È vietato ma lo faccio
SONDAGGIO SULLA MORALE DEI CATTOLICI
Vanno a messa. Ma sulla contraccezione contestano la dottrina ufficiale. E su aborto, divorzio e unioni di fatto... Indagine su un campione di fedeli. Trent'anni dopo la "Humanae Vitae"
( Sandro Magister, L'Espresso, 20 agosto 1998)


Trent'anni di "Humanae Vitae" non hanno raddrizzato la testa ai cattolici. Con quella sua famosa enciclica Paolo VI disse un no tondo ai contraccettivi: pillole, preservativi, spirali, eccetera. Consentì soltanto i metodi .naturali.: quelli che spiano i ritmi della fecondità della donna. Apriti cielo. Il rifiuto dell'enciclica fuori della Chiesa fu universale. E anche dentro la Chiesa dilagò la ribellione: di fedeli, preti, teologi, vescovi. Come non bastasse, Paolo VI per pubblicare l'"Humanae Vitae" scelse proprio la data peggiore. Il 1968. L'anno in cui disobbedire era d'obbligo.
Che in questi trent'anni i cattolici non siano ritornati all'ovile ce lo dice un'indagine Swg-"L'Espresso". Domande e risposte sono in queste pagine. Gli interrogati, 408, interpellati per telefono nelle sere del 29 e 30 luglio, sono una campionatura del cattolico osservante tipo, con più di 18 anni, che va a messa tutte le domeniche. La campionatura riflette equamente le differenze di sesso, di età, di istruzione, di professione, di provenienza geografica.
Cosa si ricava da un primo colpo d'occhio sui risultati? Che i cattolici ragionano con la loro testa. Contraccettivi, aborto, eutanasia, divorzio, unioni di fatto: su tutti questi argomenti le risposte sono variamente differenziate, pur tra persone che siedono sulle stesse panche di chiesa. Smentendo i profeti di sventura, infatti, i cattolici disobbedienti non smettono per ciò stesso d'andare a messa. Da una trentina d'anni, un'età che è la stessa dell'"Humanae Vitae", in Italia il numero di quelli che vanno a messa tutte le domeniche è fermo. Come avesse toccato il suo zoccolo duro, che è all'incirca il 30 per cento della popolazione adulta. Però va detto che questo 30 per cento è oggi mediamente più anziano di ieri. Le nuove generazioni vanno a messa sempre di meno. Se il numero complessivo dei praticanti è rimasto immutato lo si deve agli ultrasessantacinquenni, che in proporzione sono man mano cresciuti. C'è quindi da prevedere una vicina ricaduta complessiva della frequenza alla messa. Ma ecco i risultati dell'indagine.
CONTRACCETTIVI. I contrari all'"Humanae Vitae" sono maggioranza. Aumentano più si sale al Nord e l'età diminuisce. E aumentano ancor più quando semplicemente si chiede loro se ritengano superato il veto della Chiesa ai contraccettivi artificiali. Quelli invece che si dicono d'accordo con i dettami dell'enciclica sono a mala pena un terzo degli interrogati. A mala pena? Stando a sondaggi passati, gli obbedienti sono in lieve aumento. È una tendenza che riflette anche una mutazione intervenuta in campo culturale. Oggi la polemica sull'"Humanae Vitae" è più pacata e i metodi naturali di regolazione delle nascite sono valutati più positivamente di ieri, anche fuori la Chiesa.
Una riprova di questa nuova sensibilità l'ha data recentemente "Avvenire", il quotidiano di proprietà della Cei. Un paginone sui trent'anni dell'enciclica di Paolo VI è uscito con la firma laica di Lucetta Scaraffia, docente di storia all'università di Roma La Sapienza. All'"Humanae Vitae" essa riconosce il merito d'aver .osato sfidare la cultura dominante, condivisa anche da molti cattolici.. Addebita alla pillola e alla .sessualità staccata dalla procreazione. il deterioramento dei rapporti tra donne e uomini, il disgregarsi delle famiglie e il crollo demografico. Contesta che l'enciclica sia .retrograda.. Piuttosto, scrive, .appare ragionevole essere tentati di considerare l'"Humanae Vitae" addirittura come profetica..
ABORTO. La legge in vigore in Italia, che è una delle più permissive al mondo, tra i cattolici osservanti ha pochi sostenitori: uno su cinque. Mentre una larghissima maggioranza degli italiani che vanno regolarmente a messa la ritiene .cattiva. o comunque vorrebbe cambiarla. Sono risposte che contrastano sensibilmente con quelle dell'insieme della popolazione italiana, dove i sostenitori della legge 194 sfiorano il 40 per cento, stando a una rilevazione parallela svolta quest'anno.
Però anche nel campione nazionale i favorevoli a un cambiamento della legge sono in maggioranza: il 57 per cento. E il cambiamento auspicato è giocoforza di tipo restrittivo. I casi a cui gli italiani sono più propensi a circoscrivere il permesso d'abortire sono il pericolo di vita della madre, la violenza carnale e le gravi malformazioni del feto.
