ANALISI DEL
'PADRE NOSTRO'
~ Conferenza tenuta a Firenze nel 1977,
presso la Società Leonardo da Vinci,
in
occasione della settimana ecumenica
(In MENORAH ~ sito ebraico ~)
In questa sala eminenti dotti
cristiani hanno commentato i Salmi o altri scritti di ebrei. Sia lecito dunque a
un ebreo commentare un brano del Nuovo Testamento. C'è un'altra ragione più
specifica.
Gesù fu ebreo, nacque da una famiglia di ebrei, fu circonciso, visse
sempre da buon ebreo, osservava il Sabato, mangiava kasher, solennizzava le
feste (sebbene i Vangeli parlino della sola Pasqua), recitava lo Scema Israel
(Marco XII, 29).
La sua vita terrena appartiene alla storia degli ebrei, ma dopo
la morte egli diventò l'oggetto delle speculazioni teologiche dei cristiani di
varie chiese: cattolici, marcioniti, gnostici, ariani, nestoriani, monofisiti, e
poi luterani e calvinisti, seguaci di Bultmann e di Bonhoeffer, ecc..
Di tutta
questa vita postuma stasera noi non ci occuperemo affatto. Lasciamo stare la
teologia.
Io vi parlerò come storico, e non come teologo. Ho rispetto e
simpatia per quei teologi i quali con le loro interpretazioni omiletiche dei
testi sacri talvolta fanno acute osservazioni sulla vita d'oggi e porgono
consigli eccellenti. Ma stasera mi occuperò esclusivamente di ricercare il
significato originario del Paternostro, secondo la lingua, le situazioni e la
mentalità di quei tempi. Lo storico scrupoloso non deve lasciarsi sedurre dalle
preoccupazioni apologetiche dei teologi, né dalla tentazione di deformare i
fatti a scopo di edificazione.
Ho imparato da prima gli episodi
della vita di Gesù dalle bellissime pitture dei nostri Musei: le pitture del
Beato Angelico, di Gentile da Fabriano, del Perugino, di Raffaello, ecc. -
incantevoli, poetiche, idilliache, con verdi giardini, colline come quelle di
Firenze, con figure eleganti e sorridenti, con quell'atmosfera di pace.
Quando
mi diedi a studiare i documenti dell'epoca mi accorsi che la realtà storica era
diversa: il paesaggio brullo e stepposo, lacrime e sangue. Uno sfondo tragico
paragonabile forse all'Algeria di qualche anno fa.
Da una parte un popolo
oppresso, i Giudei che sognavano l'indipendenza. Insurrezioni e rivolte
frequenti.
Dall'altra i Romani, gli sfruttatori, che non esitavano a
crocifiggere a migliaia per volta gli uomini validi e a vendere le donne e i
bambini ai mercanti di schiavi. Qualche volta crocifiggevano anche le donne e i
bambini, come fece il buon Tito "delizia del genere umano".
C'erano
insurrezioni di partigiani - i Romani li chiamavano banditi - e alcuni erano
forse masnadieri, altri erano forse santi martiri. Oggi non ne conosciamo
neppure i nomi.
C'erano quelli che predicavano la sottomissione - alcuni per
interesse, i ricchi che non amano le rivoluzioni, i pubblicani appaltatori
d'imposte che s'impegnavano a fornire una somma fissa al fisco romano e
s'industriavano di estorcere quanto più potevano dalle sventurate popolazioni -
ma altri in buona fede, sapendo che lo stato romano era invincibile e che ogni
resistenza avrebbe provocato maggiori sventure.
C'erano anche i mistici che
s'illudevano che Dio avrebbe liberato con un miracolo il popolo fedele.
In quest'atmosfera di oppressione
e di sangue viveva Gesù. Questo é lo sfondo del Vangelo. Le varie tendenze
alle quali ho accennato si riflettono negli scritti dei vari redattori del
Nuovo Testamento.
Veniamo dunque al Paternostro. Di
questa bellissima preghiera abbiamo quattro versioni: quella di Matteo VI 9-13,
quella di Luca XI 2-4, quella della Didaché e quella di Marcione. Ma quella di
Marcione é alterata per conformarla alla sua teologia Quella della Didaché è
quasi uguale a quella di Matteo. Tra le due rimanenti, la versione di Matteo mi
sembra più primitiva che la versione di Luca, contrariamente a quanto pensano
molti critici tedeschi. Ne daremo più avanti qualche prova.
Il Paternostro è tutto composto
di formule ebraiche. E' esente da ogni accenno ai dogmi e alle formule
caratteristiche del cristianesimo.
Questo mi pare un buon indizio della sua
autenticità. Leggendo i commenti dei Padri della Chiesa cristiana e dei moderni
teologi cattolici e protestanti si nota come spesso sono sconcertati da un
linguaggio che non è il loro e che non capiscono.
Pater
(padre). E' antica e costante usanza ebraica di considerare Iddio come nostro
Padre e gli Israeliti come Suoi figli.
