IL SIGNORE DELLA GUERRA

DIRITTI UMANI? LOTTA AL TERRORISMO?
NO, SIGNORI, È SOLO PETROLIO.
CON LA BENEDIZIONE DI DIO.
IL DIO DI BUSH.

JOHN LE CARRÉ

(El Pais, "Confesiones de un terrorista", 20 gennaio 2003, tratto da Adista n. 14 del 2003)


Gli Stati Uniti sono entrati in uno dei loro periodi di follia storica, ma questo è il peggiore tra quelli che ricordo: peggiore del maccartismo, peggiore della Baia dei Porci e, a lungo termine, potenzialmente più disa-stroso della guerra del Vietnam. La reazione all'11 settembre è andata al di là di quello che Osama avrebbe sperato nei suoi sogni più sinistri. Come nell'epoca di McCarthy, i diritti e le libertà nazionali, che hanno fatto degli Stati Uniti l'invidia del mondo, stanno per essere erosi in modo sistematico.
La persecuzione dei residenti stranieri negli Usa continua senza sosta. Le persone "non permanenti" di sesso maschile e di origine nord-coreana o mediorientale scompaiono nelle prigioni segrete in seguito ad accuse segrete sulla parola segreta dei giudici. I palestinesi che risiedono negli Stati Uniti, e che prima venivano considerati cittadini senza Stato e pertanto non deportabili, vengono consegnati ad Israele per essere "ristabiliti" a Gaza e in Cisgiordania, posti che probabilmente non hanno mai conosciuto.
Stiamo facendo lo stesso gioco anche qui in Gran Bretagna? Suppongo di sì. Tra 30 anni ce lo faranno sapere. La combinazione della complicità dei mezzi di comunicazione statunitensi con gli interessi creati dalle grandi imprese assicura ancora una volta che il dibattito che si dovrebbe udire nelle piazze di tutti i paesi sia ridotta agli articoli più assennati della stampa della Costa Occidentale degli Usa: "Andate alla colonna A a pagina 27, se siete in grado di trovarla nel giornale e di capirla".
Nessun governo statunitense ha mai tenuto le sue carte così strette. Se i servizi di Intelligence non sanno nulla, allora sarà il segreto meglio custodito di tutti. Ricordate che si tratta delle stesse organizzazioni che ci hanno dimostrato il più grande fallimento nella storia dell'Intelligence: l'11 settembre. Questa guerra imminente è stata programmata anni prima che Osama Bin Laden attaccasse, però è stato Osama che l'ha resa possibile. Senza Osama, l'amministrazione Bush sarebbe ancora lì a tentare di spiegare questioni complesse, come il modo in cui sia riuscita ad essere eletta; l'affare Enron; i suoi vergognosi favori a coloro che sono fin già troppo ricchi; il suo disprezzo irresponsabile per i poveri del mondo, per l'ecologia, e per un numero infinito di convenzioni internazionali derogate unilateralmente. Forse dovrebbe anche spiegarci perché appoggia Israele nel suo disprezzo continuo per le risoluzioni dell'Orni.
Ma Osama ha opportunamente spazzato via tutto questo. I Bush cavalcano di nuovo. Si dice che l'88% degli americani voglia la guerra. Il bilancio preventivo della Difesa degli Stati Uniti è aumentato di 60.000 milioni di dollari, fino a raggiungere quasi i 360.000 milioni di dollari. Dalle fabbriche sta uscendo una splendida nuova generazione di armi nucleari americane, preparate per rispondere alla pari alle armi nucleari, a quelle chimiche e biologiche nelle mani di Stati canaglia. In modo che tutti possiamo respirare tranquilli.
