Per i cristiani uno degli aspetti più significativi della tradizione
giubilare della Bibbia ebraica è il fatto che Gesù di Nazaret l'abbia assunta nella sua
proclamazione del regno di Dio. La sua prassi di liberazione e guarigione verrebbe allora
compresa come una dimensione guidata dall'orizzonte del giubileo.
Queste non sono deduzioni più o meno pertinenti, infatti, almeno sulla scorta di Luca 4,1-19,
Gesù dà inizio al suo ministero assumendo esplicitamente l'«anno di grazia del
Signore» quando legge proprio le parole del profeta Isaia (61,1-2) che si
riferiscono al giubileo. Il nucleo del messaggio fa riferimento alla liberazione e sarebbe
questa "il lieto messaggio ai poveri". Due volte usa la parola libertà (àphesis):
"liberazione dei prigionieri" e "libertà per gli oppressi".
Dare la vista ai ciechi potrebbe essere inteso come liberare i ciechi dalla loro
prigionia, le persone dal loro chiuso raziocinare, o potrebbe essere letto pure come
liberare dal carcere (cf. Is 42,7). Inoltre, la parola greca àphesis, che
significa libertà, è la stessa parola utilizzata dai Settanta per la remissione dei
debiti (in ebraico shemitta, cf. Dt 15,1), questi ultimi legati spesso alla
schiavitù. Pertanto non vi sono dubbi sull'esplicita intenzione di Luca o di Gesù di
realizzare con l'avvento di Gesù Cristo il giubileo.
Per comprendere la profondità delle parole di Gesù in Lc 4,18-19 è importante conoscere
la tradizione del popolo ebraico. Pertanto in questo articolo esamineremo brevemente le
leggi giubilari del popolo di Israele all'interno del contesto specifico in cui sono
sorte. Accenneremo anche ai loro limiti con l'intento di realizzare le loro proposte di
giustizia; concluderemo, infine, con una meditazione attualizzata di Ezechiele 46
come esempio che coniuga visione utopica e mediazione storica.
1/ Testi giubilari e loro contesto
Quando si parla di giubileo quasi tutti i lettori della Bibbia pensano
a Levitico 25, riferimento tardivo inserito nel codice di santità, elaborato dai
sacerdoti durante l'esilio o al ritorno dall'esilio (538 a.C.).
Infatti là abbiamo un'espressione abbastanza chiara delle proposte del giubileo. Il
nucleo del testo consiste nella redistribuzione delle terre e nel ritorno alla propria
famiglia - talora nel senso di smettere di lavorare come servi per altri. L'anno giubilare
proclama esplicitamente "liberazione per tutti gli abitanti" (Lv
25,10.13). Con ciò si dà a intendere che ricuperare la porzione di terra significava
liberazione; la stessa cosa vale per il ritorno alla famiglia.
Giubileo e liberazione erano agli occhi dei beneficiari praticamente sinonimi; in ciò
rientrava la terra, infatti durante quell'anno neppure la terra doveva essere sfruttata,
perché era l'anno sabbatico. Afferma Lv 25,11 ss.: "Il cinquantesimo anno
sarà per voi un giubileo; non farete né semina, né mietitura di quanto i campi
produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate. Poiché è il
giubileo; esso vi sarà sacro; potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi".
La legge stabilisce l'annuncio del giubileo come qualcosa di solenne e di straordinario:
ogni cinquant'anni e allo squillare del corno di montone (Lv 25,9). Inoltre
quell'anno, annunziato come il giorno dell'espiazione, viene dichiarato santo (Lv 25,10).
Il fondamento teologico del recupero della terra nell'anno giubilare è Dio stesso,
perché proprietario della terra. La terra, quindi, non si vende per sempre (25,23).
Tenendo l'anno giubilare come punto di riferimento, la legge dispone alcune misure in
rapporto al possibile riscatto della porzione di terra prima dell'anno giubilare
(25,24-28). Coloro che perdevano la terra erano soprattutto contadini poveri che si
vedevano costretti a venderla (25,25).
