I fratelli e le sorelle di Gesù.


Oggi è comunemente ammesso (in base a Mt.1,23 - Lc.1,2.7 - Lc.2,.7 ) che i fratelli del Signore non potevano essere veri fratelli più anziani di Gesù.
Si ritiene tuttavia che ricorrano sufficienti motivi che autorizzino a sostenere che Egli abbia avuto veri fratelli e sorelle più giovani, figli di Giuseppe e Maria.
L'argomento più importante addotto a conforto di questa tesi è la constatazione che la parola adelfòs, usata dagli evangelisti e da Paolo, quando non significa il prossimo o il membro della stessa tribù oppure, in senso traslato, il componente di una comunità spirituale, di norma indica il fratello carnale, sia esso fratello in senso stretto o fratellastro.
Né presso gli scrittori classici né tra i Giudei dell'epoca che hanno scritto in greco, né tantomeno nel N.T. la parola appare nel significato di cugino. Se gli autori neotestamentari avessero veramente pensato a questo tipo di parentela si sarebbero serviti della parola 'cugino' che troviamo in Col. 4,10.
Senza dubbio questa spiegazione è a prima vista la più semplice e ovvia. Rimane soltanto da domandarsi se alla base della definizione neotestamentaria di fratelli del Signore ci sia veramente un semplice dato di fatto, o se piuttosto non vi sia stato il concorso di situazioni particolari.
Sotto il profilo linguistico, indubbiamente, nei testi di ambiente veramente greco adelfòs significa, di regola, fratello carnale.
In testi semitici o di influenza semitica si incontra molto spesso un uso più ampio del termine, e questo per un motivo che sembra inerente alle lingue ebraica e aramaica nelle quali non esisteva un termine appropriato per esprimere l'idea di cugino o di cugina.
Non di rado, quindi, per esprimere tale vincolo di parentela si ricorreva alla parola fratello, (ebraico= 'ah; aramaico= 'aha o sorella ebraico= 'ahot; aramaico= 'ahata), al fine di evitare complicate circonlocuzioni.
L'antico testamento contiene tutta una serie di attestazioni dell'uso della parola fratello, usata nel senso ampio di cugino, nipote o parente. Valgono a questo proposito i seguenti esempi:
Gn. 13,8: Abramo a Lot, figlio di suo fratello: "Noi siamo fratelli". Gn. 14,14: Abramo udì che "suo fratello" (intende dire suo nipote Lot) era stato fatto prigioniero. Gn. 14,16: Abramo liberò "Lot, suo fratello". Gn. 24,48 : Batuel, nipote di Abramo, è detto suo fratello. Gn. 29,12: Giacobbe dice di se che è "fratello" di Labano, perché è figlio di sua sorella Rebecca, cioè suo nipote. Gn. 29,15: Labano a Giacobbe, figlio di sua sorella: "Tu sei mio fratello". Gn. 31,23: Labano inseguì "con i suoi fratelli", vale a dire con i suoi parenti maschi, il fuggiasco Giacobbe. Gn. 3 1 ,32: Giacobbe, riconciliandosi con Labano, parla a proposito dei loro comuni parenti di "nostri fratelli", e 31,37 dei "miei e tuoi fratelli". Gs. 17,4: Le figlie di Selofad dichiarano: "Iahve ha ordinato a Mosè di darci l'eredità in mezzo ai nostri fratelli": non si può trattare di loro veri fratelli, perché il loro padre, secondo 17,3, non aveva nessun figlio, ma soltanto parenti stretti di sesso maschile; come mostra la continuazione al v. 17,4b, si tratta di "fratelli del loro padre". Cr. 36,10: Ioiachim fece re di Giuda "suo fratello" Sedecia, che in realtà era suo zio (4 Reg. 24,17). Lv. 10,4: I figli di Aronne, Nadab e Abiu, sono detti "i fratelli" di Misaele ed Eùsafan, il cui padre Uzziel era zio di Aronne ; essi perciò in realtà sono cugini in secondo grado di Misaele ed Elisafan. I Cr. 23,21: Le figlie di Eleazaro sposarono i loro fratelli, cioè i figli di Chis, fratello del loro padre, dunque i loro cugini. I Cr. 15,5: Davide radunò, dei figli di Cheat, Uriel e i suoi fratelli. In tutto 120. Il numero starebbe ad indicare che non si trattava solo di veri fratelli, ma di parenti più lontani. Gdc. 9,3: il figlio di Gedeone, Abimelec, è chiamato nostro fratello dai Sichemiti, i fratelli di sua madre. ISam. 20,29: i Betlemiti, che Davide chiama i miei fratelli, non sono altro che suoi fratelli. Ger. 22,18: per il primo gruppo, fratello equivale a parenti. Gb. 42,11: i fratelli e le sorelle di Giobbe non sono tali, ma parenti più lontani.