Ve n'è una ventina d'esempi nell'Antico
Testamento: Esodo IV, 22; Deuteronomio XIV, 1; XXXII,6, 18, 19, 20; Salmo LXXIII,
15; Isaia I, 2; XXX, 1; LXIII, 16; LXIV, 7; Geremia III, 4, 19; IV, 22; XXXI, 9,
20; Osea I, 10; Ezechiele XVI, 20, 21; Malachia I, 6; II, 10.
Citiamo il versetto del Deut. XIV,
1: "Voi siete i figli del Signore Iddio vostro", e quello di Geremia
III, 19 "Mi chiamerete : Padre mio".
Vi sono altri esempi nei libri
ebraici non canonici: Ben Sira XXIII 1, 4; LI, 10; Sapienza II, 16; XIV, 3;
Tobia XIII, 4; III Maccabei V, 7; VI, 8; Giubilei I, 24, 25, 28; Testamento di
Giuda XXIV, 2; Testamento di Levi XVIII, 6; Hodayot IX, 35-36; Nei detti dei
Tannaim, Akiba (Abot III, 18; Yoma 85; Taanit 25) e Jehuda ben Tema (Abot V, 23
).
Vediamo che Gesù ben Sira e Gesù
Nazareno, invocando Dio come Padre, si conformarono all'esortazione di Geremia.
E Dio è invocato come padre nelle preghiere quotidiane: nell'Amidà
(benedizioni V e VI) nell'Ahabah, nel Col berue e in molte altre.
Nella
preghiera mattutina è invocato più volte proprio con le parole Abinu
shebashamaim "Padre nostro che sei nei cieli".
hmvn
"di noi". Chi sono questi "noi"? Nei passi della Bibbia
citati di sopra, Dio è chiamato Padre degl'Israeliti.
Veramente, secondo la
dottrina ebraica, Iddio si potrebbe chiamare Padre universale per due ragioni:
I) perché è il Creatore del cielo e della terra e di tutto ciò che v'è
(Genesi I-II, Esodo XX, 11; XXXI, 17; II Re XIX, 15; Nehemia IX,6; Salmi CII,
25; CXV, 15; CXXI, 2; CXXIV, 8; CXXXIV, 3; CXLVIII, 6; IsaiaXLII, 5; XLV, 18;
Geremia XXXII, ); II) perché veglia amorosamente non solo sugli ebrei, ma su
tutti i popoli, sugli egiziani e sugli assiri (Isaia XIX, 25), sugli etiopi, sui
filistei e sugli aramei (Amos IX, 7) e anche sugli animali (Giobbe, XXXVIII, 39
-41; Salmo CXLVII, 9) e ama tutte le sue creature (Salmo CXLV, 9, 16; Sapienza
di Salomone XI, 24-26). Ma sebbene Iddio si possa considerare come il Padre di
tutti gli uomini e di tutte le creature, esplicitamente non è chiamato se non
Padre degli Israeliti.
Veniamo ai Greci. Per Omero Zeus
è padre di uomini e di dei (Iliade V, 426). Certo è padre in senso fisico, ché
dai suoi molteplici amori con dee, con ninfe e con donne mortali, Zeus ebbe
numerosa prole. La formula di Omero è ripetuta da altri poeti. Ma Platone (Timeo)
più filosoficamente chiama Dio "Fattore e Padre dell'universo".
Filone, il filosofo ebreo un poco piò anziano di Gesù, adotta la formula di
Platone (De opificio mundi 13, Legatio ad Gaium XVI, II9). Dunque Filone, prima
di Gesù, rende esplicita la dottrina che nella Bibbia era implicita.
Pare probabile che Gesù usasse la
parola "padre" nel senso nazionale dell'Antico Testamento. Il Vangelo
di Matteo non dice neppure hmetere
"nostro", ma dice proprio hmvn "di
noi", "di noialtri", dunque "padre di noialtri ebrei".
L'autore del Terzo Vangelo e degli
Atti, letterato elegante, spirito irenico, novellatore piacevole, ma non sempre
storico scrupoloso, come negli Atti cerca di conciliare Pietro con Paolo,
nascondendo le dispute che conosciamo dalle epistole, così nel suo Vangelo
cerca di conciliarsi i Gentili, tanto più che era un Gentile egli stesso. Perciò
cancella l'hmvn e scrive il semplice pater.
Dio non è più padre dei soli Israeliti, è padre di tutti gli uomini. Il
pensiero di Luca è chiarito dalla genealogia. Mentre Matteo I, 1-16 risale fino
ad Abramo per dimostrare che è un vero Israelita; Luca III, 23-38 risale fino
ad Adamo, per dimostrare che Gesù, in quanto figlio d'Adamo, è figlio di Dio.
Neanche Luca, però, assurge
all'universalismo di Platone e di Filone.
Il Quarto Evangelista, furioso
antisemita che probabilmente subì l'influenza degli gnostici o di Marcione,
spesso tenta di confutare i Sinottici. Per lui gli Ebrei non sono i figli di Dio
né d'Abramo. Sono i figli del Diavolo (Giovanni VIII, 39-44). Gesù non ha più
genealogia. E' l'unigenito figlio di Dio (Giovanni I, 14, 18; III, 16-18). E il
Paternostro è omesso da questo Vangelo. .
