LA GESTUALITA' COME ESPRESSIONE SPIRITUALE.


Siamo sovente indotti, nell'intento di privilegiare l'interiorità, a criticare le pratiche religiose giudicandole formaliste. Ciò significa, però, dimenticare che nell'uomo la carne non è separabile dallo spirito...

Abbiamo l'abitudine di separare il corpo dall'anima. Questa distinzione ci deriva dalla filosofia greca. Nella Bibbia, invece, nata nell'area della cultura semitica del medio oriente, questa netta separazione non esiste. L'uomo, di cui questo libro traccia la storia, viene considerato tutto intero, e l'alleanza alla quale Dio lo invita è tanto spirituale che carnale: è inseparabilmente l'una e l'altra cosa. Più in generale, si constata come l'Oriente sia su questo problema più avanzato rispetto all'Occidente: domandate a un buddista ciò che pensa in merito alla dualità corpo-anima, c'è il rischio che vi risponda con un sorriso. Se, quindi, non si può separare lo spirituale dal carnale, non ci si deve stupire se la ricerca spirituale tenda ad incarnarsi nei gesti.

Il corpo tutto intero è coinvolto nella pratica religiosa. Ogni parte del corpo fornisce il suo contributo. I piedi del pellegrino si consumano sul sentiero? La preghiera è cammino. Le mani si congiungono, o si aprono, per esprimere una richiesta? Il religioso è un mendicante. Le braccia si tendono verso il cielo? L'uomo è come una pianta in cerca di sole. Le ginocchia del penitente si feriscono, il busto si inclina e si abbassa? L'uomo cerca l'umiltà. La faccia è prona per terra? Null'altro permette di vedere il Tutt'Altro. Il cervello interpreta le parole del Libro? Dio suscita l'intelligenza. La bocca canta e invoca il Nome di Dio? Dio non è più anonimo. Il ventre è vuoto a furia di digiunare? L'uomo ha fame d'Assoluto. Gli occhi si chiudono? La Sorgente è all'interno. Le orecchie si nutrono di silenzio? La meditazione è anche ascolto. Si potrebbe continuare l'enumerazione.

Più l'uomo s'impegna sulla via spirituale, più si accorge che la sua vita tutta intera - e quindi ciascuno dei suoi gesti - è destinata a raggiungere l'Ultimo. Così i compiti più ordinari acquistano il sapore del sacro. Il praticante testimonia continuamente, con i suoi atti, la presenza di Dio nella sua vita; e ogni momento della sua vita quotidiana diviene, segretamente, l'occasione per ricordarsi di Dio. Una vita spirituale consiste nel fondere la pratica rituale con il resto dell'esistenza. Il rituale sacro ha senso se scaturisce da questa sorgente viva: un desiderio permanente di procedere verso l'Altro. La pratica religiosa traccia nel corpo, nello spazio e nel tempo, i segni visibili del ricordo di Dio. E poiché tutti gli uomini hanno un corpo simile, le pratiche delle diverse religioni sono corporalmente vicine le une alle altre, pur manifestandosi in diverse forme e con il senso che viene loro riconosciuto da ogni singola tradizione. Ognuno eredita dalla comunità alla quale appartiene i rituali che le sono propri. Per gli ebrei, queste pratiche si chiamano cashrut, shabbat, studio della Torah, per i cristiani: pellegrinaggi, messa, santa cena, quaresima; i mussulmani, da parte loro, osservano il ramadan, le preghiere quotidiane, la predica del venerdì alla moschea.

Esistono, inoltre, in seno ad ogni tradizione religiosa, degli stili di pratica molto differenti. Si può essere più o meno fedeli alle regole del rituale. Alcuni preferiscono cercare liberamente un'esperienza sensibile e diretta del divino (o dell'Assoluto). Altri ancora, preferiscono impegnarsi in un combattimento morale e politico considerando questo il miglior modo di vivere la propria religione. Per accettare di far propri i gesti di una religione, bisogna accogliere la sua tradizione religiosa. Esistono, però, in questo campo delle chiusure d'identità da parte di certe comunità religiose. Con quest'espressione lievemente peggiorativa si indicano tutte quelle forme di pratica che tradiscono un arresto sull'immagine: la volontà di non evolversi, di opporsi decisamente alla modernità in generale, ripiegandosi su un'identità definita e consolidata dal passato.

Le persone che deluse da tali forme di religiosità sclerotizzata sono alla ricerca del loro porto di destinazione spirituale testimoniano quasi sempre la loro sofferenza a questo proposito. E', infatti, difficile camminare verso l'Assoluto o l'Ultimo quando, desiderando esprimere la propria spiritualità con l'espressione della propria persona tutta intera, nel sedersi per pregare o per meditare si sperimenta il disagio di non sentirsi a casa propria. A questo punto, il pericolo è che, stanchi della ricerca, ci si adatti passivamente alla routine scadendo in un atteggiamento remissivo nei confronti di un ritualismo di facciata, dimenticando i contenuti spirituali che costituiscono il necessario presupposto della vera religiosità. Il rito cessa allora d'essere mezzo d'espressione per divenire fine. Ci si innamora del gesto in sé che, disancorato dalla spiritualità, si riduce ad una pratica vuota e banale.

La carezza esprime l'amore o non esprime nulla. Nell'esercizio delle nostre pratiche religiose e dei vari rituali non dovremmo mai discostarci da questa verità: Dio ci invita ad essere degli amanti, non dei commedianti.


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