Il giubileo
nella tradizione ebraico-cristiana


ELSA TAMEZ San José (Costa Rica) (*)
(In Concilium, rivista internazionale di teologia, © www.queriniana.it)


Per i cristiani uno degli aspetti più significativi della tradizione giubilare della Bibbia ebraica è il fatto che Gesù di Nazaret l'abbia assunta nella sua proclamazione del regno di Dio. La sua prassi di liberazione e guarigione verrebbe allora compresa come una dimensione guidata dall'orizzonte del giubileo.
Queste non sono deduzioni più o meno pertinenti, infatti, almeno sulla scorta di Luca 4,1-19, Gesù dà inizio al suo ministero assumendo esplicitamente l'«anno di grazia del Signore» quando legge proprio le parole del profeta Isaia (61,1-2) che si riferiscono al giubileo. Il nucleo del messaggio fa riferimento alla liberazione e sarebbe questa "il lieto messaggio ai poveri". Due volte usa la parola libertà (àphesis): "liberazione dei prigionieri" e "libertà per gli oppressi". Dare la vista ai ciechi potrebbe essere inteso come liberare i ciechi dalla loro prigionia, le persone dal loro chiuso raziocinare, o potrebbe essere letto pure come liberare dal carcere (cf. Is 42,7). Inoltre, la parola greca àphesis, che significa libertà, è la stessa parola utilizzata dai Settanta per la remissione dei debiti (in ebraico shemitta, cf. Dt 15,1), questi ultimi legati spesso alla schiavitù. Pertanto non vi sono dubbi sull'esplicita intenzione di Luca o di Gesù di realizzare con l'avvento di Gesù Cristo il giubileo.
Per comprendere la profondità delle parole di Gesù in Lc 4,18-19 è importante conoscere la tradizione del popolo ebraico. Pertanto in questo articolo esamineremo brevemente le leggi giubilari del popolo di Israele all'interno del contesto specifico in cui sono sorte. Accenneremo anche ai loro limiti con l'intento di realizzare le loro proposte di giustizia; concluderemo, infine, con una meditazione attualizzata di Ezechiele 46 come esempio che coniuga visione utopica e mediazione storica.