La legge stabilisce che costoro non devono attendere cinquant'anni per ricuperarla se
hanno un go'el o mettono insieme le risorse necessarie per il riscatto.
La stessa cosa avviene per le persone.
La legge dispone alcune misure per coloro che, per la loro estrema povertà, sono stati
costretti a vendere se stessi. In Lv 25,39-42 la legge si rivolge a ebrei che
comprano ebrei.
Costoro non devono essere trattati come schiavi ma devono vivere nella casa di coloro che
li comprano come ospiti o braccianti, e ritorneranno alla propria famiglia e alla propria
terra in occasione del giubileo. se un ebreo povero si vende a uno straniero egli potrà
essere riscattato prima del giubileo da qualche parente prossimo, pagando quanto è
necessario in rapporto al tempo che manca all'anno giubilare (25,47-55). Il fondamento
teologico è simile a quello relativo alla terra.
Gli ebrei poveri che si sono venduti come schiavi devono essere trattati bene e riscattati
dai propri fratelli, perché essi non sono proprietà di nessuno ma di Dio, che libera
dalla schiavitù come ha fatto in Egitto (25,38.42.55).
Purtroppo in questa legge gli stranieri poveri comprati come schiavi rimangono fuori dalla
buona novella di liberazione (25,44-46).
Il testo è redatto tenendo presente la recente esperienza dell'esilio in Babilonia.
Poiché sono stati i sacerdoti a costituirsi come guide e ad assumersi il compito di
custodire la memoria delle tradizioni e della legge, nell'elaborazione di queste leggi
giubilari ci sono ovviamente un orientamento e degli interessi tipicamente religiosi.
Ciononostante rimane chiara la concezione di una società egualitaria, almeno nell'ambito
del popolo ebraico.
Ricuperare la propria porzione di terra e avere l'opportunità di tornare alla famiglia
punta contro il latifondo e la divisione tra proprietari e servi.
E poiché si tratta di una legge pubblica destinata a tutto il popolo in un momento
stabilito, la proposta rnira a un nuovo ordine economico e sociale, con pari opportunità
per tutti gli abitanti. Che poi sia stata messa in pratica o meno, è un altro problema.
Lv 25,2-7 fa riferimento a una tradizione molto più antica proveniente dal codice
dell'alleanza (Es 21-23), la cui redazione sembra risalire all'VIII secolo.
Si tratta dell'anno sabbatico. Es 23,10-11 dispone il riposo della terra e il
maggese dopo ogni sei anni di sfruttamento.
Il motivo esplicito del riposo della terra ogni sette anni è che, di quanto la terra
produce spontaneamente "ne mangeranno gli indigenti del tuo popolo e ciò che
lasceranno sarà divorato dalle bestie della campagna" (23,11).
Il precetto chiarisce che devono essere inclusi la vigna e l'oliveto, i seminati più
remunerativi (23,11). Harold Reimer afferma che con quest'azione si spera di interrompere
temporaneamente il ciclo dello sfruttamento della terra, e con esso quello dei lavoratori.
Nel codice dell'alleanza in Es 21,2-6, che pare essere la più antica legge
sull'affrancamento, appare anche la liberazione degli schiavi.
La differenza che colpisce è che in questo codice lo schiavo deve essere liberato ogni
sette anni e non ogni cinquant'anni.
In Lv 25 lo schiavo poteva essere riscattato da qualche congiunto se quest'ultimo
pagava, ma se non poteva contare su nessun go'el, lo schiavo avrebbe dovuto
attendere fino all'arrivo del giubileo che viene prefigurato ogni cinquant'anni.
Si ritiene che queste antiche leggi risalgano al tempo precedente la monarchia, agli anni
della confederazione tribale, e si ispirino al Dio liberatore. O, come afferma Ross
Kinsler, esse farebbero parte della concezione di coloro che avevano incominciato un
diverso modo di vivere, in una nuova terra, dopo aver fatto esperienza della schiavitù in
Egitto e aver peregrinato per il deserto alla ricerca di questo ideale.
