.
L’ascesa delle comunità politiche
in fase di sviluppo economico
65. Una comunanza di origine, di
redenzione, di supremo destino lega tutti gli esseri umani e li chiama a
formare un’unica famiglia cristiana. Per tale ragione nell’enciclica
Mater et magistra abbiamo esortato le comunità politiche economicamente
sviluppate a instaurare rapporti di multiforme cooperazione con le comunità
politiche in via di sviluppo economico (Enc. Mater et magistra di Giovanni
XXIII).
Possiamo ora costatare con soddisfazione
che il nostro appello ha riscosso una larga favorevole accoglienza; e ci
arride la speranza che ancor più per l’avvenire esso contribuisca a far sì
che i paesi meno provvisti di beni pervengano, nel tempo più breve
possibile, ad un grado di sviluppo economico che consenta ad ogni cittadino
di vivere in condizioni rispondenti alla propria dignità di persona.
66. Ma non è mai abbastanza ripetuto che
la cooperazione, di cui si è fatto cenno, va attuata nel più grande
rispetto per la libertà delle comunità politiche in fase di sviluppo. Le
quali comunità è necessario che siano e si sentano le prime responsabili e
le principali artefici nell’attuazione del loro sviluppo economico e del
loro progresso sociale.
Già il nostro predecessore Pio XII
proclamava che "nel campo di un nuovo ordinamento fondato sui principi
morali non vi è posto per la lesione della libertà, dell’integrità e
della sicurezza di altre nazioni, qualunque sia la loro estensione
territoriale o la loro capacità di difesa. Se è inevitabile che i grandi
Stati, per le loro maggiori possibilità e la loro potenza, traccino il
cammino per la costituzione di gruppi economici fra essi e le nazioni più
piccole e deboli, è nondimeno incontestabile - come di tutti, nell’ambito
dell’interesse generale - il diritto di queste al rispetto della loro
libertà nel campo politico, alla efficace custodia di quella neutralità
nelle contese tra gli Stati, che loro spetta secondo il gius naturale e
delle genti, alla tutela del loro sviluppo economico, giacché soltanto in
tal guisa potranno conseguire adeguatamente il bene comune, il benessere
materiale e spirituale del proprio popolo" (cf. Radiomessaggio
natalizio di Pio XII, 1941). Pertanto le comunità politiche economicamente
sviluppate, nel prestare la loro multiforme opera, sono tenute al
riconoscimento e al rispetto dei valori morali e delle peculiarità etniche
proprie delle comunità in fase di sviluppo economico; come pure ad agire
senza propositi di predominio politico; in tal modo portano "un
contributo prezioso alla formazione di una comunità mondiale nella quale
tutti i membri siano soggetti consapevoli dei propri doveri e dei propri
diritti, operanti in rapporto di uguaglianza all’attuazione del bene
comune universale" (Enc. Mater et magistra di Giovanni XXIII).
Segni dei tempi
67. Si diffonde sempre più tra gli
esseri umani la persuasione che le eventuali controversie tra i popoli non
debbono essere risolte con il ricorso alle armi; ma invece attraverso il
negoziato.
Vero è che sul terreno storico quella
persuasione è piuttosto in rapporto con la forza terribilmente distruttiva
delle armi moderne; ed è alimentata dall’orrore che suscita nell’animo
anche solo il pensiero delle distruzioni immani e dei dolori immensi che
l’uso di quelle armi apporterebbe alla famiglia umana; per cui riesce
quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere
utilizzata come strumento di giustizia.
Però tra i popoli, purtroppo, spesso
regna ancora la legge del timore. Ciò li sospinge a profondere spese
favolose in armamenti: non già, si afferma - né vi è motivo per non
credervi - per aggredire, ma per dissuadere gli altri dall’aggressione.
È lecito tuttavia sperare che gli
uomini, incontrandosi e negoziando, abbiano a scoprire meglio i vincoli che
li legano, provenienti dalla loro comune umanità e abbiano pure a scoprire
che una fra le più profonde esigenze della loro comune umanità è che tra
essi e tra i rispettivi popoli regni non il timore, ma l’amore: il quale
tende ad esprimersi nella collaborazione leale, multiforme, apportatrice di
molti beni.