1/ Testi giubilari e loro contesto

Quando si parla di giubileo quasi tutti i lettori della Bibbia pensano a Levitico 25, riferimento tardivo inserito nel codice di santità, elaborato dai sacerdoti durante l'esilio o al ritorno dall'esilio (538 a.C.).
Infatti là abbiamo un'espressione abbastanza chiara delle proposte del giubileo. Il nucleo del testo consiste nella redistribuzione delle terre e nel ritorno alla propria famiglia - talora nel senso di smettere di lavorare come servi per altri. L'anno giubilare proclama esplicitamente "liberazione per tutti gli abitanti" (Lv 25,10.13). Con ciò si dà a intendere che ricuperare la porzione di terra significava liberazione; la stessa cosa vale per il ritorno alla famiglia.
Giubileo e liberazione erano agli occhi dei beneficiari praticamente sinonimi; in ciò rientrava la terra, infatti durante quell'anno neppure la terra doveva essere sfruttata, perché era l'anno sabbatico. Afferma Lv 25,11 ss.: "Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non farete né semina, né mietitura di quanto i campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate. Poiché è il giubileo; esso vi sarà sacro; potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi".
La legge stabilisce l'annuncio del giubileo come qualcosa di solenne e di straordinario: ogni cinquant'anni e allo squillare del corno di montone (Lv 25,9). Inoltre quell'anno, annunziato come il giorno dell'espiazione, viene dichiarato santo (Lv 25,10).
Il fondamento teologico del recupero della terra nell'anno giubilare è Dio stesso, perché proprietario della terra. La terra, quindi, non si vende per sempre (25,23).
Tenendo l'anno giubilare come punto di riferimento, la legge dispone alcune misure in rapporto al possibile riscatto della porzione di terra prima dell'anno giubilare (25,24-28). Coloro che perdevano la terra erano soprattutto contadini poveri che si vedevano costretti a venderla (25,25).
La legge stabilisce che costoro non devono attendere cinquant'anni per ricuperarla se hanno un go'el o mettono insieme le risorse necessarie per il riscatto. La stessa cosa avviene per le persone.
La legge dispone alcune misure per coloro che, per la loro estrema povertà, sono stati costretti a vendere se stessi. In Lv 25,39-42 la legge si rivolge a ebrei che comprano ebrei.
Costoro non devono essere trattati come schiavi ma devono vivere nella casa di coloro che li comprano come ospiti o braccianti, e ritorneranno alla propria famiglia e alla propria terra in occasione del giubileo. se un ebreo povero si vende a uno straniero egli potrà essere riscattato prima del giubileo da qualche parente prossimo, pagando quanto è necessario in rapporto al tempo che manca all'anno giubilare (25,47-55). Il fondamento teologico è simile a quello relativo alla terra.
Gli ebrei poveri che si sono venduti come schiavi devono essere trattati bene e riscattati dai propri fratelli, perché essi non sono proprietà di nessuno ma di Dio, che libera dalla schiavitù come ha fatto in Egitto (25,38.42.55).
Purtroppo in questa legge gli stranieri poveri comprati come schiavi rimangono fuori dalla buona novella di liberazione (25,44-46).
Il testo è redatto tenendo presente la recente esperienza dell'esilio in Babilonia.
Poiché sono stati i sacerdoti a costituirsi come guide e ad assumersi il compito di custodire la memoria delle tradizioni e della legge, nell'elaborazione di queste leggi giubilari ci sono ovviamente un orientamento e degli interessi tipicamente religiosi.
Ciononostante rimane chiara la concezione di una società egualitaria, almeno nell'ambito del popolo ebraico.
Ricuperare la propria porzione di terra e avere l'opportunità di tornare alla famiglia punta contro il latifondo e la divisione tra proprietari e servi.
E poiché si tratta di una legge pubblica destinata a tutto il popolo in un momento stabilito, la proposta rnira a un nuovo ordine economico e sociale, con pari opportunità per tutti gli abitanti. Che poi sia stata messa in pratica o meno, è un altro problema.
Lv 25,2-7 fa riferimento a una tradizione molto più antica proveniente dal codice dell'alleanza (Es 21-23), la cui redazione sembra risalire all'VIII secolo.
Si tratta dell'anno sabbatico. Es 23,10-11 dispone il riposo della terra e il maggese dopo ogni sei anni di sfruttamento.
Il motivo esplicito del riposo della terra ogni sette anni è che, di quanto la terra produce spontaneamente "ne mangeranno gli indigenti del tuo popolo e ciò che lasceranno sarà divorato dalle bestie della campagna" (23,11).