Più tardi, durante l'esilio, i sacerdoti mediante il giubileo avrebbero cercato di
ripristinare quella pratica socioeconomica di Israele.
Ad ogni modo la redazione dell'VIII secolo sarebbe una risposta alle ingiustizie
perpetrate dai ricchi a danno dei poveri, tanto denunciate dai profeti.
Purtroppo la legge pecca di disuguaglianza nel trattamento delle donne schiave, infatti
queste non potranno godere della libertà ("Quando un uomo venderà la figlia come
schiava, essa non se ne andrà [dalla schiavitù] come se ne vanno gli schiavi", Es
21,7). La differenza di genere non appare nell'anno giubilare, né nella rilettura che
il deuteronomista fa del codice dell'alleanza.
L'anno sabbatico fa la sua apparizione anche nel codice deuteronomista (12-26); datato
all'inizio del VII secolo, dopo la caduta di Samaria e probabilmente al tempo di Manasse.
Si pensa che Giosia nel suo programma di riforme abbia fatto uso di queste leggi.
Nel codice si parla non solo della liberazione degli schiavi ogni sette anni (Dt 15,12-15),
ma pure del perdono o remissione dei debiti. Dt 15,1 inizia dicendo: "Alla
fine di ogni sette anni celebrerete l'anno di remissione".
Non deve sorprenderci il fatto che i debiti e la schiavitù siano intimamente legati,
perché ordinariamente si arrivava alla schiavitù a causa dell'indebitamento, come
abbiamo detto sopra. Dt 15 è più chiaro e più equo rispetto all'anno giubilare
di Lv 25,39-43; infatti, lo schiavo o la schiava (qui non c'è differenza di genere
come in Es 21,7) vengono liberati perché il loro debito è perdonato, e non solo
questo, ma addirittura si previene l'indebitamento futuro e quindi una possibile
schiavitù, perché l'anno sabbatico, in linea con il codice deuteronomista, prevede di
dare al liberto un risarcimento, perché abbia i mezzi per ricominciare la sua vita
libera.
Nell'anno giubilare e nell'anno sabbatico viene regolato il riposo, o la sospensione dello
sfruttamento della terra e della manodopera.
Ciò porta alcuni a vedere il sabato, settimo giorno di riposo, come elemento centrale in
una società giusta a livello sociale ed economico.
Non si tratta semplicemente di una tradizione in cui non si fa nulla e si dedica il giorno
al Signore recandosi al culto. Secondo Ched Myers, la giustizia economica e sociale nella
Bibbia si fonda sull'appello di Dio di osservare il sabato.
Secondo questo autore, ad esempio, il racconto della manna nel deserto è come una lezione
concernente la produzione economica, infatti il riposo del settimo giorno si accompagna
alla mancanza della possibilità di accumulo evitando così la concentrazione di beni
nelle mani di pochi.
La legge del sabato nella sua redazione più antica appare in Es 34,21, nell'ambito della
tradizione jahvista (X-IX secolo a.C.). Si tratta, afferma Harold Reimer, della
sospensione del lavoro nel momento di maggiore necessità della produzione. Es 34,21
lo afferma chiaramente: "...nel tempo dell'aratura e della mietitura".
Successivamente il decalogo in Es 20 e Dt 5 lo ripete, includendo ora il riposo di
tutti e di tutte: familiari, servi e animali.
La tradizione sacerdotale legittima ciò facendo leva sul lavoro e il riposo di Dio stesso
durante la creazione (Gn 2,2).
Nel codice dell'alleanza il sabato appare immediatamente dopo l'anno sabbatico (cf. Es
23,12).
Non si potrebbe concepire un anno giubilare o un anno sabbatico senza tener conto della
regolare interruzione dello sfruttamento del lavoro e del necessario riposo delle persone,
almeno un giorno alla settimana.