IV
- RAPPORTI DEGLI ESSERI UMANI E DELLE COMUNITÀ POLITICHE
CON LA COMUNITÀ MONDIALE
Interdipendenza tra le comunità
politiche
68. I recenti progressi delle scienze e
delle tecniche incidono profondamente sugli esseri umani, sollecitandoli a
collaborare tra loro e orientandoli verso una convivenza unitaria a raggio
mondiale. Si è infatti intensamente accentuata la circolazione delle idee,
degli uomini, delle cose. Per cui sono aumentati enormemente e si sono
infittiti i rapporti tra i cittadini, le famiglie, i corpi intermedi
appartenenti a diverse comunità politiche; come pure fra i poteri pubblici
delle medesime. Mentre si approfondisce l’interdipendenza tra le economie
nazionali: le une si inseriscono progressivamente sulle altre fino a
diventare ciascuna quasi parte integrante di un’unica economia mondiale; e
il progresso sociale, l’ordine, la sicurezza, e la pace all’interno di
ciascuna comunità politica è in rapporto vitale con il progresso sociale,
l’ordine, la sicurezza, la pace di tutte le altre comunità politiche.
Nessuna comunità politica oggi è in
grado di perseguire i suoi interessi e di svilupparsi chiudendosi in se
stessa; giacché il grado della sua prosperità e del suo sviluppo sono pure
il riflesso ed una componente del grado di prosperità e dello sviluppo di
tutte le altre comunità politiche.
Insufficienza dell’attuale
organizzazione dell’autorità pubblica nei confronti del bene comune
universale
69. L’unità della famiglia umana è
esistita in ogni tempo, giacché essa ha come membri gli esseri umani che
sono tutti uguali per dignità naturale. Di conseguenza esisterà sempre
l’esigenza obiettiva all’attuazione, in grado sufficiente, del bene
comune universale, e cioè del bene comune della intera famiglia umana.
Nei tempi passati si poteva, a ragione,
ritenere che i poteri pubblici delle differenti comunità politiche
potessero essere in grado di attuare il bene comune universale; o attraverso
le normali vie diplomatiche o con incontri a più alto livello, utilizzando
gli strumenti giuridici, quali, ad esempio, le convenzioni e i trattati:
strumenti giuridici suggeriti dal diritto naturale, e determinati dal
diritto delle genti e dal diritto internazionale.
70. In seguito alle profonde
trasformazioni intervenute nei rapporti della convivenza umana, da una parte
il bene comune universale solleva problemi complessi, gravissimi,
estremamente urgenti, specialmente per ciò che riguarda la sicurezza e la
pace mondiale; dall’altra parte i poteri pubblici delle singole comunità
politiche, posti come sono su un piede di uguaglianza giuridica tra essi,
per quanto moltiplichino i loro incontri e acuiscano la loro ingegnosità
nell’elaborare nuovi strumenti giuridici, non sono più in grado di
affrontare e risolvere gli accennati problemi adeguatamente: e ciò non
tanto per mancanza di buona volontà o di iniziativa, ma a motivo di una
loro deficienza strutturale.
Si può dunque affermare che sul terreno
storico è venuta meno la rispondenza fra l’attuale organizzazione e il
rispettivo funzionamento del principio autoritario operante su piano
mondiale e le esigenze obiettive del bene comune universale.
Rapporto fra contenuti storici del bene
comune e struttura e funzionamento dei poteri pubblici
71. Esiste un rapporto intrinseco fra i
contenuti storici del bene comune da una parte e la configurazione e il
funzionamento dei poteri pubblici dall’altra. L’ordine morale, cioè,
come esige l’autorità pubblica nella convivenza per l’attuazione del
bene comune, di conseguenza esige pure che l’autorità a tale scopo sia
efficiente. Ciò postula che gli organi nei quali l’autorità prende
corpo, diviene operante e persegue il suo fine siano strutturali e agiscano
in maniera da essere idonei a tradurre nella realtà i contenuti nuovi che
il bene comune viene assumendo nell’evolversi storico della convivenza.
Il bene comune universale pone ora
problemi a dimensioni mondiali che non possono essere adeguatamente
affrontati e risolti che ad opera di poteri pubblici aventi ampiezza,
strutture e mezzi delle stesse proporzioni; di poteri pubblici cioè, che
siano in grado di operare in modo efficiente su piano mondiale. Lo stesso
ordine morale quindi domanda che tali poteri vengano istituiti.