Alcuni commentatori (G. Luzzi, J.
Jeremias) pensano che nel Giudaismo Dio fosse Padre del popolo, ma non dei
singoli individui. Ma non è così. Un profeta che non apparteneva al popolo
ebraico per nascita , poiché era un proselita, scriveva: "Tu sei il Padre
nostro, benché Abramo ci ignori e Israele non ci riconosca. Tu, o Eterno, sei
il Padre nostro" (Isaia LXIII, 16). Geremia e Ben Sira adoperano
l'espressione "Padre mio" col pronome di prima persona singolare. E il
Salmo LXVIII, 5 dice che Dio è il Padre degli orfani.
o en tois
ouranois "che sei nei cieli". Nel greco ordinario ouranos "cielo" è singolare. In ebraico shamaim e in aramaico shemaya
sono plurali. Si tratta di una peculiarità linguistica senza riferimento a
dottrine astronomiche. La sua presenza nel nostro testo greco dimostra che
questo è tradotto da un originale semitico.
Secondo la dottrina ebraica, Iddio
è in ogni luogo: "Egli riempie il cielo e la terra "(Geremia XXIII,
24).
"Se io salgo in cielo, Tu vi
sei,
se scendo nello Sheol, eccoti là!
Se prendo le ali dell'alba
e dimoro nell'estremità del mare,
anche colà mi condurrà la tua
mano
e la tua destra mi sosterrà."
(Salmo CXXXIX, 8_10)
E così anche Deut. IV, 39; Giosué
II, 11; II Re VIII, 27; Isaia LXVI, 1. Ma in altri versetti biblici si dice che
Dio sta nei cieli (Deut. XXXIII, 26; I Re VIII, 30, 32, 49; Giobbe XXII, 12;
Salmi II, 4; CIII, 19; CXIII, 5; CXV, 2-3, 16; CXXIII, 1; Eccles. V, 2; Daniele
II, 28).
Abbiamo già osservato che la
frase "Padre nostro che sei nei cieli" è usata dai dottori della
Mishnà e più volte nelle preghiere ebraiche.
Agiasqhtw to
onoma sou "sia santificato il tuo nome". Il verbo
agiazw
non esiste nel greco classico né nei papiri pagani. Fu inventato dai Settanta
per tradurre l'ebraico "qadash". Questa è una novella prova che ci
troviamo di fronte a una traduzione, da spiegare con la fraseologia ebraica,
incomprensibile a chi è stato educato in ambiente diverso. Infatti anche nel
nostro Kaddish si dice "Itgaddal weitqaddash shemey rabba" (sia
magnificato e santificato il suo gran nome). E nella preghiera mattutina del
Sabato: "Shimchà Adonai Elohenu itqaddash" (il tuo nome, o Eterno Dio
nostro, sia santificato).
Che significa "santificare il
nome"? Per il Pichenot significherebbe astenersi dalla bestemmia, dai
giuramenti falsi, ecc.. Ma così si restringerebbe troppo la portata della
frase. Più giusto mi pare Sant'Agostino: "Quando diciamo: Sia santificato
il tuo nome, facciamo sapere che desideriamo che il suo nome, il quale è sempre
santo, sia considerato santo anche fra gli uomini, cioè non sia
spregiato".
Nel linguaggio biblico "qadash"
(santificare) è il contrario di "halal" (profanare). Dunque
"santificare il nome" significa preservarlo dalle profanazioni. Il
santo nome è profanato quando gli Ebrei commettono atti d'idolatria o altri
gravi peccati (Levitico XVIII, 21; XIX? 12; XX, 3; XXI, 6; XXII, 32; Ezechiele
XLIII, 7, 8; Amos II, 7) e quando il popolo il popolo ebraico è esiliato e la
sua religione è insultata (Isaia LII, 5; Ezechiele XXXVI, 20-24; XXXIX, 7, 25;
Malachia I, 11-12; Salmo CXI, 9).
Si può congetturare che Gesù
pensasse a un fatto recente. Ponzio Pilato aveva offeso i sentimenti dei pii
ebrei introducendo le insegne delle legioni nella Città Santa (Flavio Giuseppe,
Antichità XVIII, iii, 1; Guerra II, ix, 3); Le insegne erano gli dèi delle
legioni e i soldati offrivano loro sacrifizi (Flavio G., Guerra VI, vi, 1;
Svetonio, Caligola XIV, Tacito, Annali I, 39; Tertulliano, Apologetico XVI,
162). Perciò la presenza delle insegne nella Città Santa era una profanazione
del nome. I giudei supplicarono Pilato di farle togliere di lì, ma questi fece
circondare i supplici dai soldati, minacciandoli di morte immediata. Allora essi
si gettarono in terra, scoprendo il collo, pronti a lasciarsi tagliare la testa
piuttosto che consentire all'atto profano. E Pilato allontanò le insegne.
