La sfida di essere cattolico 
alla fine del secolo XX

(Rosemary Radford Ruether)


In questo momento della storia, pare sempre meno probabile che il cattolicesimo istituzionale si muova in una qualsiasi altra direzione se non quella del passato, ritornando indietro non ai Vangeli, ma al Vaticano I, facendo marcia indietro verso posizioni di monarchia papale e di "infallibilità", cercando di imporre la sua volontà alla Chiesa mondiale e perfino al mondo fuori della chiesa cattolica. 
Sempre più membri dell'Opus Dei vengono collocati dal Vaticano in sedi episcopali, in un paese dopo l'altro, come pure nelle delegazioni delle Nazioni Unite e in quelle dell'Unione Europea, con il compito di controllare i problemi in modo reazionario. Questo rappresenta non solo lo sforzo per collocare dirigenti ecclesiastici e laici di mentalità fascista in posizioni influenti intorno al mondo, ma anche per smantellare istituzioni e programmi che sono stati studiati e sviluppati per promuovere una visione evangelica della giustizia. 
L'attacco unisono del Nunzio Apostolico del Messico e del Vaticano al vescovo Samuel Ruiz del Chiapas è un caso particolarmente scandaloso in questo senso. 
Molti potranno considerare qualsiasi tentativo o compromesso di riformare una chiesa del genere o inutile o addirittura masochista, come uno spreco di energia che sarebbe spesa meglio nel fare cose più produttive. 
Io penso che dobbiamo riconoscere il carattere negativo di questa forza reazionaria del governo centrale della Chiesa, non minimizzare la sua gravità, ma anche non confonderla col fondamento definitivo della nostra fede, speranza e amore dentro la Chiesa e per la Chiesa. 
Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno è di mettere saldamente radici in questo fondamento definitivo, se vogliamo continuare il cammino delle riforme profetiche nella chiesa cattolica del nostro tempo.

I. Visione della chiesa futura

La mia visione della Chiesa futura si modella sullo sforzo di rispondere al "kairos" di questo momento della storia, un'epoca in cui le speranze liberate con la fine della Guerra Fredda si mescolano con l'orrore davanti al divario crescente tra ricchezza e povertà in tutto il mondo, particolarmente nei paesi del Sud, davanti alla crescente devastazione della terra causata dal materialismo ingiusto e depravato e davanti al sentimento di urgenza e, nello stesso tempo, di impotenza di fronte a tali sfide. La mia visione è anche modellata da ciò che io credo essere il senso eterno del Vangelo, radicato nella persona e nel ministero di Gesù Cristo, sempre nuovo e sempre uno, di una sapienza che sta al di là dei cambiamenti storici della società e del pensiero. Per me, questa sapienza trascendente - e qui uso di proposito la parola trascendente, in quello che io credo il suo significato autentico - si riassume nella parola "grazia"; la grazia, che è l'essere autentico di Dio fatto presente nella morte e nella risurrezione di Cristo, che ci libera nello stesso tempo da tutte le deformazioni della nostra ambizione di potere e di sicurezza, e ci restituisce al nostro più profondo e autentico io e alla nostra vocazione di creature di Dio. 
Per me essere chiesa, il corpo di Cristo, è fondamentalmente essere comunità che vive dentro e di questa vita della grazia. 
Per mettere in luce alcune caratteristiche della Chiesa di cui abbiamo bisogno oggi, della Chiesa di cui abbiamo bisogno sempre, della Chiesa che siamo chiamati a essere al presente, sia come Chiesa locale che come Chiesa mondiale, analizzeremo brevemente sei punti.