E l'America non solo decide unilateralmente chi possa o non possa possedere queste armi. Si riserva anche il diritto unilaterale di utilizzare senza scrupolo le proprie armi nucleari quando e dove vuole, sempre che reputi sotto minaccia i propri interessi, quelli dei suoi amici e dei suoi alleati. Quali saranno esattamente questi amici e alleati nei prossimi anni? Come sempre accade in politica, sarà una specie di indovinello. Uno si fa buoni amici e alleati, così da armarli fino ai denti. Fino a che un giorno non sono più né amici, né alleati e gli manda una bomba nucleare.
Vale la pena di ricordare in questa sede quante ore di profonda riflessione abbia impiegato il Gabinetto degli Stati Uniti per decidere se avesse dovuto attaccare l'Afghanistan con armi nucleari nei giorni successivi all'11 settembre. Fortunatamente per tutti noi, ma in particolar modo per gli afghani, la cui complicità negli attacchi dell'11 settembre è stata decisamente minore di quella del Pakistan, hanno deciso di cavarsela con 25.000 tonnellate delle cosiddette tagliamargher
ìte convenzionali, che, secondo tutti i testimoni, producono tanta distruzione quanto una bomba nucleare piccola. Ma la prossima volta faranno sul serio.
Un argomento molto meno chiaro è quale sia esattamente la guerra che l'88% degli americani pensa di appoggiare. Una guerra che durerà quanto, per favore? A quale prezzo di vite di americani? A quale prezzo per le tasche del contribuente americano? A quale prezzo (poiché la maggior parte di questo 88% è gente per bene e umana) di vite di iracheni? Ora sarà già probabilmente un segreto di Stato, ma la Tempesta del Deserto è costata all'Iraq almeno il doppio delle vite che gli Stati Uniti hanno perso in tutta la guerra del Vietnam.
Il modo in cui Bush e la sua amministrazione sono riusciti a deviare l'ira degli Stati Uniti contro Osama Bin Laden verso Saddam Hussein è uno dei più grandi giochi di prestigio nella storia dell'opinione pubblica. Ma gli è riuscito bene. Un recente sondaggio dice che un americano su due crede ora che Saddam sia stato il responsabile dell'attacco al World Trade Center.
Ma l'opinione pubblica americana non viene solo ingannata. Viene minacciata, perseguitata, rimproverata e mantenuta in un permanente stato di ignoranza e paura e, di conseguenza, di dipendenza dai propri leader. Questa psicosi attentamente orchestrata dovrebbe, con un po' di fortuna, portare comodamente Bush e i suoi compagni di cospirazione fino alle prossime elezioni. Quelli che non sono con il signor Bush sono contro di lui. O, quel che è peggio (andate a vedere il suo discorso del 3 gennaio), stanno con il nemico. Cosa strana, visto che io sono completamente contro Bush, ma mi piacerebbe vedere la caduta di Saddam - solamente non secondo i termini e i metodi di Bush. E nemmeno sotto la bandiera di un'ipocrisia così scandalosa. Il colonialismo Usa vecchio stile è sul punto di estendere le proprie ali di ferro su tutti noi. Ci sono oggi più americani impassibili che si infiltrano in popoli che nulla sospettano, di quanti ce ne fossero nel momento più teso della guerra fredda. Il bigottismo religioso con cui invieranno le truppe americane al fronte è forse l'aspetto più nauseabondo di questa guerra surrealista che si avvicina. Bush tiene Dio per il collo.
E Dio ha opinioni politiche molto particolari.
Dio ha scelto gli Stati Uniti per salvare il mondo nel modo che più conviene agli Stati Uniti.
Dio ha scelto Israele come legame fra la politica americana e il Medio Oriente. E chiunque voglia mettere in dubbio questa idea: a) è un antisemita, b) è un antiamericano, e) sta col nemico, d) è un terrorista.