Nell'uso ebraico più tardo la
"santificazione del nome" era il martirio sofferto per restare fedeli
alla Torà. Il Sifra (Emor XIII) dice: "Io vi ho tratti fuori dall'Egitto a
patto che siate pronti a sacrificare la vita, qualora lo esiga l'onore del mio
nome".
elqatw h
basileia sou "venga il tuo regno". Questa frase allude al
nucleo centrale della predicazione di Gesù. 2 Il tempo è compiuto e il regno
di Dio è vicino" (Marco I, 15). E' questo l'euangelion, la buona novella.
La parola italiana
"regno" (come l'ebraico "malkut", il greco "basileia",
il latino "regnum") può significare tanto un territorio governato da
un re come il periodo durante il quale egli regna. Invece l'inglese e il
francese distinguono "kingdom", "royaume" (il territorio) e
"reign", "règne" (il periodo). Ma i traduttori inglesi e
francesi della Bibbia dimostrano incoerenza e confusione nel rendere questa
parola. Il "regno di Dio" nella Bibbia è sempre un periodo, mai un
territorio. Gesù e altri Giudei del suo tempo aspettavano che Dio cominciasse a
regnare, non già che continenti ed isole mutassero posto.
Il primo regno di Dio era stato al
tempo dei Giudici. Gedeone rifiutò l'invito a farsi re, per non togliere il
regno a DIo (Giudici VIII, 22-23). Quando gli anziani volevano ungere re Saul,
Iddio li rimproverò, per mezzo del profeta Samuele, perché l'avvento di un re
mortale avrebbe segnato il ripudio del Sovrano celeste (I Samuele VIII, 4-7;
X,18-19; XII, 12).
Da questi passi si ricava: 1) che
nell'opinione dei sacri autori la monarchia umana e la monarchia divina erano
incompatibili; 2) che era tradizione che Iddio fosse il re d'Israele al tempo
dei Giudici; 3) che il regno di Dio cessò con l'incoronazione di Saul.
Dopo Saul ci furono i re della
dinastia davidica. Poi la Giudea fu soggetta ai re Babilonesi, ai re Persiani,
ad Alessandro Magno, ai Lagidi, ai Seleucidi. Finalmente nel 167 i Giudei si
ribellarono ai re stranieri. Ma non richiamarono al trono la famiglia davidica.
Invece instaurarono il secondo regno di Dio. A questo periodo assegno i Salmi
che proclamano "Adonai malakh" (l'Eterno ha cominciato a regnare)
(Salmi XLVII, XCIII, XCVI, XCVII,IC). Il secondo regno di Dio durò un paio
d'anni (dal 164 al 162). Seguì un ventennio sotto i re greci (162- 140). Poi un
terzo regno di Dio dal 140 al 104. Poi i re Asmonei, il dominio romano, Erode,
Archelao. Nel 7 dell'Era Volgare i Romani ridussero la Giudea a provincia,
imposero tasse e mandarono Quirino a fare il censimento dei patrimonii. Agli
Ebrei parve di esser ridotti in schiavitù. Tuttavia il Sommo Sacerdote Joazar
li persuase a rassegnarsi e a dichiarare i loro patrimonii, a inchinarsi ai
voleri di Cesare. Ma qualcuno non si rassegnò e insorse. Giuda gaulonite, della
città di Gamala, detto anche Giuda di Galilea istigò il popolo alla
ribellione. Diceva che questa tassa non era altro che imposizione di schiavitù
ed esortò i Giudei a proclamarsi indipendenti e a non riconoscere altro padrone
che Dio. Chiamare padrone un uomo, fosse pure Augusto, era tradire Iddio. I suoi
seguaci, piuttosto che accettare Augusto come sovrano, subirono in gran numero
la tortura e il martirio. E condussero una lunga e sanguinosa guerriglia di
partigiani (Flavio G., Ant. XVIII, 1, 6; Guerra II viii, 1).
Ma accanto a coloro che volevano
instaurare il quarto regno di Dio con la violenza (Matteo XI viii,1) c'erano
altri che l'aspettavano con tranquilla fiducia, come Giuseppe d'Arimatea,
consigliere onorato, il quale aspettava il regno di Dio (Marco XV, 43). Non mi
pare probabile che un consigliere, forse membro del Sinedrio, partecipasse
attivamente alla guerriglia.
Anche per Gesù il regno di Dio
era nel futuro. Lo dimostrò Johannes Weiss, rivoluzionando la teologia tedesca.
Ma del resto risulta evidente dai Vangeli (Marco IX,1 = Luca IX, 27; Marco XIV,
25 = Matteo XXVI, 29 = Luca XXII, 16-18; Matteo VIII, 11; Matteo XXII, 41) e
dallo stesso Paternostro.
Il Reimarus, il più antico e uno
dei più intelligenti fra i critici del Nuovo Testamento, osserva che il succo
della predicazione di Gesù è "Pentitevi, ché il regno di Dio è
vicino". Poiché Gesù non spiega mai questa espressione, bisogna supporre
che l'adoperasse nel significato usuale degli Ebrei del suo Tempo.