Il precetto chiarisce che devono essere inclusi la vigna e l'oliveto, i seminati più remunerativi (23,11). Harold Reimer afferma che con quest'azione si spera di interrompere temporaneamente il ciclo dello sfruttamento della terra, e con esso quello dei lavoratori.
Nel codice dell'alleanza in Es 21,2-6, che pare essere la più antica legge sull'affrancamento, appare anche la liberazione degli schiavi.
La differenza che colpisce è che in questo codice lo schiavo deve essere liberato ogni sette anni e non ogni cinquant'anni.
In Lv 25 lo schiavo poteva essere riscattato da qualche congiunto se quest'ultimo pagava, ma se non poteva contare su nessun go'el, lo schiavo avrebbe dovuto attendere fino all'arrivo del giubileo che viene prefigurato ogni cinquant'anni.
Si ritiene che queste antiche leggi risalgano al tempo precedente la monarchia, agli anni della confederazione tribale, e si ispirino al Dio liberatore. O, come afferma Ross Kinsler, esse farebbero parte della concezione di coloro che avevano incominciato un diverso modo di vivere, in una nuova terra, dopo aver fatto esperienza della schiavitù in Egitto e aver peregrinato per il deserto alla ricerca di questo ideale.
Più tardi, durante l'esilio, i sacerdoti mediante il giubileo avrebbero cercato di ripristinare quella pratica socioeconomica di Israele.
Ad ogni modo la redazione dell'VIII secolo sarebbe una risposta alle ingiustizie perpetrate dai ricchi a danno dei poveri, tanto denunciate dai profeti.
Purtroppo la legge pecca di disuguaglianza nel trattamento delle donne schiave, infatti queste non potranno godere della libertà ("Quando un uomo venderà la figlia come schiava, essa non se ne andrà [dalla schiavitù] come se ne vanno gli schiavi", Es 21,7). La differenza di genere non appare nell'anno giubilare, né nella rilettura che il deuteronomista fa del codice dell'alleanza.
L'anno sabbatico fa la sua apparizione anche nel codice deuteronomista (12-26); datato all'inizio del VII secolo, dopo la caduta di Samaria e probabilmente al tempo di Manasse.
Si pensa che Giosia nel suo programma di riforme abbia fatto uso di queste leggi.
Nel codice si parla non solo della liberazione degli schiavi ogni sette anni (Dt 15,12-15), ma pure del perdono o remissione dei debiti. Dt 15,1 inizia dicendo: "Alla fine di ogni sette anni celebrerete l'anno di remissione".
Non deve sorprenderci il fatto che i debiti e la schiavitù siano intimamente legati, perché ordinariamente si arrivava alla schiavitù a causa dell'indebitamento, come abbiamo detto sopra. Dt 15 è più chiaro e più equo rispetto all'anno giubilare di Lv 25,39-43; infatti, lo schiavo o la schiava (qui non c'è differenza di genere come in Es 21,7) vengono liberati perché il loro debito è perdonato, e non solo questo, ma addirittura si previene l'indebitamento futuro e quindi una possibile schiavitù, perché l'anno sabbatico, in linea con il codice deuteronomista, prevede di dare al liberto un risarcimento, perché abbia i mezzi per ricominciare la sua vita libera.
Nell'anno giubilare e nell'anno sabbatico viene regolato il riposo, o la sospensione dello sfruttamento della terra e della manodopera.
Ciò porta alcuni a vedere il sabato, settimo giorno di riposo, come elemento centrale in una società giusta a livello sociale ed economico.
Non si tratta semplicemente di una tradizione in cui non si fa nulla e si dedica il giorno al Signore recandosi al culto. Secondo Ched Myers, la giustizia economica e sociale nella Bibbia si fonda sull'appello di Dio di osservare il sabato.
Secondo questo autore, ad esempio, il racconto della manna nel deserto è come una lezione concernente la produzione economica, infatti il riposo del settimo giorno si accompagna alla mancanza della possibilità di accumulo evitando così la concentrazione di beni nelle mani di pochi.
La legge del sabato nella sua redazione più antica appare in Es 34,21, nell'ambito della tradizione jahvista (X-IX secolo a.C.). Si tratta, afferma Harold Reimer, della sospensione del lavoro nel momento di maggiore necessità della produzione. Es 34,21 lo afferma chiaramente: "...nel tempo dell'aratura e della mietitura".
Successivamente il decalogo in Es 20 e Dt 5 lo ripete, includendo ora il riposo di tutti e di tutte: familiari, servi e animali.
La tradizione sacerdotale legittima ciò facendo leva sul lavoro e il riposo di Dio stesso durante la creazione (Gn 2,2).
Nel codice dell'alleanza il sabato appare immediatamente dopo l'anno sabbatico (cf. Es 23,12).
Non si potrebbe concepire un anno giubilare o un anno sabbatico senza tener conto della regolare interruzione dello sfruttamento del lavoro e del necessario riposo delle persone, almeno un giorno alla settimana.