1. Multiculturalismo
Siamo chiamati oggi a essere autenticamente cattolici, non monopolizzatori, bianchi, maschi, europei, che confondono la cultura bianca, maschia, occidentale, europea con la cultura normativa, umana e cristiana da imporre ai popoli indigeni, africani, asiatici, arabi, polinesiani e alle donne di tutti i gruppi. Ciò significa in realtà sfruttare, rivendicare e celebrare l'attuale diversità culturale dei popoli cattolici del mondo. Significa anche prestare un'attenzione speciale ai popoli discendenti da una colonizzazione brutale e dalla schiavitù imposta dalle conquiste europee lungo i secoli, ai popoli indigeni dell'America, del Pacifico e delle altre parti del mondo, agli Africani condotti in schiavitù in America o nei Caraibi. 
Globalmente il cattolicesimo è sempre più costituito da popoli ispanici, africani o asiatici, mentre l'antica culla del cattolicesimo europeo - Italia, Francia e Spagna - è diventata apatica; e la sua discendenza nell'America del nord la segue da vicino. Tuttavia continuiamo ancora a essere un popolo attaccato ai modelli culturali forgiati nel Medioevo europeo e la forma del governo della chiesa ricalca ancora quella del secolo IV dell'impero romano e della monarchia assoluta del XVIII secolo, dove sopravvivono fossili ecclesiastici, dopo che la sostanza politica è morta. 
Dobbiamo riconoscere il valore relativo e addirittura il carattere demoniaco di queste forme culturali egemoniche e politiche del passato e, nello stesso tempo, adottare un dialogo nutrito tra le multiple culture che inglobano il popolo cattolico, cercando di arrivare alla trasformazione e all'arricchimento mutuo di tutta la nostra vita culturale e sociale.

2. Doveri verso i poveri e gli oppressi. 
Dopo la rinascita delle Teologie della Liberazione nel mondo ecclesiastico dell'America Latina, dell'Asia e dell'Africa, fratelli e sorelle di quelle regioni hanno fatto appelli alla Chiesa perché essa si rinnovi nella opzione preferenziale per i poveri. 
La Chiesa cristiana è autenticamente il corpo di Cristo quando vive in solidarietà con i membri della comunità che sono trattati più ingiustamente, che più sono emarginati, disprezzati e trascurati nel sistema esistente di potere e ricchezza. La chiamata fondamentale di Cristo al pentimento, ministero e servizio, era ed è ancora "la buona novella per i poveri, liberazione per i prigionieri, libertà per gli oppressi". 
Soltanto vivendo questa buona novella, vivremo il Vangelo. 
Tuttavia, vivere questa buona novella dopo venti secoli di cristianità cattolica significa pure vivere nel pentimento, vivere in profonda tristezza e nel rimorso armato per cambiare ciò che oppressivamente è stato e ancora è una realtà essenzialmente contraria: l'istituzionalizzazione del potere e del privilegio ecclesiastico, legata all'opzione preferenziale per i ricchi e per i potenti. 
Almeno a partire dal riconoscimento ufficiale di Costantino, inizio del secolo IV, se non prima, la cristianità cattolica crebbe in ricchezza e potere benedicendo il potere di aristocrazie, imperatori e re, corporazioni di commercianti e capitalisti, sia il potere economico sia quello politico e militare, consigliando, il più delle volte, i poveri e gli oppressi a guadagnarsi il favore di Dio, obbedendo ai signori. Se Cristo ci chiama a essere fedeli mediante la solidarietà con i poveri, allora Cristo ci chiama a essere, attraverso il pentimento, un contro-segnale di tutto quello che siamo stati nella storia.

