LE INDULGENZE
 | Riflessioni, Opinioni e aforismi |


Ti assicuro che oggi sarai con me in paradiso.  
(Lc 23:43)

L'amore cancella una gran moltitudine di peccati.
(1Pt 4:8)

Ora se i peccati sono perdonati,
non c'è più bisogno di fare offerte per il perdono dei peccati.
 
(Eb 10:18)


Esorto vivamente i sacerdoti ad educare i fedeli, con appropriata e approfondita catechesi, affinché si avvalgano del gran bene delle indulgenze, secondo la mente e l'animo della Chiesa. In specie i sacerdoti confessori molto utilmente potrebbero assegnare ai loro penitenti come penitenza sacramentale pratiche indulgenziate, salvi sempre i criteri di equa proporzione con le colpe confessate.
(messaggio di Giovanni Paolo II, reso noto il 3 aprile 2000, rivolto al penitenziere maggiore cardinale William W. Baum)

In un decreto del 13 dicembre 1898, Leone XIII stabilì delle indulgenze per la lettura della Bibbia: 300 giorni di indulgenza per una lettura del Vangelo di un quarto d'ora, indulgenza plenaria per una lettura regolare, mensile.

Grazie ad una recente bolla papale, i fedeli, durante l'Anno santo, potranno profittare del dono dell'indulgenza. Le indulgenze trovano il loro presupposto nell'idea che il peccato, anche se assolto, lascia delle tracce e comporta quello che una volta si soleva definire pena. Le pene imposte erano talvolta pesanti: digiuno, scomunica, un pellegrinaggio da effettuare, e così via. L'indulgenza parziale permetteva di mitigare le pene, mentre l'indulgenza plenaria aveva il potere di annullarle. Oggi, la Chiesa cattolica preferisce evitare ogni contabilità di carattere sacro insistendo sulla sola misericordia di Dio. Per esprimere questa realtà bisognava proprio ricorrere a un termine così equivoco come l'indulgenza? (da Actualité des religions, febbraio 1999)

Il fatto che ancora tanta parte delle Chiese sorelle o lo ignorano - a Oriente - o lo avversano - a Occidente - non avrebbe dovuto far pensare di più, fino ad interrogarsi se valesse la pena di riproporre il tema? (n.d.r. la dottrina delle indulgenze) Non è certo dottrina perenne del deposito della fede; è davvero intrinseca alla fede cattolica come tale?... Sarà mai possibile... rivedere tutto il discorso? Non credo di essere il solo a sperarlo. 
(Giovanni Gennari, giornalista e teologo, in Jesus, ottobre 1999)