2/ Limiti e forza delle leggi giubilari

Non c'è dubbio che con la proposta del giubileo, così come nelle leggi dell'anno sabbatico e dei giorno di riposo, si cerca di modellare una società le cui relazioni socioeconomiche siano giuste, e tutto ciò legittimato da Dio, descritto come liberatore. La redistribuzione della terra, la remissione dei debiti, la liberazione degli schiavi, il riposo della terra e dei lavoratori non mirano, in una realtà che ne ha bisogno, che a questo.
Tuttavia, in quanto leggi promulgate nel contesto di processi storici e culturali, c'è sempre la possibilità che siano manipolate o distorte. Al tempo di Gesù, ad esempio, il senso del sabato era stato totalmente invertito.
Non era più una sospensione del lavoro per il bene delle persone, ma si era trasformato in un peso per la loro vita. Gesù denuncia ciò in Mc 2,23-28.
D'altra parte, nelle leggi si notano limiti dovuti alla cultura. Nel codice dell'alleanza, ad esempio, le donne non potevano essere liberate; la stessa cosa avveniva per gli stranieri nel codice deuteronomico e nell'anno giubilare (Lv 25,44-46).
La stessa legge dell'anno sabbatico in Dt 15 si vede costretta a stabilire norme contro coloro che vogliono evitare o manipolare la remissione di debiti perché temono di perdere il proprio denaro se ne fanno prestito ai poveri in un tempo vicino al giorno della remissione.
In Dt 15,9 si legge: "Bada bene che non ti entri in cuore questo pensiero iniquo: È vicino il settimo anno, l'anno della remissione".
In relazione al giubileo di Lv 25 la situazione è più ambigua.
Da un lato, la liberazione dalla schiavitù viene proposta ogni cinquant'anni al posto di sette, fatto meno attraente per coloro che hanno bisogno di essere liberati.
D'altro lato, se si contestualizza il testo storicamente, si osserva che l'interesse è incentrato sugli esiliati, che non erano i più poveri di Israele quando sono andati in esilio.
Non è, quindi, difficile leggere l'intenzione di questi ultimi di ricuperare le proprie terre al loro ritorno. Inoltre si potrebbe pensare che, se si propone l'anno 50 per il giubileo è proprio perché essi hanno trascorso cinquant'anni in esilio (587-538). Neemia 5 narra i conflitti avvenuti al ritorno e come dovette decretare giustizia per evitare che i più poveri cadessero nella schiavitù per debiti.
Per questo motivo, cioè i limiti delle norme, Sharon Ringe propone di analizzare le leggi giubilari come "una potente metafora inserita in una proposta sociale, ma che non si ferma là, la oltrepassa come una possibilità immaginativa, capace di cambiare il mondo".
È vero che c'è una netta differenza di linguaggio tra Isaia 61 (Tritoisaia) e Lv 25, tuttavia entrambi i linguaggi si armonizzano. il profeta assume un linguaggio di liberazione più universale e di forza escatologica; mentre Lv 25 statuisce i particolari di questa utopia. Il tono profetico di Isaia invita a sognare e ha il potere di mobilitare gli esiliati perché tornino alla propria terra; Lv 25 addita una mediazione storica per la realizzazione del sogno: che tutti dispongano della propria porzione di terra per lavorarla.