Possiamo noi sapere come si
figuravano gli Ebrei di quella generazione il regno di Dio?
Cent'anni dopo il Reimarus,
cent'anni fa, uno studioso italiano, Monsignor Ceriani, scopriva nella
Biblioteca Ambrosiana di Milano uno scritto (l'Ascensione di Mosé) il quale fu
composto proprio al tempo di Gesù. Questo scritto contiene una descrizione del
regno di Dio. Eccola:
E allora comparirà il Suo regno
per tutto il Creato.
E allora l'Accusatore avrà fine,
e la tribolazione sarà tolta via
con lui.
E saranno empite le mani
dell'Angelo
che è stabilito nel sommo dei
Cieli,
il quale subito li vendicherà dei
loro nemici.
Ché il Celeste sorgerà dal trono
del Suo regno
e uscirà dalla Sua santa dimora
con indignazione e ira pei Suoi
figlioli.
E la terra tremerà: sarà scossa
fino ai suoi confini,
e le montagne saranno abbassate e
squassate
e le valli saranno alzate.
E il sole non farà luce
e le corna della luna saranno
oscurate e rotte,
e tutta la luna si muterà in
sangue,
e l'orbita delle stelle sarà
sconvolta,
e il mare cadrà nell'abisso.
Le sorgenti dell'acque si
seccheranno
e i fiumi inaridiranno.
Perché il Dio Altissimo,
l'Eterno,
il Dio unico si leverà
e si manifesterà per punire le
nazioni
e per distruggere i loro idoli.
Allora sarai felice tu, o Israele,
salirai sul collo e sull'ali
dell'aquila
e i giorni del tuo dolore
termineranno.
E Dio ti esalterà,
e ti solleverà fino al Cielo
delle stelle
al luogo della Sua dimora.
Allora tu guarderai dall'alto
e vedrai i tuoi avversari sulla
terra
e li riconoscerai e ti rallegrerai,
e renderai grazie e riconoscenza
al Creatore.
Dunque per questo antico poeta il
regno di Dio consisteva nella liberazione d'Israele, accompagnata da terremoto,
oscuramento del sole, sanguinare della luna, ecc.. Naturalmente non è detto che
tutti i Giudei se lo figurassero nell'identico modo, ma è degno di nota che
anche nel Nuovo Testamento non manchino accenni alla sperata liberazione di
Israele (Marco X, 42-43 = Luca XXII, 25-26; Luca I, 74; Atti I, 6) e a fenomeni
simili a quelli suddescritti (Marco XIII, 24-27 e paralleli; Atti II, 18-21;
Apocalisse VI, 12-17).
Anche la frase "Venga il tuo
regno" ha analogie nelle preghiere ebraiche. Il Kaddish: "Veiamlikh
malkhuté" (e regni il suo regno - e seguita: "durante la nostra vita,
nei giorni nostri, durante la vita di tutta la famiglia d'Israele.") E l'Amidà
(benedizione II): "Fa tornare i nostri Giudici come in antico e i nostri
consiglieri come una volta e regna sopra di noi tosto, Tu solo con fedeltà, con
misericordia, con rettitudine e con giustizia".
Nell' Antico Testamento il regno
di Dio era limitato alla Palestina o esteso a tutta la terra? I versetti Giosuè
III, 11; Salmo XCVII, 5 e Zaccaria XIV, 9 forse non sono chiarissimi, perché
ha-arez potrebbe significare così "la terra" come "il
paese". Ma nel Salmo XLVII, 8 (Dio regna sulle nazioni), nel LXXXII, 8
(tutti i popoli), nel XCVI, 13, nel XCVII, 1 (le grandi isole), nel XVIII, 9 (il
mondo, i popoli), il regno è universale. Ed è universale nell'Assunzione di
Mosé e nell'Alenu .
Marcione e probabilmente anche
l'autore del terzo Vangelo, essendo fedeli sudditi dell'Impero romano, non
potevano pregare per la venuta d'un regno diverso. Perciò alla frase sovversiva
ne sostituirono una innocua: "Venga il tuo spirito santo su di noi e ci
purifichi".
genhqntw to
qelhma sou, ws en ouranv kai epi ghs. "Sia fatta la tua volontà,
come in cielo, così in terra". Chi fa la volontà di Dio in cielo? Gli
angeli. Lo dice il Salmo CIII, 20-21:
Benedite il Signore, o suoi
angeli,
obbedienti al suono della sua
parola.
Benedite il Signore, tutti voi, o
eserciti suoi,
suoi ministri che fate la sua
volontà.
E in terra? I giusti. perché
"i giusti conoscono la volontà" (Proverbi X, 32). Il Salmo XL, 8:
Insegnami a fare la tua volontà,
perché tu sei il mio Dio.
E il Salmo CXLIII, 10:
Io mi compiaccio di fare la tua
volontà, o mio Dio,
Sì la tua legge è nel mio cuore.