3. Una chiesa libera dal "sessismo".
 Sperare in una Chiesa futura libera dal sessismo, una Chiesa che viva veramente come una comunità di uguaglianza e reciprocità tra donne e uomini, una chiesa che si sia liberata dalla patologia sessuale per vivere una sessualità sana, di amore, una chiesa che si sia liberata dall'omofobia per riconoscere la diversità di orientamento sessuale, questo è davvero pentirsi profondamente e convertirsi di molto di quello che siamo stati nel corso della nostra storia. 
In un tempo in cui il sessismo e la patologia sessuale appaiono più esacerbati che mai nei dirigenti della Chiesa; in cui un Papa si afferra al potere e a un concetto mal impostato di verità immutabile, insistendo nel sacerdozio celibatario dei maschi, contro qualsiasi possibilità per un prete di sposarsi, e che le donne siano ammesse al sacerdozio e che si riconosca l'esistenza di preti omosessuali, mentre gli attuali sacerdoti celibatari sono ogni giorno più screditati, perché accusati di abusi sessuali sui giovani, sia di un sesso sia dell'altro; in un tempo in cui questo stesso Papa considera il rifiuto della contraccezione e della ordinazione di donne come articoli fondamentali della fede; in un tempo in cui il Papa sceglie per essere canonizzate come sante e esempio per le donne due italiane, una delle quali mori di tumore all'utero, lasciando il neonato e altri quattro bambini senza madre, invece di salvare la propria vita, e l'altra che sopportò un abuso coniugale costante invece di separarsi dal marito, fino al punto da essere abbandonata da lui, un tempo così non sembra molto propizio alla speranza di pentimento dei peccati storici di sessismo della Chiesa. 
Tuttavia è proprio in questo tempo che abbiamo bisogno di approfondire la nuova scoperta che "comunità cristiana" significa comunità di uguali, comunità in cui le distinzioni di maschio e femmina, schiavo e libero sono state superate nella nuova umanità, in cui possiamo proclamare che sia le donne sia gli uomini sono immagini di Dio e rappresentanti di Gesù Cristo. Dobbiamo affermare che le donne, sia in quanto predicatrici e ministre dei sacramenti, sia in quanto teologhe, portano per la prima volta in seno alla chiesa il dono femminile della pienezza del ministero. 
Dobbiamo pure affermare che lo stare in Cristo ci rimette a nuovo, non aliena da noi la pienezza del nostro essere corporale e la capacità di tutto il nostro corpo di dare amore e piacere a un altro, senza timore, ma anche senza irresponsabilità e intenzioni di sfruttamento.

4. Una Chiesa democratica. 
Eppure qui sembra che stiamo davanti a una contraddizione: cerchiamo un governo ecclesiastico partecipativo e egualitario, il contrario di quel che è stato il governo storico della Chiesa, che ha modellato se stesso, dalla fine del I secolo, secondo le usanze del patriarcato, dell'aristocrazia e della monarchia, per incorporarsi al sistema dell'Impero Romano sul finire del IV secolo e per tutto il periodo medievale e gli inizi dell'epoca moderna. 
Quando i vescovi tuonano che la "chiesa non è affatto una democrazia" non intendono parlare solo di fatti storici e sociali, ma di intenzioni divine. Nella loro mente, Cristo fondò la chiesa perché fosse una monarchia feudale centralizzata, col Papa sopra vescovi, i vescovi sopra i preti, i preti sopra i laici, gli uomini al di sopra delle donne e dei bambini. 
Questa sarebbe l'intenzione di Cristo. 
In un certo senso si presume che lui risuscitò dalla tomba solo per consegnare a S. Pietro il progetto del governo papale del secolo 13° e del secolo 20°. 
È impensabile per quei vescovi che tutte queste forme di sviluppo possano essere state accidentali, modellate secondo i sistemi politici esistenti e, più ancora, che possa essere stato un tradimento di una visione più profonda di chiesa, concepita come comunità di eguali, che si esprime soprattutto come modelli di vita, e dove i membri, proprio tutti, avrebbero voce e parte nel ministero.

5. Una chiesa che conosce la sua fallibilità. 
Una chiesa che crede di essere infallibile negli interventi dei suoi governanti monarchici è una chiesa che si è incapsulata nella sua stessa apostasia, rendendo questa apostasia non più redimibile. 
Qualsiasi altro peccato può essere perdonato, eccetto il peccato di infallibilità, perché questo è un peccato contro lo Spirito Santo
Noi non ci possiamo pentire di questo o di qualche altro errore che una volta o l'altra abbiamo fatto o faremo, se non riconosciamo che, in verità possiamo errare, non solo come individui, ma anche come istituzione. 
Pentirsi dell'errore dell'infallibilità, che fissa tutti gli altri errori, significa anche liberare noi stessi, riconoscerci umani, fallibili, che vediamo in parte e non totalmente e assolutamente, né con una certezza finale. 
Significa anche liberarci per essere cristiani, per vivere nella fede, nel pentimento e nella grazia della trasformazione, senza la quale non possiamo stare in continuità autentica con la vita nuova in Cristo. Ci libera affinché cerchiamo intelligentemente verità e prospettive che noi possiamo costruire senza bisogno di aggrapparci ad esse come base della nostra vita.