Poteri pubblici istituiti di comune
accordo e non imposti con la forza
72. I poteri pubblici, aventi autorità
su piano mondiale e dotati di mezzi idonei a perseguire efficacemente gli
obiettivi che constituiscono i contenuti concreti del bene comune
universale, vanno istituiti di comune accordo e non imposti con la forza. La
ragione è che siffatti poteri devono essere in grado di operare
efficacemente; però, nello stesso tempo, la loro azione deve essere
informata a sincera ed effettiva imparzialità; deve cioè essere
un’azione diretta a soddisfare alle esigenze obiettive del bene comune
universale. Sennonché ci sarebbe certamente da temere che poteri pubblici
supernazionali o mondiali imposti con la forza dalle comunità politiche più
potenti non siano o non divengano strumento di interessi particolaristici; e
qualora ciò non si verifichi, è assai difficile che nel loro operare
risultino immuni da ogni sospetto di parzialità: il che comprometterebbe
l’efficacia della loro azione.
Le comunità politiche, anche se fra esse
corrano differenze accentuate nel grado di sviluppo economico e nella
potenza militare, sono tutte assai sensibili quanto a parità giuridica e
alla loro dignità morale. Per cui, a ragione, non facilmente si piegano ad
obbedire a poteri imposti con la forza; o a poteri alla cui creazione non
abbiano contribuito; o ai quali non abbiano esse stesse deciso di sottoporsi
con scelte consapevoli e libere.
Il bene comune universale e i diritti
della persona
73. Come il bene comune delle singole
comunità politiche, così il bene comune universale non può essere
determinato che avendo riguardo alla persona umana. Per cui anche i poteri
pubblici della comunità mondiale devono proporsi come obiettivo
fondamentale il riconoscimento, il rispetto, la tutela e la promozione dei
diritti della persona: con un’azione diretta, quando il caso lo comporti;
o creando un ambiente a raggio mondiale in cui sia reso più facile ai
poteri pubblici delle singole comunità politiche svolgere le proprie
specifiche funzioni.
Il principio di sussidiarietà
74. Come i rapporti tra individui,
famiglie, corpi intermedi, e i poteri pubblici delle rispettive comunità
politiche, nell’interno delle medesime, vanno regolati secondo il
principio di sussidiarietà, così nella luce dello stesso principio vanno
regolati pure i rapporti fra i poteri pubblici delle singole comunità
politiche e i poteri pubblici della comunità mondiale. Ciò significa che i
poteri pubblici della comunità mondiale devono affrontare e risolvere i
problemi a contenuto economico, sociale, politico, culturale che pone il
bene comune universale; problemi però che per la loro ampiezza, complessità
e urgenza i poteri pubblici delle singole comunità politiche non sono in
grado di affrontare con prospettiva di soluzioni positive.
I poteri pubblici della comunità
mondiale non hanno lo scopo di limitare la sfera di azione ai poteri
pubblici delle singole comunità politiche e tanto meno di sostituirsi ad
essi; hanno invece lo scopo di contribuire alla creazione, su piano
mondiale, di un ambiente nel quale i poteri pubblici delle singole comunità
politiche, i rispettivi cittadini e i corpi intermedi possano svolgere i
loro compiti, adempiere i loro doveri, esercitare i loro diritti con
maggiore sicurezza (cf. Discorso ai giovani di A.C.I. di Pio XII, 12).
Segni dei tempi
75. Come è noto, il 26 giugno 1945,
venne costituita l’Organizzazione delle Nazione Unite (ONU); alla quale,
in seguito, si collegarono gli istituti intergovernativi aventi vasti
compiti internazionali in campo economico, sociale, culturale, educativo,
sanitario. Le Nazioni Unite si proposero come fine essenziale di mantenere e
consolidare la pace fra i popoli, sviluppando fra essi le amichevoli
relazioni, fondate sui principi della uguaglianza, del vicendevole rispetto,
della multiforme cooperazione in tutti i settori della convivenza.
Un atto della più alta importanza
compiuto dalle Nazioni Unite è la Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo approvata in assemblea generale il 10 dicembre 1948. Nel
preambolo della stessa dichiarazione si proclama come un ideale da
perseguirsi da tutti i popoli e da tutte le nazioni l’effettivo
riconoscimento e rispetto di quei diritti e delle rispettive libertà.