2/ Limiti e forza delle leggi giubilari
Non c'è dubbio che con la proposta del giubileo, così come nelle
leggi dell'anno sabbatico e dei giorno di riposo, si cerca di modellare una società le
cui relazioni socioeconomiche siano giuste, e tutto ciò legittimato da Dio, descritto
come liberatore. La redistribuzione della terra, la remissione dei debiti, la liberazione
degli schiavi, il riposo della terra e dei lavoratori non mirano, in una realtà che ne ha
bisogno, che a questo.
Tuttavia, in quanto leggi promulgate nel contesto di processi storici e culturali, c'è
sempre la possibilità che siano manipolate o distorte. Al tempo di Gesù, ad esempio, il
senso del sabato era stato totalmente invertito.
Non era più una sospensione del lavoro per il bene delle persone, ma si era trasformato
in un peso per la loro vita. Gesù denuncia ciò in Mc 2,23-28.
D'altra parte, nelle leggi si notano limiti dovuti alla cultura. Nel codice dell'alleanza,
ad esempio, le donne non potevano essere liberate; la stessa cosa avveniva per gli
stranieri nel codice deuteronomico e nell'anno giubilare (Lv 25,44-46).
La stessa legge dell'anno sabbatico in Dt 15 si vede costretta a stabilire norme
contro coloro che vogliono evitare o manipolare la remissione di debiti perché temono di
perdere il proprio denaro se ne fanno prestito ai poveri in un tempo vicino al giorno
della remissione.
In Dt 15,9 si legge: "Bada bene che non ti entri in cuore questo pensiero
iniquo: È vicino il settimo anno, l'anno della remissione".
In relazione al giubileo di Lv 25 la situazione è più ambigua.
Da un lato, la liberazione dalla schiavitù viene proposta ogni cinquant'anni al posto di
sette, fatto meno attraente per coloro che hanno bisogno di essere liberati.
D'altro lato, se si contestualizza il testo storicamente, si osserva che l'interesse è
incentrato sugli esiliati, che non erano i più poveri di Israele quando sono andati in
esilio.
Non è, quindi, difficile leggere l'intenzione di questi ultimi di ricuperare le proprie
terre al loro ritorno. Inoltre si potrebbe pensare che, se si propone l'anno 50 per il
giubileo è proprio perché essi hanno trascorso cinquant'anni in esilio
(587-538). Neemia 5 narra i conflitti avvenuti al ritorno e come dovette decretare
giustizia per evitare che i più poveri cadessero nella schiavitù per debiti.
Per questo motivo, cioè i limiti delle norme, Sharon Ringe propone di analizzare le leggi
giubilari come "una potente metafora inserita in una proposta sociale, ma che non
si ferma là, la oltrepassa come una possibilità immaginativa, capace di cambiare il
mondo".
È vero che c'è una netta differenza di linguaggio tra Isaia 61 (Tritoisaia) e Lv
25, tuttavia entrambi i linguaggi si armonizzano. il profeta assume un linguaggio di
liberazione più universale e di forza escatologica; mentre Lv 25 statuisce i
particolari di questa utopia. Il tono profetico di Isaia invita a sognare e ha il potere
di mobilitare gli esiliati perché tornino alla propria terra; Lv 25 addita una
mediazione storica per la realizzazione del sogno: che tutti dispongano della propria
porzione di terra per lavorarla.
3/ Proclamando il giubileo a metà del cammino
Quando oggi si parla di giubileo va tenuta presente la realtà concreta
in cui viviamo: debiti, povertà, disoccupazione, violenza, discriminazione,
emarginazione, conflitti, afflizione, consumismo disumanizzante, situazione di letargo
delle chiese.
Poiché il giubileo è la buona novella che ovviamente mette fine a questa realtà di
sofferenza e di disumanizzazione, esso è, naturalmente, molto più che una "negoziazione"
tra poveri e ricchi, debitori e creditori, disoccupati e padroni, carnefici e vittime.
