Tesi sulla natura della successione apostolica

HANS KÜNG (*)

(In Concilium, IV/1968, rivista internazionale di teologia, © www.queriniana.it)


Il concetto di successione apostolica soffre di limitazione clericale giuridica e di asfissia per distacco dalla Bibbia: di qui la sua sterilità ecumenica. Solamente dalla sacra Scrittura gli può essere infusa una nuova vita. Quanto al modo, lo si indicherà qui brevemente in alcune poche tesi che abbiamo motivato più dettagliatamente in altro luogo.(La Chiesa, ed. Queriniana)
1) Come fondamento sta la successione apostolica della Chiesa intera e di ogni singolo membro: tutta la Chiesa ubbidisce agli apostoli quali primi testimoni e messaggeri. Ciò significa negativamente: considerare la successione apostolica partendo unicamente dalla successione degli uffici ecclesiastici rappresenta una restrizione clericalistica. Come gli uffici ecclesiastici non formano un fine in se stessi, così nemmeno può essere della loro successione.
Ciò significa positivamente che si tratta della Chiesa intera. E la Chiesa nel suo insieme che noi confessiamo nel 'Credo Ecclesiam apostolicam'. Tutta la Chiesa deve collocarsi nella successione degli apostoli. E siccome la Chiesa non è un apparato istituzionale, ma la comunità dei credenti, ciò vuoi dire che anche ogni singolo fedele nella Chiesa deve trovarsi nella successione apostolica. Tutte le generazioni seguenti restano legate alla parola, alla testimonianza e al servizio della prima generazione apostolica. Gli apostoli sono e restano i testimoni originari privilegiati e irrepetibili; la loro testimonianza è la testimonianza primordiale e la loro missione è la missione primigenia. Tutta la Chiesa è basata sul fondamento degli apostoli (e dei profeti).
2) La successione apostolica della Chiesa e del singolo consiste in una connessione oggettiva (da realizzarsi sempre di nuovo) con gli apostoli: è quindi richiesta la stabile concordanza con la testimonianza apostolica (sacra Scrittura) e il continuo adempimento del servizio apostolico (nella spinta missionaria verso il mondo e nella edificazione della comunità). La successione apostolica è dunque anzitutto una successione nella fede e nella confessione apostolica come nel servizio e nella vita apostolica. Negativamente ciò significa: è una limitazione giuridica quella di voler considerare in prima linea la successione apostolica nella serie della 'imposizione delle mani'. Come se una catena di ordinazioni potesse produrre da sé lo spirito apostolico! Come se ci fosse una successione apostolica senza la fedeltà. Positivamente: si tratta di una rinnovata fedeltà quotidiana verso gli apostoli. Con questo noi non intendiamo un fanatismo, ma una genuina obbedienza. Gli apostoli sono morti; quello che resta è la missione apostolica e il servizio apostolico. L'autorità e il potere della Chiesa derivano soltanto dall'obbedienza nei riguardi del Signore della Chiesa e degli apostoli. L'apostolicità è simultaneamente dono e compito. La Chiesa ed ogni singolo devono concordare con la testimonianza apostolica; solo per il tramite della testimonianza apostolica essi ascoltano il loro Signore e il suo messaggio. Una buona tradizione ecclesiastica consiste praticamente soltanto nell'interpretazione, nella spiegazione e applicazione della originaria tradizione apostolica raccolta nella Scrittura. Ma la Chiesa non può mantenersi fedele alla testimonianza apostolica se non attraverso il servizio apostolico nelle sue molteplici forme della predicazione, del battesimo, della comunione di preghiera e di banchetto, della edificazione delle comunità e del servizio per il mondo.
3) All'interno della successione apostolica dell'intera Chiesa esiste una speciale successione apostolica dei molteplici servizi pastorali, in quanto i pastori, senza essere degli apostoli, continuano il compito degli apostoli, cioè la fondazione e la direzione delle Chiese. Ciò significa negativamente: una concezione della successione apostolica svincolata dalla sua attuazione storica, sarebbe una astrazione. La Chiesa non si può considerare unicamente nel suo insieme, ma deve essere vista concretamente nella molteplicità dei suoi ministeri che non hanno tutti di certo lo stesso valore. Positivamente: i ministeri pastorali non hanno la stessa rilevanza di quelli degli apostoli, ma essi proseguono soprattutto il mandato e la missione degli apostoli che è quella di fondare e di guidare le Chiese. Essi non rappresentano uno strato dirigente dotato di un arbitrario potere di comando. Esistono tuttavia una superiorità e una subordinazione, stabilite dallo speciale tipo di servizio.
4) Tra i numerosi doni carismatici per la direzione delle comunità rivolti alla continuazione del mandato apostolico, emersero sempre di più nel tempo post-apostolico i ministeri pastorali dei presbiteri (pastori), degli episkopi (vescovi) e dei diaconi. Questi ministeri erano fondati su una speciale missione (l'imposizione delle mani). Ciò negativamente significa: voler tracciare una linea retta dagli apostoli ai vescovi sarebbe una costruzione aprioristica. Prescindendo completamente dai carismi liberamente sorti e non riducibili a un quadro fin da principio (assistenti, guide, presidenti, incaricati ecc.), dai dati del Nuovo Testamento non è nemmeno possibile ridurre a un sistema i ministeri conferiti (almeno con l'andar del tempo) mediante l'imposizione delle mani, come quelli dei presbiteri, degli episcopi, dei diaconi ecc. La tripartizione degli uffici secondo Ignazio d'Antiochia ha le sue radici nelle origini cristiane, ma tale tripartizione non rappresenta semplicemente l'originale ordinamento e divisione dei servizi o ministeri. Esso è il risultato di un'evoluzione storica molto complessa. E impossibile, dal punto di vista teologico-dogmatico, delimitare reciprocamente le funzioni dei tre ministeri, specialmente quelle del vescovo e del presbitero. E positivamente: la delimitazione dei diversi servizi tra loro dipende sia dallo sviluppo pratico di questi stessi servizi, sia dalla loro opportunità pastorale. Anche accettando completamente la tripartizione dei ministeri ecclesiastici - presbiteri, vescovi, diaconi - come uno sviluppo coerente e un buon ordinamento pratico, non è lecito tuttavia qualificare come delle necessità dogmatiche quelle determinazioni del diritto ecclesiastico che rappresentano tutt'al più soltanto la realizzazione di una possibilità. I ricchi spunti per un ordinamento della Chiesa contenuti nel Nuovo Testamento lasciano aperte parecchie possibilità di realizzazione.