Anche Dio ha legami terrificanti. Negli Usa, dove tutti gli uomini sono uguali ai suoi occhi, anche se non agli occhi degli altri, la famiglia Bush è formata da un presidente, un ex presidente, un ex capo della Cia, il governatore della Florida e l'ex governatore del Texas. Bush senior ha alcune buone guerre al suo attivo e una reputazione ben meritata per aver mostrato l'ira dell'America agli Stati clienti che disobbediscono. Una delle guerrette che ha montato è stata contro il suo vecchio amico della Cia, Manuel Norìega di Panama, che ben gli era servito durante la guerra fredda, ma che poi è cresciuto quando questa era terminata. Non si vede spesso un potere così nudo, e gli americani lo sanno.
Volete più dati?
George W. Bush. 1978-84: alto dirigente della Arbusto-Bush Exploration, una compagnia petrolifera; 1986-1990: alto dirigente della compagnia petrolifera Harken.
Dick Cheney. 1995-2000: presidente esecutivo della compagnia petrolifera Halliburton.
Condoleeza Rice. 1991-2000: alto dirigente della compagnia petrolifera Chevron, che ha battezzato una petroliera col suo nome.
E la lista continua.
Ciò nonostante, nessuno di questi vincoli insignificanti sfiora l'integrità del lavoro di Dio. Qui si parla di valori onesti. Sappiamo addirittura quale collegio frequentano i suoi figli. Nel 1993, mentre l'ex presidente George Bush faceva una visita di cortesia al sempre democratico regno del Kuwait affinché lo ringraziasse per aver liberato il Paese, qualcuno tentò di ucciderlo. La Cia crede che questo "qualcuno" fosse Saddam. Fu da lì che Bush junior esclamò: "Quest'uomo ha tentato di uccidere mio padre". Ma questa guerra non è personale. È necessaria. Si tratta del lavoro di Dio. Si tratta di portare la libertà e la democrazia al popolo iracheno, povero e oppresso.
Per essere accettati come membri della squadra di Bush sembra che si debba anche credere nel Bene Assoluto e nel Male Assoluto, e Bush, con un sacco di aiuto dai suoi amici, dalla sua famiglia e da Dio, è lì per aiutarci a distinguere l'uno dall'altro. Forse sono cattivo perché scrivo questo, ma dovrò verificarlo.
Quello che Bush non ci dirà è la verità sul perché andiamo in guerra. Quello che è in gioco non è un asse del male, ma il petrolio, il denaro e le vite della gente. La tragedia di Saddam è quella di essere seduto sul secondo giacimento di petrolio più grande al mondo. Quella del suo vicino Iran è di possedere le riserve di gas naturale più grandi al mondo. Bush li vuole entrambi e chi lo aiuterà a ottenerli, otterrà una parte della torta. Chi non lo aiuterà, non la riceverà.
Se Saddam non avesse il petrolio, potrebbe torturare e assassinare a piacere i propri cittadini. Altri leader lo fanno tutti i giorni - pensiamo alla Turchia, alla Siria, all'Egitto, al Pakistan, ma questi sono nostri amici e alleati. Ho il sospetto che in realtà Baghdad non rappresenti nessun pericolo reale per i suoi vicini, e nemmeno per gli Stati Uniti e per la Gran Bretagna. Le armi di distruzione di massa di Saddam, ammesso che ancora le abbia, saranno minuzie in confronto a quello che Israele e gli Usa potrebbero dispiegare contro di lui in cinque minuti. Quello che è in gioco non è una minaccia militare o terroristica imminente, ma l'imperativo economico della crescita statunitense. Quello che è in gioco è la necessità degli Stati Uniti di dimostrare il loro enorme potere militare all'Europa, alla Russia, alla Cina e a quella povera pazza della Corea del Nord, così come al Medio Oriente; far vedere chi comanda negli Stati Uniti e chi deve sottomettersi a loro all'esterno.
L'interpretazione più comprensiva del ruolo di Tony Blair in tutto questo è che lui credeva che se avesse cavalcato la tigre sarebbe stato capace di guidarla. Ma non può. Al contrario, ciò che ha fatto è stato riconoscerle una falsa legittimità e una voce docile. Temo che ora questa stessa tigre l'abbia chiuso in un angolo da cui non può scappare. Ironicamente, è probabile che lo stesso George W. provi qualcosa di simile.