Dato che l'espressione neotestamentaria, che costituisce una locuzione fissa è di origine aramaica, non è da escludere che si possa intendere nel senso più ampio di figli di fratelli (o sorelle) o di cugini di grado più lontano.
Come si sia giunti all'uso di questa espressione e il perché essa sia stata mantenuta anche in greco, può essere spiegato dalle seguenti considerazioni.
Occorre prendere le mosse dal fatto indiscutibile, e indiscusso, che nella chiesa primitiva i parenti maschi di Gesù costituivano un gruppo distinto rispetto a quello degli apostoli (At.1,14; 1 Cor. 9,5) e godevano di un'altissima stima.
Ora si può tenere per certo che questi uomini, pur essendo soltanto cugini di Gesù, nella chiesa di lingua aramaica venivano indicati come i fratelli del Signore.
E ciò non soltanto per il fatto, come si è già detto, che non esiste in quella lingua alcun'altra espressione concisa per definire questo rapporto di parentela, ma anche perché essa costituiva un titolo atto ad esprimere la particolare considerazione che veniva riservata a quel gruppo di persone.
Dato che il passaggio dalla forma aramaica a quella greca venne effettuata, verosimilmente, nell'ambito di comunità bilingui ( come, ad esempio, quella di Antiochia), si è obiettato che, se i fratelli del Signore fossero stati in realtà cugini, si sarebbe usata la parola equivalente greca anepsiòs.
Ma questo argomento non regge, ove si consideri nella stessa traduzione greca della Bibbia ebraica (Bibbia dei settanta), effettuata in quegli stessi ambienti ebraico-ellenici, la parola ebraica fratello è stata sovente tradotta alla lettera, anche quando non si riferisce ad autentici fratelli.
Ma soprattutto, si è trascurato il fatto di considerare che l'espressione fratelli del Signore veniva tradotta alla lettera ogni qual volta riportava un'espressione saldamente radicata avente il valore di titolo onorifico.
Se in questo modo si possono spiegare quei passi nei quali gli autori neotestamentari usano in forma diretta questa definizione, anche Mc.6,3 e Mc.3,32, cioè i passi in cui l'espressione è messa in bocca di altre persone, non presentano alcuna difficoltà.
Per gli abitanti di Nazaret la designazione di Gesù come "fratello" di Giacomo ecc. era l'unica naturale per due ragioni: prima di tutto, un'esatta definizione dei rapporti di parentela avrebbe richiesto prolisse circonlocuzioni, tanto più se i parenti di Gesù appartenevano a diverse linee di parentela, e, secondo, perché gli abitanti di Nazaret vogliono mettere in rilievo come Gesù sia strettamente legato alle persone che essi conoscono bene, per cui non è assolutamente necessario tener conto della possibilità, in sé assai ovvia (cfr. Lc. 3,23; Lc.4,22; Mt.13,55; Gv. 1,45; Gv.6,42), di un fraintendimento da parte dei compaesani di Gesù.
L'evangelista (oppure, qualora egli si trovasse già a disporre di una fonte greca, il redattore di questa fonte) non aveva alcun motivo di staccarsi proprio qui dall'espressione tradizionale.
Da quanto si è detto fin qui si può dedurre che non è il caso di affermare che 'ah oppure adelfòs abbiano avuto nel linguaggio biblico anche il significato di cugino; quegli autori cattolici che in opere destinate a un più vasto pubblico hanno costruito le loro prove su tale argomentazione, hanno reso le cose troppo facili.