Indulgenze: istruzioni per l'uso
Cosa sono. Come si ottengono. A cosa servono. Guida ragionata
(L'Espresso, 06.01.2000)
Nel Purgatorio, dice Dante, le anime vanno «a farsi belle» per il paradiso. Con una cura di bellezza più o meno lunga ed energica a seconda della gravità dei peccati commessi in vita. Le indulgenze sono il condono che abbrevia o conclude questo stage.
Solo la Chiesa può elargirle, a particolari condizioni. «E senza sconti», ha detto chiaro Giovanni Paolo II, lo scorso 29 settembre.
Fino al 1967 le indulgenze erano computate in giorni e anni (non di purgatorio, ma di penitenze virtuali quaggiù).
Paolo VI abolì questi conteggi e semplicemente distinse le indulgenze in parziali e plenarie. Le parziali possono essere acquistate più volte al giorno. Le plenarie una sola volta. Possono essere applicate a sé o a una persona defunta.
Perché un fedele ottenga un'indulgenza plenaria, che è la remissione totale delle pene del purgatorio fin lì da lui accumulate, deve adempiere a tutte e cinque queste condizioni: 1. confessarsi; 2. fare la comunione; 3. pregare con un Padre nostro o un'Ave Maria in unione di spirito e d'intenti col papa; 4. escludere «ogni affetto verso qualunque peccato anche veniale» (è a questa non facile condizione che ha alluso Giovanni Paolo II col suo «senza sconti»); 5. compiere un'opera buona alla quale sia annessa l'indulgenza.
Questa quinta condizione include una gamma molto vasta di atti. Ad esempio, recitare il Padre nostro e il Credo in qualsiasi chiesa il 2 novembre consente di applicare un'indulgenza plenaria a un defunto. Oppure, il 29 giugno, festa dei santi Pietro e Paolo, si acquista un'indulgenza plenaria recitando il Credo davanti a una sacra immagine, purché benedetta dal papa o da un vescovo.
Ogni giorno dell'anno, anche il leggere devotamente la Bibbia per almeno mezz'ora oppure il recitare un rosario in famiglia valgono come opere buone atte a ottenere l'indulgenza plenaria.
Ma l'indulgenza plenaria per eccellenza è quella legata al Giubileo. In questo caso, l'atto da compiere è il pellegrinaggio a Roma con la partecipazione alla messa in una della grandi basiliche; oppure il pellegrinaggio in Terra Santa con la visita al Santo Sepolcro o alla basilica della Natività; oppure il pellegrinaggio nella cattedrale della propria diocesi; oppure ancora il fare opera di misericordia, come visitare un carcerato, sfamare un affamato, offrire una somma alla Caritas, rinunciare a consumi voluttuari e devolvere il risparmio ai poveri.
E ancora. Può ottenere un'indulgenza plenaria il fedele che assiste a una cerimonia giubilare del papa, a una sua benedizione urbi et orbi, alla Via Crucis del venerdì santo al Colosseo, anche via radio o in tv purché in diretta.
Insomma, da parte della Chiesa l'offerta di indulgenze continua a essere generosa, sovrabbondante. È la domanda, piuttosto, che è in calo verticale.
Ma se il purgatorio è quasi sparito dal comune sentire dei fedeli, le indulgenze non possono che seguirne il tramonto.
Contestato da Wyclif, Hus e poi, soprattutto, da Lutero e da tutta la Riforma protestante, ignorato dalle Chiese ortodosse orientali (le indulgenze si sviluppano in Occidente dal secolo XI) questo particolare sviluppo dottrinale continua a essere proposto anche oggi, pur con un linguaggio diverso. Per esempio, oggi il cattolicesimo romano spiega con maggiore chiarezza che l'indulgenza è legata alla penitenza e non al perdono, perché il perdono è dono di Dio trasmesso (per i cattolici) con il sacramento della confessione. Il credente perdonato deve comunque fare penitenza per riparare in qualche modo alle distorsioni provocate dal peccato nel suo essere e in quello degli altri. L'indulgenza interviene a questo punto, non come sostituzione della penitenza che, anzi, la suppone ed esige, ma come "un aiuto in più" che la chiesa (cattolica romana) dà ai peccatori perdonati. Dunque, l'indulgenza è parte del cammino spirituale che rafforza nel credente la scelta della conversione.
Gli evangelici contestano la prassi e la dottrina delle indulgenze ritenendo che, anche nella loro forma attuale, producano una grave distorsione spirituale di tipo "mercantile", confermata dalla natura estremamente dettagliata delle istruzioni del recente "Manuale delle indulgenze".
Per gli evangelici è necessario percorrere un cammino spirituale diverso per rafforzare nel credente la fede nella grazia di Dio e una condotta di vita conseguente.
(Riforma, dicembre 1999)

Lutero si era accorto confessando la gente, delle conseguenze nefaste della predicazione delle indulgenze. Aveva constatato che le accurate e sottili distinzioni dei teologi non valevano nulla nella concreta pratica quotidiana. La gente aveva fiducia nelle indulgenze più che nelle parole bibliche del perdono.
La gente si sentiva sicura quando possedeva un'indulgenza, ed è proprio questa sicurezza che Lutero denuncia come falsa sicurezza.
Egli muove quattro obiezioni di fondo alle indulgenze.
Prima di tutto,
le indulgenze ingannano e illudono i cristiani offrendo loro un cristianesimo facilitato.
(...) Ma la via facilitata, aperta dalle indulgenze, è la via larga che conduce alla perdizione. (...) Un cristianesimo facilitato non è quello di Paolo, né quello di Gesù.

In secondo luogo, la compravendita delle indulgenze distrugge nella gente il timor di Dio.
(...) La Chiesa non è più la casa ma lo spaccio di Dio, un Dio venduto a poco prezzo, offerto in liquidazione, che nessuno prende più veramente sul serio, né quelli che «vendono» né quelli chr «comprano». L'indulgenza, che doveva promuovere le buone opere, diventa essa stessa l'opera che occupa un posto tale da mettere in ombra la fede stessa. Invece di essere espressione della fede, ne diventa un surrogato. E dove svanisce la fede, svanisce il timore di Dio.
In terzo luogo,
le indulgenze deformano la comprensione e l'annunzio dell'Evangelo.
(...) L'indulgenza reintroduce nel processo del perdono l'idea di una condizione posta al suo conseguimento: c'è una pena temporale da espiare (...) Ma Dio, quando perdona, cancella tutto: colpa e pena. Cancellando anche la pena, l'indulgenza non ha più ragion d'essere, è diventata superflua. (...)
In quarto luogo, infine,
le indulgenze alterano la comprensione che la Chiesa ha di se stessa.
Essa si presenta come una ricca possidente che ha in mano quello che viene chiamato il «tesoro della Chiesa», costituito dai meriti di Cristo e dei santi.
Lutero obietta: a) i meriti di Cristo non aspettano certo l'amministrazione delle indulgenze per dispiegarsi a favore dei peccatori pentiti (...) b) i meriti dei santi, se ci sono, non possono essere supererogatori, cioè in eccesso rispetto a quelli di cui ciascuno ha bisogno. Nessun santo è tanto santo che non abbia anche lui bisogno che Cristo venga a coprire la sua nudità con il manto della sua giustizia. (...)
(Paolo Ricca - Riforma, dicembre 1999)