6. Una chiesa che vive di grazia.
Tutto questo significa che la chiesa che noi cerchiamo, quella in cui possiamo avere vita, è la chiesa che vive della grazia, non della grazia che esclude la conoscenza, l'esperienza, il cambiamento storico, ma della grazia che ci sostiene, che ci protegge, nella ricerca di senso e giustizia e nella libertà del pentimento, che ci libera di idee e sistemi erronei e rinnova in noi il miracolo della vita che sorge ogni giorno.

II. Partendo da qui, come arriveremo là?

Una volta delineati alcuni tratti della nostra visione di una comunità cristiana autentica, la domanda è: come arrivare là, partendo da dove siamo? Quali i cammini che portano a questa visione, vista la realtà del governo ecclesiastico attuale e di una ideologia che, in gran parte, istituzionalizza e santifica l'opposto? In questa discussione io vorrei indicare quattro vie, attraverso cui possiamo cominciare a cambiare noi stessi e alcuni modi di costruire basi per tali alternative.

1) Primo, dobbiamo diventare adulti. 
Dico ciò, senza intenzioni di umiliare un uditorio di adulti, quasi tutti di mezza età, includendo me stessa, noi che ci consideriamo abbastanza maturi. Parlo della grande difficoltà che abbiamo nel liberarci dai residui di una spiritualità infantile, profondamente insinuata nella nostra psiche nella nostra socializzazione tradizionale cattolica. 
Il cattolicesimo, come tutte le istituzioni patriarcali gerarchiche, crea rapporti di dominio e sottomissione, modellati nella fusione di relazioni maschio femmina, padre figlio. Abbiamo imparato a dominare quelli che stanno sotto di noi e a sottometterci a quelli che stanno sopra, ma non a essere uguali in rapporti mutuamente affermativi. 
Non siamo incoraggiati a diventare genuinamente adulti e autonomi, ma piuttosto a rimanere bambini dipendenti di qualche tipo di autorità superiore. Questo modello di relazionarsi è dominante nella cultura clericale.
Alcuni anni addietro, dopo tre anni di dialogo tra i vescovi della Commissione di Vescovi per le Donne e la Conferenza per l'Ordinazione delle Donne, sono arrivata alla conclusione che i vescovi sono uomini con una struttura di personalità particolare; uomini che, dallo stato di figli, passano a essere genitori, senza mai essere diventati adulti, indipendenti. Anche se arrivano, per esempio, ad accettare personalmente l'ordinazione delle donne, mai assumeranno una posizione contraria a quella del Papa. Pensare indipendentemente sopra una simile questione è cosa inconcepibile per loro.
Questa socializzazione in una dipendenza paternalistica ci trattiene tra la ribellione e la sottomissione, facendoci ritornare sempre alle forme di sottomissione, per alleviare il sentimento di colpa per le ribellioni, mai liberandoci realmente per diventare adulti responsabili. Veramente responsabili e adulti. Voglio dire, qualcuno che ha fiducia nella propria mente e nell'agire autonomo, senza orgoglio ne falsa umiltà, qualcuno che è capace di responsabilizzassi per lo sviluppo e il futuro di una comunità, senza aver bisogno ne di alleviare le colpe, ne di rivendicare relazioni di potere in questo servizio. 
Questo è il tipo di maturità necessaria per un ministero reale, ma è difficile svilupparlo in un sistema paternalista.

2) In secondo luogo, dobbiamo essere un popolo di preghiera. 
Questo significa anche che dobbiamo superare la frattura tra azione sociale e spiritualità, endemica nella nostra cultura. 
La capacita reale di resistere nel cammino della riforma e servizio a lungo termine è possibile solo a patto che stiamo fortemente radicati nella disciplina dell'orazione giornaliera, della meditazione e della presenza di Dio nelle nostre vite. 
Questo significa resistere alle sollecitazioni dell'attivismo e all'ambizione insaziabile di realizzare, al fine di trovare il tempo per una meditazione quieta e regolare. È a partire da questa disciplina che bisogna cominciare a coltivare il senso della presenza di Dio anche in mezzo all'attività. Questo tipo di disciplina faceva parte della nostra spiritualità tradizionale, ma molte volte era compiuta sotto costrizione, in un quadro di spiritualità alienante. Ma nel liberarci da queste relazioni e ideali alienanti di potere, corriamo il rischio di lasciar perdere i modelli di orazione che sono alimento dello spirito, invece di trovare il modo di recuperarli. Uno dei nostri compiti sarà forse di creare dei nuovi centri di ritiro o di rimodellare alcuni di quelli che già esistono. Per alcuni di noi, ciò significherà cercare comunità di adorazione regolare, genuinamente incentivanti e provocatrici oppure crearne alcune, qualora non ne trovassimo nelle parrocchie locali.