3/ Proclamando il giubileo a metà del cammino

Quando oggi si parla di giubileo va tenuta presente la realtà concreta in cui viviamo: debiti, povertà, disoccupazione, violenza, discriminazione, emarginazione, conflitti, afflizione, consumismo disumanizzante, situazione di letargo delle chiese.
Poiché il giubileo è la buona novella che ovviamente mette fine a questa realtà di sofferenza e di disumanizzazione, esso è, naturalmente, molto più che una "negoziazione" tra poveri e ricchi, debitori e creditori, disoccupati e padroni, carnefici e vittime.
Se si parla del giubileo genericamente si nasconde l'ingiustizia e il giubileo perde vigore e non è più tale. Ma il giubileo, lo sappiamo, non è dietro l'angolo.
L'interrogativo per i cristiani oggi è come parlare del giubileo in tempi di speranze vulnerabili.
Chi non restituisce i debiti può essere condannato a morte. Pertanto, ciò che va sottolineato in Lv 25 è l'idea che ci sarà un momento di liberazione e di eliminazione delle ingiustizie.
Forse per questo motivo i profeti si vedono costretti a parlare di una legge inscritta nel cuore, così che si ami il prossimo non perché lo dice la legge, ma spontaneamente, per semplice grazia. Si tratta di una legge permeata dalla grazia.
In Ezechiele abbiamo, nel tentativo di risolvere il problema, una dialettica armonia tra grazia e legge. Si potrebbe dire che Ezechiele, un profeta esiliato che profetizza nell'anno 25, ovvero a metà del giubileo, immagini il giubileo come un fiume.
È guidato da qualcuno che gli mostra come vada crescendo l'acqua che sgorga dalla casa di Dio.
Comincia come semplice acqua che esce dalla porta, per diventare poi un piccolo ruscello.
La guida lo fa camminare per mille cubiti e, attraversando il ruscello, l'acqua gli arriva alla caviglia. Lo fa camminare per altri mille cubiti e l'acqua, attraversandola, gli arriva alle spalle; poi la guida misura altri mille cubiti, ma Ezechiele non può guadare perché il fiume lo copre. Può andare avanti solo a nuoto.
Allora ritornano sulla sponda e si voltano. Il profeta osserva affascinato il fiume e la guida gliene racconta le prodigiose caratteristiche. Si tratta di un fiume che si dirige verso il Mar Morto, luogo in cui non c'è vita. Le acque che sgorgano sotto la porta della casa di Dio vanno fino alla regione orientale, la più desertica, scendono in Arabia e entrano nel Mar Morto.
In quel momento le acque si trasformano in acque vive, fresche.
La cosa più interessante è che il fiume traboccante, che e pura grazia e senza controllo, fa da divisore tra misure precise, precedenti e successive. Nei capitoli precedenti (40-46) appaiono prima la pianta e le misure del futuro tempio, poi, dopo tutto ciò che si è detto del fiume, che supera ogni misura, riappaiono le misure esatte, ma ora sotto la forma di una legislazione concernente una riforma agraria, ovvero la paritaria divisione delle terre tra le tribù. Queste leggi, "imbevute" forse dal fiume di Dio, superano le leggi mosaiche, infatti in Ez 47,13-48,35 gli stranieri o immigranti non solo verranno rispettati come stabiliva la legge, ma avranno pure il diritto alla terra, come gli altri.
Pertanto, il sogno sarà sempre sogno e così dovrà essere: un orizzonte aperto che invita gli uomini a essere esseri degni perché siano sempre più specchio di una creazione a immagine e somiglianza di Dio.
Infatti, questa è la nostra identità di uomini dal punto di vista teologico.
Ma il sogno non è sufficiente se non ci sono progetti, azioni e leggi concrete che si orientino verso di esso. Gesù fa suo il grande discorso giubilare e lo mette in pratica ogni giorno con le sue opere.
Sono necessarie entrambe le cose e in una tensione dialettica. E allora, nella misura in cui ci si sente vicini a questo orizzonte, anche nelle piccole cose, si fa il giubileo, si avverte la grazia di Dio e l'acqua del fiume ci bagna, gradevolmente.

(traduzione dallo spagnolo di Mauro Nicolosi)


(*) ELSA TAMEZ
Messicana, è nata nel 1950.
Ha conseguito il dottorato in teologia all'Università di Losanna (Svizzera) e la licenza in letteratura e linguistica presso l'Università nazionale del Costa Rica.
Ha insegnato teologia biblica al Seminario biblico latino-americaro del Costa Rica e ha fatto parte dell'équipe del Departamento Ecumènico de lnvestigaciones (DEI) di San José di Costa Rica.
Attualmente è rettore del Seminario biblico latino-americano, partecipa al programrna di educazione teologica ecumenica del Consiglio ecumenico delle chiese (WCC), fa parte dell'Associazione ecumenica dei teologi/teologhe del Terzo mondo EAWOT), ed è referente teologico del Consiglio latino-americano delle chiese. Inoltre è membro del Comitato internazionale di direzione della rivista Concilium.
Tra le sue pubblicazioni: Diccionario conciso Griego-espanol,1978; La biblia de los oprimidos, 1979; Santiago. Una lectura latinoamericana de la epistola, 1985; e soprattutto l'opera Contra toda condena, 1990 che è una interpretazione del tema classico della giustificazione in chiave di teologia della liberazione. È' curatrice dei volumi: Capitalismo: Violencia y Anti-vila, 1978; TeoIogos de la liberationn hablan sobre la mujer, 1986; EI rostro feminino de la teologia, 1985; Las mujeres toman la Palabra, 1989. È' autrice inoltre di numerosi articoli.

(Indirizzo: Universidad Biblico Latinoamericano, Calle 3, Avenidas 14 y 16 - Apdo. 901-1000, San José, Costa Rica).


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