Anche alcune preghiere ebraiche
contengono un parallelo fra il cielo e la terra. Il Kaddish: Colui che fa la
pace nelle sue altezze, nella sua misericordia conceda la pace a noi e a tutto
Israele. E Rabbi Eliezer (verso il 90 dell'E. V.) pregava: Fa' la tua volontà
nell'alto dei cieli e dà pace sulla terra a coloro che ti temono (Berakot
Tosefta 3, 7). E viene in mente il canto degli angeli "Gloria a Dio nelle
altezze e pace in terra agli uomini dei quali Egli si compiaceva" (Luca II,
14).
ton arton hmvn
ton epiousion dos hmin shmeron "Dacci oggi il nostro pane epiousion. Questa parola è un "apax legomenon" ed è di incerta
interpretazione. Menzionerò le principali congetture.
Alcuni traducono "dacci oggi
il nostro pane quotidiano". Bellissima interpretazione, conforme alla
preghiera nei Proverbi XXX,8:
Non mi dare nè povertà nè
ricchezza
Porgimi il pane che è la mia
porzione.
Se non che epiousion non può significare "quotidiano". Quotidiano in greco si dice
kaqhmerinos
o efhmeros. Ambedue queste parole s'incontrano nel N. T. (Atti VI,1 e
Giacomo II, 15). Perché l'Evangelista, avendo a disposizione due ottime parole
usuali, ne avrebbe inventata una terza incomprensibile?
Altri interpreti traducono
"per domani". E derivano epiousion da epiousa "il giorno seguente". Abbiamo dunque un'etimologia possibile. E
anch'io preferisco il pane un po' raffermo, e la previdenza è raccomandata
nella Bibbia (Proverbi VI, 6-8):
Va' alla formica, o pigro;
considera i suoi costumi e sii
savio,
la quale.......si provvede di pane
nell'estate,
e raccoglie il cibo nella stagione
delle messi.
Ma non sempre la previdenza fu
lodata dagli Ebrei. Rabbi Eliezer (tempo di Domiziano) diceva: "Chiunque ha
pane nel paniere e domanda: Che cosa mangerò domani? è un uomo di poca
fede" (Sota 48). Pare che anche Gesù la pensasse come R.Eliezer: "Non
pensate alla vita vostra, che mangerete e che berrete....... Non vi preoccupate
dunque per il domani" ( Matteo VI, 25-34) e additava ad esempio gli uccelli
del cielo; anziché la formica, tanto ammirata dal poeta dei Proverbi e dal La
Fontaine. Perciò è poco verosimile che Gesù consigliasse di chiedere il pane
per il giorno dopo.
Altri interpreti derivano epiousion da epi (sopra) e ousia (sostanza)
e traducono "soprassostanziale", cioé spirituale, metaforico. Anche
quest'immagine del pane spirituale è ebraica. Isaia LV, 1-2:
O voi tutti che avete sete, venite
all'acqua.
E voi che non avete denaro,
venite, comperate e mangiate.
Perché spendete denaro per cose
che non sono pane?
E i vostri guadagni per cose che
non saziano?
E nei Proverbi IX, 5 la Sapienza
chiama:
Venite, mangiate del mio pane
E bevete del vino che vi ho
mesciuto.
E Ben Sira XV, 1-3:
L'uomo che teme il Signore farà
questo.
Colui che si attiene alla Torà
l'otterrà.
Ella gli verrà incontro come una
madre,
come una giovane sposa l'accoglierà.
Lo nutrirà col pane
dell'intelligenza
e gli darà da bere l'acqua della
dottrina.
In questi versi la Sapienza è
probabilmente la Torà (cfr. Ben Sira XXIV, 22) e il cibo e le bevande sono i
suoi frutti salutiferi. Mi par poco verosimile che Gesù pregasse per ricevere
la Torà. Ma le difficoltà principali sono linguistiche. Esiste la parola
"soprassostanziale" in aramaico? E supponendo che esistesse, sarebb'essa
una definizione esatta della Torà, della Grazia o del soccorso divino chiesto
dai primi discepoli? E sarebbe naturale questo termine filosofico in bocca a
semplici pescatori di scarsa istruzione? Oltre a ciò, un composto di ousia sarebbe
epousion anziché epiousion.
Il prefisso epi elide sempre la finale in
composizione con la parola che comincia per vocale, a meno che non sia impedito
il digamma. Dunque nessuna delle supposte congetture pare accettabile. Non
saprei più cosa proporre. Forse un'emendazione del testo. Leggendo epi
ousion "per l'esistenza, per la vita" il senso corrererebbe
bene. ousia nel senso di vita, esistenza è
documentato in Platone, Sofista 232.
Si osservi ancora che la presenza
di questa parola rarissima così nel testo di Matteo come in quello di Luca
dimostra che ambedue derivano da un'unica fonte greca e non sono traduzioni
indipendenti dall'aramaico.
kai afes hmin
ta ofeilhmata nmvn, ws kai nmeis afhkamen tois ofeiletais hmvn "Rimettici
i nostri debiti, come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori".