Su qualche punto particolare della
dichiarazione sono state sollevate obiezioni e fondate riserve. Non è
dubbio però che il documento segni un passo importante nel cammino verso
l’organizzazione giuridico-politica della comunità mondiale. In esso
infatti viene riconosciuta, nella forma più solenne, la dignità di persona
a tutti gli esseri umani; e viene di conseguenza proclamato come loro
fondamentale diritto quello di muoversi liberamente nella ricerca del vero,
nell’attuazione del bene morale e della giustizia; e il diritto a una vita
dignitosa; e vengono pure proclamati altri diritti connessi con quelli
accennati.
Auspichiamo pertanto che
l’Organizzazione delle Nazioni Unite - nelle strutture e nei mezzi - si
adegui sempre più alla vastità e nobiltà dei suoi compiti; e che arrivi
il giorno nel quale i singoli esseri umani trovino in essa una tutela
efficace in ordine ai diritti che scaturiscono immediatamente dalla loro
dignità di persone; e che perciò sono diritti universali, inviolabili,
inalienabili. Tanto più che i singoli esseri umani, mentre partecipano
sempre più attivamente alla vita pubblica delle proprie comunità
politiche, mostrano un crescente interessamento alle vicende di tutti i
popoli, e avvertono con maggiore consapevolezza di essere membra vive di una
comunità mondiale.
V
- RICHIAMI PASTORALI
Dovere di partecipare alla vita
pubblica
76. Ancora una volta ci permettiamo di
richiamare i nostri figli al dovere che hanno di partecipare attivamente
alla vita pubblica e di contribuire all’attuazione del bene comune della
famiglia umana e della propria comunità politica; e di adoprarsi quindi,
nella luce della fede e con la forza dell’amore, perché le istituzioni a
finalità economiche, sociali, culturali e politiche, siano tali da non
creare ostacoli, ma piuttosto facilitare o rendere meno arduo alle persone
il loro perfezionamento: tanto nell’ordine naturale che in quello
soprannaturale.
Competenza scientifica, capacità
tecnica, esperienza professionale
77. Non basta essere illuminati dalla
fede ed accesi dal desiderio del bene per penetrare di sani principi una
civiltà e vivificarla nello spirito del Vangelo. A tale scopo è necessario
inserirsi nelle sue istituzioni e operare validamente dal di dentro delle
medesime. Però la nostra civiltà si contraddistingue soprattutto per i
suoi contenuti scientifico-tecnici.
Per cui non ci si inserisce nelle sue
istituzioni e non si opera con efficacia dal di dentro delle medesime se non
si è scientificamente competenti, tecnicamente capaci, professionalmente
esperti.
L’azione come sintesi di elementi
scientifico-tecnico professionali e di valori spirituali
78. Amiamo pure richiamare
all’attenzione che la competenza scientifica, la capacità tecnica,
l’esperienza professionale, se sono necessarie, non sono però sufficienti
per ricomporre i rapporti della convivenza in un ordine genuinamente umano;
e cioè in un ordine, il cui fondamento è la verità, misura e obiettivo la
giustizia, forza propulsiva l’amore, metodo di attuazione la libertà.
A tale scopo si richiede certamente che
gli esseri umani svolgano le proprie attività a contenuto temporale,
obbedendo alle leggi che sono ad esse immanenti, e seguendo metodi
rispondenti alla loro natura; ma si richiede pure, nello stesso tempo, che
svolgano quelle attività nell’ambito dell’ordine morale; e quindi come
esercizio o rivendicazione di un diritto, come adempimento di un dovere e
prestazione di un servizio; come risposta positiva al disegno provvidenziale
di Dio mirante alla nostra salvezza; si richiede cioè che gli esseri umani,
nell’interiorità di se stessi, vivano il loro operare a contenuto
temporale come una sintesi di elementi scientifico-tecnico-professionali e
di valori spirituali.
Ricomposizione unitaria nei credenti
tra fede religiosa e attività a contenuto temporale
79. Nelle comunità nazionali di
tradizione cristiana, le istituzioni dell’ordine temporale, nell’epoca
moderna, mentre rivelano spesso un alto grado di perfezione
scientifico-tecnica e di efficienza in ordine ai rispettivi fini specifici,
nello stesso tempo si caratterizzano non di rado per la povertà di fermenti
e di accenti cristiani.
