FEDE, RELIGIONE
E MECCANISMI PSICOLOGICI

(Giuseppe Moretti, in Evengelizzare, periodico cattolico)


Ci sono atteggiamenti che riscontriamo in tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutte le culture e che chiamiamo «atteggiamenti universali»: bisogno di stima, desiderio di amare e di essere amati, bisogno di relazioni, istinto di difesa dai pericoli, bisogno religioso ed esigenza etica... Il modi con cui li traduciamo nella vita si chiamano comportamenti. Questi variano da cultura a cultura, da epoca a epoca. Così l'innamorato cinese si esprime in modo diverso dal sudamericano o dall'anglosassone. Ognuno assume i linguaggi della propria cultura.
Gli studiosi dei fenomeni religiosi sostengono che l'atteggiamento religioso entra in questa dinamica: ha dei meccanismi di base comuni a tutti e dei comportamenti diversificati. C'è la religiosità (atteggiamento) e ci sono tante religioni (i tanti modi di manifestare la religiosità).
Ogni uomo sente il bisogno (che noi chiamiamo «religiosità») di superare i suoi limiti per entrare in un'altra dimensione.
In questo atteggiamento confluiscono diversi fattori come la capacità estatica, il fascino del sacro, il bisogno di protezione, l'esigenza di espiazione e di purificazione...
Sulla base di questo bisogno religioso nascono riti, formule, precetti morali.
Non è raro confondere questi singoli elementi con la religiosità. Così uno si ritiene religioso perché prende parte ai riti o recita le formule, quando in realtà queste sono solo manifestazioni, come il bacio e la carezza lo sono dell'amore.
Certo dal momento che l'uomo vive con gli altri, condivide con loro anche i comportamenti religiosi. Se li assume e li rispetta ottiene stima e approvazione. Disapprovazione in caso contrario.
Da tutto questo ha origine la struttura religiosa che si propone di regolamentare, con precisi schemi di comportamento, gli slanci religiosi degli individui. È una necessità, ma anche un rischio.
Alcune religioni (quelle rivelate) pongono il loro fondamento in un'iniziativa che viene dall'alto: la rivelazione. In questo caso è Dio stesso che prende l'iniziativa e manifesta qualcosa di sé. Il contenuto di questa viene accettato per fede.
Religione e fede si fondono nell'atto religioso, ma non si identificano.
La fede ha bisogno di esprimersi attraverso la religione per non ridursi a sentimento vago; la religione ha bisogno di un contenuto di fede per non rimanere un tentativo patetico di superamento del proprio limite.
Il dialogo fra le due è necessario e possibile, ma non facile. I tentativi di prevaricazione dell'una sull'altra sono frequenti: la religione tende a congelare il contenuto vitale della fede in formule e riti e la fede tende a trasformarsi in un credo puramente intimistico e soggettivo.
Una sintesi stabile e definitiva non può esserci perché non si possono congelare i momenti vitali. Da qui i possibili scontri. Gesù, ad esempio, è stato eliminato dai rappresentanti ufficiali della religione giudaica perché ritenuto un pericolo a causa della sua fede. L'immagine di Dio, che egli presentava, metteva in discussione molte convinzioni della religione ufficiale.
La Chiesa stessa, nei duemila anni della sua storia, ha vissuto momenti di prevalenza dell'una o dell'altra che si sono espressi in scontri tra persone che li incarnavano.
Anche oggi la comunità cristiana vive e celebra i «misteri» con autentici slanci di fede ma anche con vistose venature di magia e di superstizione.
Ma questo è, forse, il pedaggio pagato da una fede che si incarna.