3) Terzo, abbiamo bisogno di una conoscenza critica della storia della chiesa e della teologia, capace di discriminare con strumenti adeguati della riflessione storica e teologica, quali i temi cristiani che sono realmente significativi e che verta rivendicate devono essere messe in discussione come affermazioni di potere, che in nulla contribuiscono alla salvezza spirituale. 
Come persone teologicamente istruite che hanno lavorato nel ministero, può essere superfluo affermare che abbiamo bisogno di essere più addestrati in teologia e storia della chiesa. Tra l'altro, una delle cose che ho imparato dal nostro dialogo con i vescovi cattolici, è stata che la loro educazione nel seminario era tristemente inadeguata. 
I vescovi non avevano ricevuto un'educazione critica intorno alla Bibbia o alla storia della Chiesa che li abilitasse a rispondere a questioni poste dalla teologia femminista di fronte a dichiarazioni papali che temi come l'ordinazione delle donne sarebbero contro la tradizione della chiesa e pertanto non potevano essere discussi. 
Di fatto, la tendenza generale era di dire semplicemente che ciò non poteva essere discusso perché l'autorità ecclesiastica così aveva affermato. Essi erano incapaci di investigare indipendentemente queste rivendicazioni nella Sacra Scrittura o nella storia della Chiesa.

