QUANDO LO STERMINIO DI CIVILI NON È GIUDICABILE:
UNA SCONCERTANTE PRONUNCIA DELLA CASSAZIONE

Michele Di Schiena
Presidente onorario aggiunto della Corte di Cassazione
in "Adista", agosto 2002


Mentre il liberismo "selvaggio" del governo Berlusconi tratta da criminali gli immigrati, liberalizza i licenziamenti arbitrari, colpisce diritti sociali di fondamentale importanza, penalizza a vantaggio dei privati e del profitto il servizio sanitario nazionale e la scuola pubblica, conduce insomma, coprendola con i veli di qualche elemosina, la più grande offensiva dei ricchi contro i poveri che la storia del nostro Paese ricordi, non va sottaciuto che il prossimo autunno, sicuramente caldo sul versante sindacale, potrebbe diventare addirittura scottante sul piano militare se gli Stati Uniti, come molti segnali fanno temere, decidessero di portare la "guerra infinita" in Iraq per punire il ribelle Saddam Hussein.
In tale nefasta evenienza, ancora una volta, e questa volta con l'esaltazione patriottarda di una maggioranza a totale servizio del "sacro americano impero", il nostro Paese si troverebbe coinvolto in operazioni belliche con gravi rischi per i nostri giovani e con i consueti "effetti collaterali" a danno di popolazioni afflitte da terribili problemi e povere di tutto. Una ragione in più per dedicare qualche amara parola di commento ad una ordinanza della Corte di Cassazione a Sezione Unite che ha deciso un "regolamento preventivo di giurisdizione", chiesto dall'Avvocatura dello Stato, in una controversia civile per risarcimento danni, promossa contro il governo dai parenti di alcune vittime del tragico attacco aereo con bombardamento operato intenzionalmente dalla Nato la notte del 23 aprile '99 a Belgrado contro gli studi della Radiotelevisione serba che, solo una ipocrisia senza confini, può definire obiettivo militare. Le Sezioni Unite, con una pronuncia che mortifica al tempo stesso etica e diritto, ed è un malinconico segno dei tempi, hanno in sostanza ammesso la riferibilità anche allo Stato italiano delle nefaste conseguenze di quell'attacco, ma lo hanno considerato "una modalità di conduzione delle ostilità belliche rappresentata dalla guerra aerea", un momento quindi di guerra come "manifestazione di una funzione politica", una funzione in rapporto alla quale non sarebbero configurabili situazioni di "interesse protetto" (vale a dire diritti), un atto rispetto al quale "nessun giudice - come si legge nel provvedimento - ha il potere di sindacato circa il modo in cui la funzione è stata esercitata". Ora, sappiamo che la guerra, secondo l'esperienza storica ed il diritto internazionale, consiste in un complesso di operazioni attraverso le quali si sviluppa una lotta armata tra Stati o coalizioni di Stati per la risoluzione di conflitti economici o politici. La guerra colpisce sempre diritti essenziali di civili innocenti ma ciò avviene, a differenza di quanto accade per il terrorismo, come conseguenza non direttamente voluta (i cosiddetti effetti collaterali), ma pur sempre accettata in termini di rischio e perciò frutto di una intenzionalità di secondo grado che la dottrina penale definisce "dolo indiretto". Quando invece, come nel caso del bombardamento in questione, l'attacco alla vita e ad altri diritti essenziali di civili innocenti è la conseguenza di una intenzionalità di primo grado (il cosiddetto "dolo diretto") si è al di fuori degli atti di guerra come concepiti dal diritto internazionale e si è invece di fronte ad operazioni materiali estranee allo "jus imperi" che si collocano fuori dall'ambito del diritto bellico e costituiscono perciò comportamenti illeciti e criminali. Questi atti non sono quindi, con buona pace del Supremo Collegio, "manifestazione di una funzione politica" e non possono considerarsi "modalità di conduzione delle ostilità belliche" perché, diversamente opinando, tutte le manifestazioni di violenza collettiva ed organizzata, condotte con attacchi brutali a diritti fondamentali fuori dalla disciplina del diritto bellico e del diritto internazionale umanitario, sarebbero atti di guerra con la loro conseguente equiparazione al più devastante e sanguinario terrorismo.
Ma se si volesse irragionevolmente seguire un diverso ordine di idee e considerare comunque il bombardamento della TV di Belgrado un atto di ostilità bellica in quanto espressione di una funzione politica (per la natura dell'organo responsabile dell'operazione), si dovrebbe pur sempre ammettere che le norme di diritto internazionale, ed in particolare quelle del Protocollo di Ginevra del 1977 e della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo, che hanno ad oggetto la protezione dei civili in caso di attacchi armati, pur regolando, è vero, rapporti tra Stati, risultano, quanto meno implicitamente, introdotte nel nostro ordinamento sia per effetto delle leggi del nostro Paese che hanno dato applicazione interna alle norme medesime e sia in conseguenza dell'inserimento automatico operato dall'art. 10 della Costituzione per il quale "l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute". Ne consegue che la pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è grave perché per la prima volta in Italia, un Paese la cui Costituzione "riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'Uomo" e "ripudia la guerra", un bombardamento che ha deliberatamente prodotto una strage uccidendo civili innocenti (era scontata la presenza di giornalisti della Tv di Belgrado), viene considerato un atto politico coperto da immunità giurisdizionale.
Si comprende allora come la tutela dei diritti, specialmente sul versante sociale, e la difesa del diritto interno ed internazionale divengono, in questa difficile stagione, le convergenti ragioni di una "resistenza" che voglia riproporre con ritrovata determinazione i grandi valori costituzionali per aprire la strada ad una alternativa morale e politica alle logiche, agli interessi ed agli assetti di potere oggi dominanti.

 


Ikthys