È certo tuttavia che alla creazione di
quelle istituzioni hanno contribuito e continuano a contribuire molti che si
ritenevano e si ritengono cristiani; e non è dubbio che, in parte almeno,
lo erano e lo sono. Come si spiega? Riteniamo che la spiegazione si trovi in
una frattura nel loro animo fra la credenza religiosa e l’operare a
contenuto temporale. È necessario quindi che in essi si ricomponga l’unità
interiore; e nelle loro attività temporali sia pure presente la fede come
faro che illumina e la carità come forza che vivifica.
Sviluppo integrale degli esseri umani
in formazione
80. Ma pensiamo pure che l’accennata
frattura nei credenti fra credenza religiosa e operare a contenuto
temporale, è il risultato, in gran parte se non del tutto, di un difetto di
solida formazione cristiana. Capita infatti, troppo spesso e in molti
ambienti, che non vi sia proporzione fra istruzione scientifica e istruzione
religiosa: l’istruzione scientifica continua ad estendersi fino ad
attingere gradi superiori, mentre l’istruzione religiosa rimane di grado
elementare. È perciò indispensabile che negli esseri umani in formazione,
l’educazione sia integrale e ininterrotta; e cioè che in essi il culto
dei valori religiosi e l’affinamento della coscienza morale procedano di
pari passo con la continua sempre più ricca assimilazione di elementi
scientifico-tecnici; ed è pure indispensabile che siano educati circa il
metodo idoneo secondo cui svolgere in concreto i loro compiti (cf. enc.
Mater et magistra di Giovanni XXIII).
Impegno costante
81. Riteniamo opportuno di fare presente
come sia difficile cogliere, con sufficiente aderenza, il rapporto fra
esigenze obiettive della giustizia e situazioni concrete; di individuare cioè
i gradi e le forme secondo cui i principi e le direttive dottrinali devono
tradursi nella realtà.
E l’individuazione di quei gradi e di
quelle forme è tanto più difficile nell’epoca nostra, caratterizzata da
un dinamismo accentuato. Per cui il problema dell’adeguazione della realtà
sociale alle esigenze obiettive della giustizia è problema che non ammette
mai una soluzione definitiva. I nostri figli pertanto devono vigilare su se
stessi per non adagiarsi soddisfatti in obiettivi già raggiunti.
Anzi per tutti gli esseri umani è quasi
un dovere pensare che quello che è stato realizzato è sempre poco rispetto
a quello che resta ancora da compiere per adeguare gli organismi produttivi,
le associazioni sindacali, le organizzazioni professionali, i sistemi
assicurativi, gli ordinamenti giuridici, i regimi politici, le istituzioni a
finalità culturali, sanitarie, ricreative e sportive alle dimensioni
proprie dell’era dell’atomo e delle conquiste spaziali: era nella quale
la famiglia umana è già entrata e ha iniziato il suo nuovo cammino con
prospettive di un’ampiezza sconfinata.
Rapporti fra cattolici e non cattolici
in campo economico-sociale-politico
82. Le linee dottrinali tracciate nel
presente documento scaturiscono o sono suggerite da esigenze insite nella
stessa natura umana, e rientrano, per lo più, nella sfera del diritto
naturale. Offrono quindi ai cattolici un vasto campo di incontri e di intese
tanto con i cristiani separati da questa Sede apostolica quanto con esseri
umani non illuminati dalla fede in Gesù Cristo, nei quali però è presente
la luce della ragione ed è pure presente ed operante l’onestà naturale.
"In tali rapporti i nostri figli siano vigilanti per essere sempre
coerenti con se stessi, per non venire mai a compromessi riguardo alla
religione e alla morale. Ma nello stesso tempo siano e si mostrino animati
da spirito di comprensione, disinteressati e disposti ad operare lealmente
nell’attuazione di oggetti che siano di loro natura buoni o riducibili al
bene" (Ivi, p. 456).
83. Non si dovrà però mai confondere
l’errore con l’errante, anche quando si tratta di errore o di conoscenza
inadeguata della verità in campo morale religioso. L’errante è sempre ed
anzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di
persona; e va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità.
Inoltre in ogni essere umano non si spegne mai l’esigenza, congenita alla
sua natura, di spezzare gli schemi dell’errore per aprirsi alla conoscenza
della verità. E l’azione di Dio in lui non viene mai meno. Per cui chi in
un particolare momento della sua vita non ha chiarezza di fede, o aderisce
ad opinioni erronee, può essere domani illuminato e credere alla verità.