4) Dobbiamo essere socialmente impegnati. 
Probabilmente la ricerca di un tempo per la preghiera esigerà dei cambiamenti nella nostra vita e, a volte, cambiamenti perfino nel modo di guadagnarci da vivere, per trovare il modo di connettere almeno parte della nostra ricchezza ed energia alla solidarietà con i meno fortunati. L'opzione preferenziale per i poveri non può essere un mero slogan retorico. Deve stare in relazione col modo in cui viviamo la nostra vita. Deve far parte di uno sforzo organizzato per creare una società alternativa contro il presente (dis)ordine globale, imposto dalla Banca Mondiale e dalle nazioni potenti. Urge una rivolta globale contro il trionfalismo dei ricchi e potenti, che vogliono far sì che questo ordine appaia come unica alternativa possibile, come se non ci fosse un'altra alternativa al neoliberismo, che sta impoverendo il mondo e la maggioranza dei popoli.
Dobbiamo prendere sul serio sia l'impoverimento ecologico che la povertà umana. 
È necessario riconoscere che queste due realtà non sono temi separati, ma fanno parte di uno stesso quadro. 
Ciò significa inserire la questione ecologica nella vita di tutti i giorni. Significa esaminare in che modo il tipo di vita di tutti i giorni fa parte del problema dell'impoverimento globale del mondo e dei suoi abitanti. Ovviamente uno sviluppo ecologico sostenibile non può essere ottenuto solo con i cambiamenti nel nostro stile di vita privata. Si tratta fondamentalmente di un macrosistema di produzione, consumo e spreco. 
È necessario coltivare una certa coscienza del modo con cui partecipiamo di questo sistema, esaminando e adattando il modo di spostarci, di consumare cibi e altri beni, di usare l'energia, di controllare gli sprechi. 
Dobbiamo trovare il modo di introdurre alcuni di questi cambiamenti nelle nostre case, scuole, uffici e altre istituzioni locali dove abbiamo qualche influenza. 
A partire da questa coscienza e da questa lotta concreta per la sostenibilità ecologica, forse potremmo riuscire a costruire contatti più estesi, capaci di mutare le forme di distruzione del mondo che stanno diminuendo la vita e in molte regioni del globo a livello allarmante.
Questi quattro progetti: maturità, orazione, conoscenza e impegno sociale e ecologico hanno bisogno di diventare realtà nelle nostre relazioni sociali e specialmente nel modo in cui viviamo come Chiesa. 
Mi pare che esistono due livelli di vivere (vivencia) nella chiesa in cui si coltiva una spiritualità matura e liberatrice, insieme con un impegno sociale, a cui abbiamo accesso senza tener conto di quello che la Chiesa ufficiale permette o non permette. 
Sono le comunità di base e le organizzazioni parallele.
Comunità di base
Ci siano o no comunità parrocchiali ragionevoli in cui possiamo nutrirci col culto settimanale, mi pare che le comunità di base, in cui un piccolo gruppo di dieci/quindici persone si riunisce regolarmente per l'orazione, lo studio, il culto, la discussione e l'aiuto reciproco, sono una base importante per la vita cristiana. 
Tali comunità sono state una parte integrante della visione di chiesa, creata dalla Teologia della Liberazione nelle ultime due decadi. Ma, secondo la mia esperienza, molte di queste comunità di base sono rimaste troppo clericali, troppo dipendenti dai vescovi e sono state incapaci di affrontare realisticamente molti problemi della vita reale di oggi, particolarmente i problemi della donna, del sesso e dell'abuso domestico. Dobbiamo impegnarci nuovamente per sviluppare queste comunità in una forma più profonda e duratura.
Organizzazioni parallele
Oltre ai piccoli gruppi di base, le organizzazioni parallele sono pure importanti, sia per la riforma della chiesa, come per l'azione sociale. 
Il cattolicesimo romano-nordamericano, con la sua tradizione di volontariato, è particolarmente ricco di organizzazioni parallele, che lavorano per estendere le frontiere dell'azione cattolica romana, per vie non dipendenti dall'approvazione gerarchica. Cal To catino, chiamata all'azione, Pece ad rustiche Centers, Centri di Pace e giustizia, come pure Quixote Center a Washington, D.C7 l for the rights of Catholics in the Church, la Women Church Network, CORPUS, sono esempi di organizzazioni parallele degli Stati uniti che si uniscono sempre più in reti nazionali e internazionali. 
Le organizzazioni parallele si stanno sviluppando sempre più in tutto il mondo tra i cattolici. Come, per esempio, la Catholic Women's Network in Inghilterra il Movimento dell'8 maggio in Olanda, rete di teologia femminista in India e in altri paesi dell'Asia, Catholicas por el Derecho a Decidir in America latina, tra le altre. Queste organizzazioni parallele possono essere viste come espressione cattolica dell'invenzione della società civile.
Esse operano all'interno della comunità cattolica, ma non sotto il potere giuridico della gerarchia
Sono espressione vitale della democratizzazione della chiesa. Perché identificare questi gruppi come cristiani? Fondamentalmente essi stessi si sentono tali, perché l'associazione si basa in persone di radici cristiane, e perché i membri sono coscienti di trattare problemi sia di riforma della chiesa, sia di compiti direttamente ministeriali, intesi come suggeriti dalla fede e dalla vita cristiana. Insomma, i membri di questi gruppi vedono se stessi come chiesa. La loro identità cattolica o cristiana e sostanzialmente un auto-opzione, nata dalla coscienza di poter assumere la responsabilità non solo di essere chiesa ma di portare le istituzioni ad aprirsi alle loro preoccupazioni. Nello stesso tempo, sono liberi dal controllo istituzionale, che avrebbe il potere di escluderli o di licenziare i loro dirigenti. Siamo impegnati in un processo, il cui futuro nessuno può predire. Può succedere che cattolici preoccupati delle riforme si stanchino dell'intransigenza istituzionale e migrino da qualche altra parte. Può essere che almeno parte dell'istituzione ufficiale si apra a una maggior accettazione di tali movimenti. 
Speriamo di essere coinvolti in un processo che porti a un'eventuale trasformazione dell'istituzione ufficiale, capace di permettere la legittimazione di uno spazio più grande di pensiero e di vita. 
Nel frattempo possiamo e dobbiamo continuare a vivere modi di essere comunità cristiana che soddisfino la nostra visione di ciò che è vero e autentico. 
È necessario insistere che siamo la chiesa oggi e che non dobbiamo sperare semplicemente che ci sia permesso di esserlo domani.

                                                                       (Traduzione dal portoghese di Romano Baraglia)


Ikthys