L'Italia non è una sacrestia
 
(Raffaele Garofalo, prete, da Adista del 1° febbraio 2003)


L'Italia non è una sacrestia, non lo è neanche la Chiesa, a leggere il Vangelo.
L'ultimo documento di Ratzinger è un ulteriore tentativo di mortificare e ostacolare la crescita dei cattolici (nel caso dei politici), forzando la coscienza del singolo credente, tarpando le ali anche alla libera ispirazione dello Spirito. I fedeli sembrano destinati a non diventare adulti, soggetti, come sono, a continue tutele che contrastano con le indicazioni del Vaticano II.
Oggi più che mai i problemi appaiono nella loro evidente complessità e una società pluralista è chiamata ad un confronto inevitabile se vuole scongiurare i danni irreparabili dello scontro.
Il documento vaticano rivela, invece, un mondo cattolico chiuso in se stesso, certo delle sue verità, che rifiuta ogni relazione paritaria con realtà e culture diverse.
Compreso della "verità assoluta" che il cristiano possiede, con irremovibile determinazione, Ratzinger ravvisa il nemico da combattere nel "relativismo del pensiero", nella possibilità che abbiano diritto ad esistere opinioni, "verità" diverse.
Basterebbe scorrere la storia della Chiesa per prendere atto di quante "false verità", prima condannate, la chiesa è stata costretta poi a far proprie. Dal Vangelo si impara che la verità "si fa" vivendola, non si impone con leggi e documenti; la storia, per parte sua, è testimone che la crescita dell'umanità va al passo con un pensiero che si confronta con la diversità (con estremo rispetto della coscienza altrui, Cristo stesso condizionava l'accettazione del suo messaggio e della sua sequela al "Se vuoi"). Al cardinale sfugge che ciò che impensierisce la nostra società, oggi, non è il relativismo da lui temuto, quanto invece il pericolo dell'omologazione, dell'uniformità propagandata dai media, il dominio del (non) pensiero unico. L'economia di mercato e la filosofia individualistica che le dà anima sono ora gli dei assoluti di cui si cantano le lodi; la convenienza e l'opportunismo privo di scrupoli sostanziano le nuove idealità collettive. Non c'è condanna di tutto questo nel documento. Ratzinger è illusoriamente convinto che viviamo in società nelle quali è felicemente praticata la democrazia di massa: tutti sarebbero "partecipi della gestione della cosa pubblica".
La percezione di molti in Italia è, invece, di vivere in un paese ove una minoranza di cittadini ha legittimamente autorizzato una maggioranza parlamentare a governare, ma il mandato popolare viene quotidianamente frainteso come delega ad un potere senza limiti. È poco probabile che un extracomunitario, personalmente o tramite qualcuno che lo rappresentasse, abbia collaborato con suggerimenti alla stesura della legge Bossi-Fini!
Il documento vaticano costituisce una pericolosa riaffermazione della concezione autoritaria della chiesa anticonciliare su una comunità che non vive più nelle riserve "culturali" di secoli passati. Se è pieno diritto di un cristiano affermare i propri valori nella società civile, l'«etica giusta» rivendicata dal cardinale va ricercata (a cominciare dall'interno della chiesa) nel confronto di opinioni, culture ed espressioni di fede diverse. Il "lievito" e il "sale" hanno la loro efficacia "solo" in mezzo alla pasta: i cristiani sono chiamati a crescere insieme alla società civile, a costruire amorevolmente un dialogo che accomuni, come esortava Giovanni XXIII.
Con sorprendente gravità, risultano del tutto estranei al documento i temi più urgenti dell'umanità: quelli sociali ripetutamente richiamati anche negli ultimi pronunciamenti del papa! Manca la condanna della politica di sviluppo del Fondo Monetario Internazionale che, tramite i suoi meccanismi perversi, affama sempre più miliardi di esseri umani, mentre appaiono prioritari, per il cardinale, gli interessi più concreti del finanziamento delle scuole cattoliche in Italia. Lo stesso concetto di pace che il documento ribadisce, nel prendere le distanze dai pacifisti, contrasta vistosamente con l'assoluta condanna della guerra da parte di Wojtyla.
Stridente si rivela infine la contraddizione dell'appoggio differenziato alle questioni in esame: da una parte si riconosce la complessità che caratterizza il tema della guerra, dall'altra si è categorici e intransigenti di fronte ai problemi urgenti quali l'impiego delle cellule staminali, l'aborto, il divorzio, i temi della sessualità, dell'omosessualità. La prassi tomistica del "distinguere" sempre davanti ad "ogni" questione complessa, acquista rilevanza unicamente di fronte alla guerra di Bush: per accodarsi alla crociata americana il cattolico potrebbe presto essere chiamato a derogare dal principio del non uccidere! Nella linea dei documenti del Vaticano II i credenti rivendicheranno con fermezza il diritto riconosciuto ad una differenziazione delle loro scelte, a tutela anche della dignità della propria coscienza. "Per i cristiani è illecita solo la scelta dei ricchi e dei potenti o dei razzisti che frantumano il Vangelo negando la fraternità universale o la dignità umana... È immorale la scelta di chi crede nella logica della forza militare e non si cura delle vittime, le degrada a 'effetti collaterali' così come si degradano ad 'esuberi' i lavoratori di aziende in crisi per la inefficienza del sistema capitalistico" (Ettore Masina).
Un vero credente difficilmente si riconoscerà in un documento che, dimentico del messaggio "rivoluzionario" del Cristo, si inserisce senza scrupoli nei compromessi di un potere estraneo al Vangelo.


              Ikthys