Gli incontri e le intese, nei vari settori dell’ordine temporale, fra
credenti e quanti non credono, o credono in modo non adeguato, perché
aderiscono ad errori, possono essere occasione per scoprire la verità e per
renderle omaggio.
84. Va altresì tenuto presente che non
si possono neppure identificare false dottrine filosofiche sulla natura,
l’origine e il destino dell’universo e dell’uomo, con movimenti
storici a finalità economiche, sociali, culturali e politiche, anche se
questi movimenti sono stati originati da quelle dottrine e da esse hanno
tratto e traggono tuttora ispirazione. Giacché le dottrine, una volta
elaborate e definite, rimangono sempre le stesse; mentre i movimenti
suddetti, agendo sulle situazioni storiche incessantemente evolventisi, non
possono non subirne gli influssi e quindi non possono non andare soggetti a
mutamenti anche profondi. Inoltre chi può negare che in quei movimenti,
nella misura in cui sono conformi ai dettami della retta ragione e si fanno
interpreti delle giuste aspirazioni della persona umana, vi siano elementi
positivi e meritevoli di approvazione?
85. Pertanto, può verificarsi che un
avvicinamento o un incontro di ordine pratico, ieri ritenuto non opportuno o
non fecondo, oggi invece lo sia o lo possa divenire domani. Decidere se tale
momento è arrivato, come pure stabilire i modi e i gradi dell’eventuale
consonanza di attività al raggiungimento di scopi economici, sociali,
culturali, politici, onesti e utili al vero bene della comunità, sono
problemi" che si possono risolvere soltanto con la virtù della
prudenza, che è la guida delle virtù che regolano la vita morale, sia
individuale che sociale. Perciò, da parte dei cattolici tale decisione
spetta in primo luogo a coloro che vivono od operano nei settori specifici
della convivenza, in cui quei problemi si pongono, sempre tuttavia in
accordo con i principi del diritto naturale, con la dottrina sociale della
Chiesa e con le direttive della autorità ecclesiastica. Non si deve,
infatti, dimenticare che compete alla Chiesa il diritto e il dovere non solo
di tutelare i principi dell’ordine etico e religioso, ma anche di
intervenire autoritativamente presso i suoi figli nella sfera dell’ordine
temporale, quando si tratta di giudicare dell’applicazione di quei
principi ai casi concreti (Ivi, 456; cf enc. Immortale Dei di Leone XII;
enc. Ubi Arcano di Pio XI, 1922).
Gradualità
86. Non mancano anime particolarmente
dotate di generosità, che, trovandosi di fronte a situazioni nelle quali le
esigenze della giustizia non sono soddisfatte o non lo sono in grado
sufficiente, si sentono accese dal desiderio di innovare, superando con un
babro solo tutte le tappe; come volessero far ricorso a qualcosa che può
rassomigliare alla rivoluzione.
Non si dimentichi che la gradualità è
la legge della vita in tutte le sue espressioni; per cui anche nelle
istituzioni umane non si riesce ad innovare verso il meglio che agendo dal
di dentro di esse gradualmente.
"Non nella rivoluzione - proclama
Pio XII - ma in una evoluzione concordata sta la salvezza e la giustizia. La
violenza non ha mai fatto altro che abbattere, non innalzare; accendere le
passioni, non calmarle; accumulare odio e rovine, non affratellare i
contendenti; e ha precipitato gli uomini e i partiti nella dura necessità
di ricostruire lentamente, dopo prove dolorose, sopra i ruderi della
discordia" (cf. Discorso agli operai italiani di Pio XII).
Compito immenso
87. A tutti gli uomini di buona volontà
spetta un compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della
convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà: i
rapporti della convivenza tra i singoli esseri umani; fra i cittadini e le
rispettive comunità politiche; fra le stesse comunità politiche; fra
individui, famiglie, corpi intermedi e comunità politiche da una parte e
dall’altra la comunità mondiale. Compito nobilissimo quale è quello di
attuare la vera pace nell’ordine stabilito da Dio.
88. Certo, coloro che prestano la loro
opera alla ricomposizione dei rapporti della vita sociale secondo i criteri
sopra accennati non sono molti; ad essi vada il nostro paterno
apprezzamento, il nostro pressante invito a perseverare nella loro opera con
slancio sempre rinnovato. E ci conforta la speranza che il loro numero
aumenti, soprattutto fra i credenti. È un imperativo del dovere; è
un’esigenza dell’amore. Ogni credente, in questo nostro mondo, deve
essere una scintilla di luce, un centro di amore, un fermento vivificatore
nella massa: e tanto più lo sarà, quanto più, nella intimità di se
stesso, vive in comunione con Dio.