Il Papa è troppo crudele se, avendo in realtà il potere di liberare le anime dal Purgatorio, non concede gratis alle anime sofferenti quello che dispensa in cambio di danaro ai privilegiati.
(Martin Lutero)

Le indulgenze secondo gli ortodossi...

Una delle tante questioni nelle quali può esserci confusione è quella dei meriti. I meriti richiamano a loro volta la dottrina delle indulgenze. È noto come attorno a questi temi sia nata un’infuocata polemica tra Cattolicesimo e Luteranesimo nel periodo tardo rinascimentale. Così, mentre per il primo la Chiesa poteva gestire i meriti dei santi distribuendo delle indulgenze con le quali venivano condonate le pene dei peccati (da ciò emerge indirettamente la figura di un Dio giudice vendicatore), per il secondo, l’uomo non può cambiare, rimane radicalmente peccatore ed è gratuitamente giustificato da Dio.
Nessuna istituzione umana può fare qualcosa, dal momento che neppure l’uomo può migliorarsi. Da qui il paradossale motto luterano: "pecca fortiter sed crede fortius".
Questi due filoni di pensiero hanno finito per concentrare l’uomo su dei falsi problemi. Nel Cattolicesimo si ha finito per ricercare i meriti come se fossero fine a se stessi, nel protestantesimo s'è creato un ingenuo concetto della redenzione di Cristo che tocca un uomo in fin dei conti passivo...
L’Ortodossia conserva la prassi antica. I meriti e i peccati sono acquisizioni personali del credente. Inoltre, non si può conteggiare capitalisticamente i propri meriti per pretendere la salvezza divina. Nell'Ortodossia, infatti, il miglior "merito" è quello di ritenersi senza meriti: «Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Luca 17:10).
I meriti non sono concepiti come un capitale gestito dall'alto clero per togliere pene e sensi di colpa in chi non riesce a sentire dentro di sé il perdono divino. Il perdono divino nell'Ortodossia "si sente" e poco vale cercare l'assicurazione umana ed ecclesiastica se questo dato empirico non c'è...
Inoltre non esiste un concetto moralistico: nessuno è obbligato a nulla. Si può praticare la Chiesa o meno, si possono praticare i comandamenti o meno. Ai cristiani ortodossi non importa se si entra in chiesa con le scarpe lucide o con gli zoccoli... Anche da questo punto di vista, nel Cristianesimo non c’è realtà meno formale dell’Ortodossia. Ciò che è importante è il rapporto del credente con Dio. La Chiesa non si interpone in questo rapporto ma cerca d'aiutare l’uomo perché possa giungere meglio possibile a scoprire Dio nella sua vita. Per questo è indispensabile la figura del padre spirituale, di colui che si è avanzato nella vita cristiana e che non conosce per "sentito dire" ma per aver "visto" e "toccato".
Nessuno è obbligato a nulla ma ognuno sa che solo nella corretta pratica cristiana (ortoprassi) si giunge a intuire la misteriosa ma reale presenza divina. Quando ciò si realizza si capisce da soli che Dio non è quel giudice cattivo e vendicatore che, secoli fa, barbariche menti hanno rappresentato e fatto credere a ingenui e indifesi cristiani.
Si può dunque paragonare la vita cristiana ortodossa come se fosse la formazione d’un bambino nel ventre materno. Dio dona la vita ma ogni ritardo e distrazione umana non contribuiscono allo sviluppo armonico del cristiano che nascerà nell’eternità.
Dio non supplisce magicamente a ciò che è responsabilità dell’uomo, come se fosse un tappabuchi. D’altro canto, l’uomo da solo non è artefice del suo buon destino eterno.
Nella prima posizione rinveniamo, per certi versi, alcuni orientamenti protestanti mentre, nella seconda, alcuni orientamenti cristiano cattolici.
Il superamento di tutto ciò può aiutare ad avvicinare l’uomo occidentale alla prospettiva ortodossa che, pur tra diverse accentuazioni, contraddistingueva anticamente l'intera Cristianità.


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