In questi ultimi casi, anche molti cattolici osservanti converrebbero. Ne è spia quel 38,7 per cento di loro che ritiene superato il divieto della Chiesa di ricorrere all'aborto, sempre e in ogni circostanza. Resta il fatto che su questo tema i cattolici osservanti si distinguono dall'insieme della popolazione in modo molto netto. L'aborto non è ritenuto una questione di sesso, ma di difesa della vita. Una questione ultimativa. Il vigore con cui Giovanni Paolo II predica su questo fronte è largamente apprezzato. La quota di chi l'apprezza supera la media tra i giovani e tra le persone più istruite.
EUTANASIA. Anche il far morire piuttosto che far soffrire è giudicato dai cattolici osservanti una questione di vita e di morte. Di quelle che esigono una decisione chiara. Solo il 24 per cento ritengono superata la proibizione della Chiesa. Mentre all'opposto il 54,7 per cento la giudicano giusta: in quantità pari a quelli che sostengono il no all'aborto. Quelli che non si pronunciano, uno su cinque, sono verosimilmente dibattuti tra un'opposizione di principio all'eutanasia e una sua ammissione nei casi estremi.
DIVORZIO. Il sondaggio mostra come le risposte possano cambiare a seconda del modo con cui la domanda è formulata. Quando essa è posta in termini generali, i cattolici praticanti si rivelano in tema di divorzio abbastanza permissivi. Due su tre lo preferiscono a un cattivo matrimonio tenuto insieme in qualche modo. Quasi la metà giudicano superato il divieto posto dalla Chiesa. Quando però la domanda mette in campo i figli, il campione si spacca quasi a metà. La maggioranza opta per sacrificarsi e restare insieme per amore dei figli anche se tra i coniugi non c'è più accordo. Sostengono questa scelta in maggior misura gli ultracinquantenni, maschi, del Sud e delle Isole, meno istruiti, elettori del Polo.
E quando i divorziati si risposano? Nella Chiesa la questione è molto dibattuta. La norma tradizionale vieta ai divorziati risposati di fare la comunione, poiché vivono in una condizione irregolare, di .pubblico peccato.. Ma in incognito, il credente che si ritiene in coscienza innocente può accostarsi al sacramento.
Di recente, però, i vescovi di Germania hanno proposto una revisione di questa linea pastorale in senso più favorevole ai divorziati risposati. Il Vaticano li ha frenati, ma senza fermarli. In Italia, i vescovi di Vicenza e Bolzano hanno introdotto anche loro la soluzione tedesca. E il comune sentire dei fedeli? È anch'esso molto comprensivo nei confronti dei divorziati. Nel nostro sondaggio, il 68,9 per cento si dice in disaccordo col divieto della comunione.
UNIONI DI FATTO. Sono le coppie non sposate né in municipio né in chiesa. Comprese le coppie omosessuali. Questo, almeno, è ciò che si intende per unioni di fatto nel dibattito corrente. Che in campo cattolico ha prodotto anche sfracelli, tipo il recente contrasto tra il cardinale Camillo Ruini e il segretario del Partito popolare, Franco Marini. Ma che le idee sull'argomento siano chiare, è tutto da vedere. Negli stessi giorni del sondaggio per l'"Espresso" tra i cattolici praticanti, la Swg ha svolto un'indagine parallela più mirata, su un campione nazionale, con una batteria di sei domande tutte sulle unioni di fatto. Ne è uscito un tale guazzabuglio di risposte, molte tra loro in contraddizione, che "Famiglia Cristiana", commentandole per la penna solenne dei suoi due direttori (quello in carica don Franco Pierini e quello emerito don Leonardo Zega), s'è sentita in dovere di titolare: "La grande confusione".
Nel sondaggio Swg- "L'Espresso", tra chi ritiene giusta e chi superata l'opposizione della Chiesa alle coppie di fatto, le quote sono quasi alla pari. E quelli che vorrebbero sia conferito a queste unioni un riconoscimento alla stregua del matrimonio sono il 30,1 per cento. Quest'ultima risposta starebbe a dire che, tra i cattolici osservanti, più di due su tre non ne vogliono sapere di equiparare legalmente a un vero matrimonio, religioso o civile che sia, le convivenze di fatto, in particolare tra gay. In linea con quanto le autorità della Chiesa vanno sostenendo nelle polemiche di questi mesi.
Ma c'è anche il parallelo sondaggio condotto per conto di "Famiglia Cristiana", sull'insieme della popolazione. Lì ben tre italiani su quattro rispondono che le unioni di fatto devono godere degli stessi diritti delle famiglie che si sono costituite secondo la legge. Non solo. Il 77 per cento attribuisce allo Stato il compito di conferire il riconoscimento legale, il 71 per cento lo attribuisce ai Comuni, e il 41 per cento addirittura lo attribuisce alla Chiesa. Come a voler mettere insieme diavolo ed acqua santa.
Ma la confusione somma è davvero nel vocabolario. Una maggioranza schiacciante, l'81,3 per cento, applica impavida la definizione di unione di fatto a un uomo e una donna che vivono insieme dopo essersi sposati in chiesa.