Qui c'è qualche divergenza fra i
Vangeli. Matteo ha la parola "debiti", Luca la parola
"peccati". La remissione dei debiti ogni sette anni era prescritta dal
Deuteronomio XV, 1-11. Ma poiché questa disposizione, adatta per i prestiti
caritatevoli dell'età più antica, produceva gravi inconvenienti nelle
operazioni commerciali di un popolo più evoluto, Hillel l'aveva abolita pochi
anni prima del tempo di Gesù E' probabile che la predicazione di Gesù e dei
primi Cristiani avesse anche un contenuto sociale, che essi odiassero i ricchi
(Luca VI, 20-26; XVI, 19-31; XVIII, 22-25; Giacomo I, 9-11; II, 5-7; V, 1-6) e
che praticassero la comunione dei beni (Atti II, 42-45; IV, 32-37). Ma non pare
che rimettessero i debiti. Anzi pare che qualche volta fossero rapaci ed esosi
nell'esigerli (Atti V, 1-6).
E poi, quali sono i debiti
dell'uomo verso Dio? Non si può certo pregare Dio d'essere esentati
dall'adempiere ai comandamenti né d'essere dispensati dai voti. Perciò par
meglio intendere i peccati. E' stato osservato che la parola aramaica "hobayya"
può valere "debito" e "peccato". Matteo ci dà la
traduzione letterale, Luca interpreta e chiarifica per il lettore greco (si deve
ricordare tuttavia che le due versioni del Paternostro derivano probabilmente da
una fonte comune Q scritta in greco e non sono traduzioni indipendenti dall'aramaico).
Vi sono altri passi dei Vangeli (Matteo XVIII, 23-35, Luca VII, 37-39) nei quali
i debiti sono figura dei peccati.
Molti precetti dell'A. T.
impongono di perdonare i torti ricevuti (Genesi XLV, 4-15; L, 15-21; Esodo XXIII,
4-5; Levitico XIX, 17-18, 34; I Samuele XXV, 28-34; Giobbe XXXI, 29: Salmo XVIII,
24-25; Proverbi XX, 72; XXIV, 29; XXV, 21-22).
Molte preghiere chiedono a Dio di
perdonare i peccati degli uomini (Esodo X, 17; XXXII,32; XXXIV, 7-9; Numeri XIV,
19; I Re VIII, 30, 34, 50; Salmi XXV, 11, 18; XXXII, 5; LI, 2; LXXIX, 9; LXXXVI,
3-5; CXXX, Amos VII,2; Daniele IX, 19).
La connessione tra i due concetti
s'incontra in Ben Sira XXVIII, 2:
Perdona il torto che ti ha fatto
il vicino
E quando pregherai i peccati
saranno perdonati.
Sifré sul Deuter. XIII, 18:
"Ogni volta che avrai misericordia delle altre creature, dal cielo avranno
misericordia di te".
Si può ricordare anche Luca VI,
36: "Siate misericordiosi, come ancora il Padre vostro è
misericordioso".
kai mh eis
enegkhs hmas eis peirasmon, Si suol tradurre "non c'indurre in
tentazione". Ma il Cristiano potrebbe domandare: E' Dio o il Diavolo colui
che induce in tentazione? Infatti un antico Cristiano, il quale forse non aveva
capito il Paternostro, protesta: "Che nessuno dica, quando è tentato: io
sono tentato da Dio. Perché Dio non può essere tentato dal male, né può Egli
tentare alcun uomo. Ma l'uomo è tentato quando è sedotto dalle sue
voglie." (Epistola di Giacomo I, 13-14). Ma altri osserva che
"tentazione" è traduzione inesatta di peirasmon. Il
Tommaseo traduce: "Non ci recare in cimento". E il Pernot: "non
ci esporre alla prova". Infatti non credo che Gesù alludesse alle
tentazioni del bambino che trova la scatola delle caramelle e dell'adulto che
trova a portata di mano il denaro della ditta o la moglie del collega. Si tratta
di cosa ben più tragica. In tempi di oppressione, di guerriglia, di congiura,
coloro che speravano che il regno di Dio sostituisse il dominio romano, erano
sempre in pericolo d'essere arrestati, torturati e costretti a rivelare i
progetti, a denunciare i camerati, ecc.. Perciò era naturale il timore d'essere
esposti alla prova.
Citerei il detto attribuito a Gesù
da Origene (In Jerem. hom. lat. XX, 3): "Chi è vicino a me è vicino al
fuoco. Chi è lontano da me, è lontano dal regno."
Marcione, la Vetus Latina, S.
Cipriano e S. Agostino emendano e traducono: "Non permettere che siamo
indotti in tentazione". E il padre Tonna - Barthet: "non ci lasciar
soccombere alla tentazione". Ma così si discostano dal testo.
alla rusai
hmas apo tou ponhrou. Gran discussione su questa parola ponhrou.
E' maschile o neutro? E' il Maligno o il male? E' vero che il neutro degli
aggettivi greci può avere valore di astratto, così che ambedue le traduzioni
sono grammaticalmente possibili. Ma non tradurrei col nome astratto
"male", il quale in italiano fa pensare a disturbi e malattie. Certo i
discepoli non chiedevano d'essere esentati dalle malattie, destino inesorabile
dell'uomo. In Genesi II, 9 il male è il peccato. Ma l'Ebreo non aspetta che Dio
lo liberi dal peccato, il quale, secondo la dottrina ebraica, dipende dal libero
arbitrio dell'uomo. Neanche tradurrei "il Maligno", cioè Satana.