Infatti non si dà pace fra gli uomini se
non vi è pace in ciascuno di essi, se cioè ognuno non instaura in se
stesso l’ordine voluto da Dio. "Vuole l’anima tua - si domanda
sant’ Agostino - vincere le tue passioni? Sia sottomessa a chi è in alto
e vincerà ciò che è in basso. E sarà in te la pace: vera, sicura,
ordinatissima. Qual è l’ordine di questa pace? Dio comanda all’anima,
l’anima al corpo; niente di più ordinato" (Miscellanea
Augustiniana...).
Il Principe della pace
89. Queste nostre parole, che abbiamo
voluto dedicare ai problemi che più assillano l’umana famiglia, nel
momento presente, e dalla cui equa soluzione dipende l’ordinato progresso
della società, sono dettate da una profonda aspirazione, che sappiamo
comune a tutti gli uomini di buona volontà: il consolidamento della pace
nel mondo.
Come vicario - benché tanto umile ed
indegno - di colui che il profetico annuncio chiama il Principe della pace,
(cf. Is 9,6) abbiamo il dovere di spendere tutte le nostre energie per il
rafforzamento di questo bene. Ma la pace rimane solo suono di parole, se non
è fondata su quell’ordine che il presente documento ha tracciato con
fiduciosa speranza: ordine fondato sulla verità, costruito secondo
giustizia, vivificato e integrato dalla carità e posto in atto nella libertà.
90. È questa un’impresa tanto nobile
ed alta che le forze umane, anche se animate da ogni lodevole buona volontà,
non possono da sole portare ad effetto. Affinché l’umana società sia uno
specchio il più fedele possibile del regno di Dio, è necessario l’aiuto
dall’alto. Per questo la nostra invocazione in questi giorni sacri sale più
fervorosa a colui che ha vinto nella sua dolorosa passione e morte il
peccato, elemento disgregatore e apportatore di lutti e squilibri ed ha
riconciliato l’umanità col Padre celeste nel suo sangue: "Poiché
egli è la nostra pace, egli che delle due ne ha fatta una sola... E venne
ad evangelizzare la pace a voi, che eravate lontani, e la pace ai
vicini" (Ef 3,14-17).
E nella liturgia di questi giorni risuona
l’annuncio: "Surgens Iesus Dominus noster, stans in medio
discipulorum suorum, dixit: "Pax vobis, alleluia"; gavisi sunt
discipuli, viso Domino" (Resp. ad Mat., in feria VI infra oct.
Paschae). Egli lascia la pace, egli porta la pace: "Pacem relinquo
vobis, pacem meam do vobis, non quomodo mundus dat ego do vobis" (Gv
14,27).. Questa è la pace che chiediamo a lui con l’ardente sospiro della
nostra preghiera.
91. Allontani egli dal cuore degli uomini
ciò che la può mettere in pericolo; e li trasformi in testimoni di verità,
di giustizia, di amore fraterno. Illumini i responsabili dei popoli, affinché
accanto alle sollecitudini per il giusto benessere dei loro cittadini
garantiscano e difendano il gran dono della pace; accenda le volontà di
tutti a superare le barriere che dividono, ad accrescere i vincoli della
mutua carità, a comprendere gli altri, a perdonare coloro che hanno recato
ingiurie; in virtù della sua azione, si affratellino tutti i popoli della
terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace.
In pegno di questa pace e con l’augurio
che essa irraggi nelle cristiane comunità a voi affidate, specialmente a
beneficio dei più umili e più bisognosi di aiuto e di difesa, siamo lieti
di dare a voi, venerabili fratelli, ed ai sacerdoti del clero secolare e
regolare, ai religiosi e alle religiose e ai fedeli delle vostre diocesi,
particolarmente a coloro che porranno ogni impegno per mettere in pratica le
nostre esortazioni, la benedizione apostolica, propiziatrice dei celesti
favori. Infine, per tutti gli uomini di buona volontà, destinatari
anch’essi di questa nostra lettera enciclica, imploriamo dal sommo Iddio
salute e prosperità.
Roma, 11 aprile 1963