Se si parla del giubileo genericamente si nasconde l'ingiustizia e il giubileo perde
vigore e non è più tale. Ma il giubileo, lo sappiamo, non è dietro l'angolo.
L'interrogativo per i cristiani oggi è come parlare del giubileo in tempi di speranze
vulnerabili.
Chi non restituisce i debiti può essere condannato a morte. Pertanto, ciò che va
sottolineato in Lv 25 è l'idea che ci sarà un momento di liberazione e di
eliminazione delle ingiustizie.
Forse per questo motivo i profeti si vedono costretti a parlare di una legge inscritta nel
cuore, così che si ami il prossimo non perché lo dice la legge, ma spontaneamente, per
semplice grazia. Si tratta di una legge permeata dalla grazia.
In Ezechiele abbiamo, nel tentativo di risolvere il problema, una dialettica
armonia tra grazia e legge. Si potrebbe dire che Ezechiele, un profeta esiliato che
profetizza nell'anno 25, ovvero a metà del giubileo, immagini il giubileo come un fiume.
È guidato da qualcuno che gli mostra come vada crescendo l'acqua che sgorga dalla casa di
Dio.
Comincia come semplice acqua che esce dalla porta, per diventare poi un piccolo ruscello.
La guida lo fa camminare per mille cubiti e, attraversando il ruscello, l'acqua gli arriva
alla caviglia. Lo fa camminare per altri mille cubiti e l'acqua, attraversandola, gli
arriva alle spalle; poi la guida misura altri mille cubiti, ma Ezechiele non può guadare
perché il fiume lo copre. Può andare avanti solo a nuoto.
Allora ritornano sulla sponda e si voltano. Il profeta osserva affascinato il fiume e la
guida gliene racconta le prodigiose caratteristiche. Si tratta di un fiume che si dirige
verso il Mar Morto, luogo in cui non c'è vita. Le acque che sgorgano sotto la porta della
casa di Dio vanno fino alla regione orientale, la più desertica, scendono in Arabia e
entrano nel Mar Morto.
In quel momento le acque si trasformano in acque vive, fresche.
La cosa più interessante è che il fiume traboccante, che e pura grazia e senza
controllo, fa da divisore tra misure precise, precedenti e successive. Nei capitoli
precedenti (40-46) appaiono prima la pianta e le misure del futuro tempio, poi, dopo tutto
ciò che si è detto del fiume, che supera ogni misura, riappaiono le misure
esatte, ma ora sotto la forma di una legislazione concernente una riforma agraria, ovvero
la paritaria divisione delle terre tra le tribù. Queste leggi, "imbevute"
forse dal fiume di Dio, superano le leggi mosaiche, infatti in Ez 47,13-48,35 gli
stranieri o immigranti non solo verranno rispettati come stabiliva la legge, ma avranno
pure il diritto alla terra, come gli altri.
Pertanto, il sogno sarà sempre sogno e così dovrà essere: un orizzonte aperto che
invita gli uomini a essere esseri degni perché siano sempre più specchio di una
creazione a immagine e somiglianza di Dio.
Infatti, questa è la nostra identità di uomini dal punto di vista teologico.
Ma il sogno non è sufficiente se non ci sono progetti, azioni e leggi concrete che si
orientino verso di esso. Gesù fa suo il grande discorso giubilare e lo mette in pratica
ogni giorno con le sue opere.
Sono necessarie entrambe le cose e in una tensione dialettica. E allora, nella misura in
cui ci si sente vicini a questo orizzonte, anche nelle piccole cose, si fa il giubileo, si
avverte la grazia di Dio e l'acqua del fiume ci bagna, gradevolmente.
(Indirizzo: Universidad Biblico Latinoamericano, Calle 3, Avenidas 14 y 16 - Apdo. 901-1000, San José, Costa Rica).