Il risultato dello studio filologico permette solo di affermare che nell'idioma abbreviato (per evitare prolisse circonlocuzioni) e in quello titolatorio la parola adelfòs o adelfè possa essere stata usata per designare i parenti di un grado più lontano.
                           ARGOMENTI A SOSTEGNO DELLA TESI DEI VERI FRATELLI CARNALI

I due passi evangelici che seguono, vengono addotti a sostegno dell'interpretazione secondo cui i fratelli di Gesù sarebbero dei veri fratelli.
Sono indizi che meritano una seria attenzione, anche se non si può loro attribuire un'assoluta forza probante.
Mt. 1,25: E senza che avessero avuto fin allora rapporti matrimoniali, Maria partorì il bambino... quel fin allora starebbe a significare che dopo egli avrebbe consumato il matrimonio.
In realtà fino a che, spesso, in semitico e in greco, indica soltanto il limite entro cui è considerata l'azione principale, senza che ciò implichi necessariamente un successivo mutamento della situazione.
Si ricordino a questo proposito le parole di Gesù: Io sarò sempre con voi, fino alla fine del mondo... (Mt. 28,20), ma, naturalmente, anche e soprattutto dopo!
Lc. 2,7: ...ed ella diede alla luce un figlio, il suo primogenito.
L'espressione starebbe a significare che a questo figlio ne seguirono altri.
In realtà nel giudaismo il titolo di primogenito (ebr. B'kor) era dato a ogni primo figlio, senza considerare se dopo di lui erano nati o meno altri fratelli o sorelle. (Es. 13,2 - Nm. 3,12).
                                   ARGOMENTI CONTRARI ALLA TESI DEI FRATELLI CARNALI

A sostegno della tesi secondo cui quelli definiti fratelli e sorelle non lo fossero realmente, vengono indicati i seguenti argomenti:
1) al pellegrinaggio pasquale a Gerusalemme (Lc. 2:41,52) partecipò anche Maria, benché in quanto donna in base alla legge mosaica, non ne avesse l'obbligo (Dt. 16:16).
Poiché ogni anno (Lc. 2:41) i genitori di Gesù andavano in pellegrinaggio a Gerusalemme, e ciò comportava come minimo un assenza da casa di almeno due settimane, se ne deduce che a quel tempo Maria non poteva aver lasciato a casa una piccola schiera di bambini;
2) mai nel Nuovo Testamento si fa parola di figli, o figlie, di Maria o di Giuseppe. Soltanto Gesù è chiamato il figlio di Giuseppe (Mt. 13:55) o di Maria (Mc. 6:3);
3) se Maria avesse avuto altri figli sarebbe quantomeno singolare che Gesù morente avesse affidato la madre al suo discepolo più caro (Gv. 19:26).
La spiegazione che Gesù non abbia pensato ai suoi fratelli - intesi come veri fratelli - a motivo della loro incredulità, è inverosimile perché poco tempo dopo, già dopo l'Ascensione, questi fanno parte dei credenti (At. 1:14);
4) i passi Mc. 15:40-47, Mc. 16:1, Lc. 24:10, Mt. 27:56-61 e Mt. 28,1 escludono che Marco e Matteo nella indicata Maria abbiano voluto riferirsi alla madre di Gesù.
Alla madre del Signore gli evangelisti non avrebbero attribuito certamente il secondo o il terzo posto dopo Maria di Magdala.
E' più facile dedurre che i due figli di quella non meglio identificata Maria (Giacomo e Joses = Giuseppe) siano le stesse persone indicate in Mc. 6:3 e Mt 13:55.
Anche se il problema continua ad essere alla base di accesi dibattiti di segno contrario, può conclusivamente osservarsi che qualunque possano essere le interpretazioni e le soluzioni proposte, esse non cessano di essere per il cristiano sterili e prive di reale importanza in quanto la figura di Gesù non risulta minimamente influenzata dalla sua particolare possibile situazione anagrafica.



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