Nella Gran Bretagna del Partito Unico, Blair è stato eletto leader supremo con una partecipazione bassissima, di circa un quarto dell'elettorato. Se si dovesse riproporre la stessa apatia pubblica e gli spiacevoli risultati dei partiti dell'opposizione nelle prossime elezioni, Blair o i suoi successori otterrebbero un potere assoluto simile, con addirittura una proporzione più piccola di voti. Risulta assolutamente risibile che, nel momento in cui le sue stesse parole hanno messo Blair al muro, nessuno dei leader dell'opposizione britannica sia capace di contraddirlo. Però questa è la tragedia britannica, la stessa degli Stati Uniti: mentre i nostri governi manipolano, mentono, perdono credibilità, e le ipotetiche alternative parlamentari si limitano a fare manovre per non restare fuori dalla foto, l'elettorato fa spallucce e guarda da un'altra parte. I politici non credono mai a quanto poco riescono a ingannarci.
Ecco perché il punto in Gran Bretagna non è quale partito formerà il Governo dopo il disastro che si avvicina, ma chi starà al volante. La cosa migliore che potrebbe succedere a Blair per sopravvivere personalmente sarebbe che, nella penultima ora, la protesta mondiale e un'Onu stranamente ringalluzzita costringessero Bush a rimettere la pistola nella fondina senza aver sparato. Ma cosa succede se il maggior vaquero del mondo cavalca verso casa senza la testa del tiranno?
La cosa peggiore che può succedere a Blair è che, con o senza le Nazioni Unite, ci trascini in una guerra che, se ci fosse stata in qualche momento la volontà di negoziare con energia, si sarebbe potuta evitare; una guerra sulla quale c'è stato così poco dibattito in Gran Bretagna, come negli Usa. Nel fare questo, Blair avrà provocato una risposta imprevedibile, una grande inquietudine all'interno del Paese, e il caos nella regione mediorientale. Avrà causato una retrocessione nelle nostre relazioni con il Medio Oriente che durerà vari decenni. Benvenuti nel Partito dell'Etica in Politica Estera. Esiste un cammino intermedio, però è duro da seguire: Bush si lancia senza l'appoggio dell'Onu e Blair rimane sulla sponda. Addio alla Relazione Speciale.
Il tanfo di santoneria religiosa che c'è nell'aria negli Stati Uniti ricorda i peggiori momenti dell'Impero britannico. Il mantello di lord Curzon non sta bene sulle spalle degli opinionisti conservatori in voga a Washington. Mi si rizzano i peli quando ascolto il mio Primo Ministro che presta i suoi sofismi ossequiosi da rappre-sentante di classe a questa avventura chiaramente colonialista. Siamo in questa guerra, nel caso che scoppi, per assicurare la foglia di fico alla nostra relazione speciale con gli Usa, per accaparrarci il nostro pezzette di torta del petrolio e perché, dopo tutti gli spintoni pubblici a Washington e a Camp David, Blair deve prostrarsi.
- Ma vinceremo, papà?
- Certo che sì, figliolo. E tutto sarà terminato mentre sarai ancora a letto.
- Perché?
-Perché se no, gli elettori del signor Bush diventeranno molto impazienti e dopo tutto potranno decidere di non tornare a votarlo.
- E uccideranno delle persone, papà?
- Nessuno che tu conosca, tesoro. Solo stranieri.
- Posso vederlo in tv?
-Solo se il signor Bush ti darà il permesso.
-E quando tutto finirà, le cose torneranno ad essere come prima? Nessuno tornerà mai più a fare cose terribili?
-Sssst, piccolo, dormi.

Venerdì scorso un mio amico americano è andato al supermercato in California con un adesivo sull'auto che diceva: "Anche la pace è patriottica".
Quando ha finito di fare la spesa, l'adesivo era scomparso.


Ikthys