Satana ha poca importanza nella religione ebraica, che è rigorosamente
monoteista. Non conosco preghiere ebraiche che chiedano di esser liberati da
Satana, né che chiamino Satana "il Maligno". Mi par meglio tradurre
letteralmente: "Liberaci dal malvagio". Infatti la frase è una
citazione abbreviata del Salmo CXL: "Liberami, o Signore, dall'uomo
malvagio, preservami dall'uomo violento".
S'intende che al tempo del
Salmista, il malvagio era il soldato greco e il Giudeo apostata. Al tempo di Gesù
il malvagio sarà stato il soldato romano e il Giudeo collaboratore.
A conferma di questa
interpretazione si può citare Matteo V, 39: mh antisthnai
tv ponhrv "Non resistere al malvagio". Anche qui si tratta
dell'uomo malvagio, non di Satana, né delle malattie.
Non v'è contraddizione fra Matteo
V 39 e VI, 13. La Palestina era piena di malvagi. Resister loro era follia.
Pregare Iddio che liberasse il paese era ovvio.
Anche questo versetto è soppresso
da Luca per non dispiacere ai Romani.
Ammirate il bell'ordine del
Paternostro; prima l'onore a Dio, secondo il suo regno in terra, terzo i bisogni
dell'orante: il pane, il perdono, la pace . Un simile ordine, presso a poco, si
trova in alcune preghiere ebraiche.
Alcuni manoscritti del V secolo
aggiungono una dossologia: "Perché tuo è il regno, la potenza e la gloria
in eterno". Ma questa dossologia manca nei manoscritti del IV secolo e
perciò i critici la ritengono apocrifa. Si legge tuttavia nella Didaché ed è
in tutto conforme all'uso ebraico. Infatti è ispirata dalla preghiera di David
in I Cronache XXIX, 11: "Tua, o Signore, è la grandezza; la forza e la
gloria e la vittoria e la maestà.........Tuo è il regno, o Signore, e Tu sei
innalzato come capo sopra a tutti".
Dalla medesima preghiera sarà
stata ispirata la dossologia dell'Alenu "Il regno è tuo" e il verso
del Cantico delle Creature di S.Francesco: "Tue so' le laude, la gloria e
l'onore". Ed è uso ebraico aggiungere "le 'olam va'ed" dopo le
lodi a Dio.
Molti critici (Wettstein;
Bultmann, Fleg, ecc.) hanno osservato che il Paternostro è composto in gran
parte di formule ebraiche. Dice E. F. Scott che chi mira a fare opera eterna
deve riattaccarsi al passato. Ma senza negare il valore permanente delle
petizioni, bisogna anche riconoscere che sono strettamente connesse con la
situazione politica e con le speranze del tempo di Gesù. Pretendereste di
capire la Divina Commedia senza conoscere la lingua; la situazione politica, le
controversie del tempo di Dante?
Osserva il Bultmann (Jesus Christ
and Mythology 1958, pp. 13-14) "La prima comunità cristiana attendeva il
regno di Dio nel medesimo senso che l'aveva atteso Gesù. Anch'essa aspettava
che il regno di Dio venisse nel futuro immediato.
La Cristianità ha sempre
conservato la speranza che il regno di Dio venga in un futuro immediato, sebbene
abbia aspettato in vano. La speranza di Gesù e della prima comunità cristiana
non si avverò. Esiste ancora lo stesso mondo e la Storia continua. Il corso
della Storia ha smentito la mitologia".
Con sommo rincrescimento debbo
confessare che il Bultmann non ha tutti i torti. Prima che quella generazione
fosse discesa tutta nella fossa, venne, non già il Figliol dell'Uomo sulle
nuvole e gli angeli con le trombe (Matteo XXIV, 30-34; Marco XIII, 26-30; Luca
XXI, 27-32), ma Tito, con le sue stragi e le sue distruzioni. Ma la Storia non
finì allora e non è finita ancora. L'impero dei Cesari è caduto. Altri imperi
sono sorti e scomparsi. La Palestina è per metà ebraica e indipendente. Questo
almeno si è avverato.
Resta da imprimere i comandamenti
della giustizia e della carità nei cuori degli uomini. Resta da lavorare per il
regno di Dio inteso in modo più conforme alla nostra coscienza moderna. Per
questo i Cristiani possono dire "Padre nostro che sei nei cieli" e gli
Ebrei possono dire "Abinu shebashamaim." Diranno la stessa cosa. I
Cristiani possono dire "Sia santificato il tuo nome" e gli Ebrei
"Itkaddash shemeh rabba". E' la stessa cosa.
I Cristiani possono dire
"Venga il tuo regno" e gli Ebrei "Yamlik malkuteh."
Diranno
la stessa cosa.