5) I ministeri pastorali considerati come una speciale successione degli apostoli sono contornati nella Chiesa da altri doni e servizi, in particolare dai successori dei profeti e dei dottori neotestamentari, i quali possiedono in collaborazione con i pastori una loro autorità propria e originaria. Ciò significa negativamente: sarebbe una limitazione non conforme alla Bibbia, una canalizzazione e una monopolizzazione del libero carisma nella Chiesa, se si giungesse a una gerocrazia di pastori che si vantano di avere lo spirito in possesso esclusivo e che, appunto per questo, cercano di smorzare lo spirito negli altri. E' contraria al pensiero di Paolo l'assolutizzazione di un ufficio, quando chi ne è rivestito si considera contemporaneamente apostolo, profeta, dottore, e vuoi essere tutto da solo. Positivamente: ogni singolo si trova nella successione apostolica secondo il carisma proprio che gli è stato elargito. Perciò non esiste soltanto una speciale successione degli apostoli nei diversi servizi pastorali. Al secondo posto dell'elencazione di Paolo esiste la successione dei profeti, nei quali lo Spirito prende direttamente la parola e che, nella coscienza della loro vocazione e responsabilità, in particolari situazioni della Chiesa illuminano la strada da percorrere nel presente e nel futuro. Ed esiste pure - al terzo posto, secondo Paolo - la successione dei dottori, dei teologi, che si assumono lo sforzo senza fine di cercare la genuina tradizione e l'esatta interpretazione del messaggio originario, al fine di tradurre nuovamente il messaggio di allora nel presente della Chiesa e del mondo.
6) La successione apostolica dei pastori mediante l'imposizione delle mani non si verifica automaticamente né meccanicamente. Essa presuppone ed esige la fede che opera nello spirito apostolico. Essa non esclude la possibilità di deviazione e di errore, e pertanto abbisogna di una verifica da parte della totalità dei credenti. Ciò significa negativamente: ogni meccanismo successorio di una gerarchia di uffici, il quale faccia astrazione dalla realtà propria degli uomini, come pure dalla grazia di Dio sempre necessaria e dalla sempre rinnovata esigenza di fede e di vita, non può richiamarsi al Nuovo Testamento. Il potere della comunità, cioè del sacerdozio generale, non può essere semplicemente dedotto dal servizio pastorale. Sarebbe questa una clericalizzazione della comunità che non corrisponderebbe alla visione biblica, in quanto isolerebbe il ministero pastorale dal sacerdozio comune e lo renderebbe assoluto nella sua successione. Inversamente, anche l'autorità del ministero pastorale non può venir derivata semplicemente dal potere della comunità e dal sacerdozio comune. Questa sarebbe infatti una secolarizzazione della comunità, aliena essa pure dalla Bibbia, poiché tenderebbe a livellare il servizio pastorale al sacerdozio generale. Ciò significa positivamente: la compenetrazione e la distinzione tra ministero pastorale e comunità è un dato importante. Sullo sfondo del sacerdozio comune si deve considerare la vocazione speciale ad un servizio pubblico verso la comunità come tale, conferito mediante l'imposizione delle mani, cioè l'ordinazione. Così si deve distinguere tra la facoltà di ogni singolo cristiano e la speciale autorità di alcuni per il servizio pubblico della comunità in quanto tale. Tutti i cristiani sono abilitati all'annuncio della parola, alla testimonianza di fede nella comunità e davanti al mondo, alla 'missione'. Ma soltanto i pastori chiamati (o i loro incaricati) hanno lo speciale potere di predicare nella comunità radunata. Tutti i cristiani sono abilitati ad annunciare il perdono nei riguardi del fratello che si trova in difficoltà di coscienza. Ma soltanto i pastori chiamati a tale ufficio hanno l'autorità particolare di pronunciare la parola della riconciliazione e dell'assoluzione nell'assemblea della comunità, sia verso la comunità come tale, sia verso il singolo. Tutti i cristiani sono abilitati alla celebrazione comune del battesimo e della cena del Signore. Ma soltanto i pastori chiamati hanno il potere speciale di amministrare il battesimo nella riunione pubblica della comunità e di presiedere responsabilmente alla cena del Signore compiuta nella comunità.
7) La successione apostolica dei pastori deve verificarsi in una comunità che pratichi il reciproco servizio per la Chiesa e il mondo. Secondo la concezione della Chiesa espressa nel Nuovo Testamento, l'ingresso nella successione apostolica dei servizi pastorali dovrebbe normalmente avvenire mediante una cooperazione tra pastori e comunità, possibile nelle forme più varie. Ciò significa negativamente: è una falsa concezione del servizio ecclesiastico quella che vede l'obbedienza e la subordinazione soltanto in una direzione. Gli uffici ecclesiastici esistono per le comunità e non le comunità per gli uffici. Un regime ecclesiale assolutistico tanto sul piano della Chiesa universale, quanto sul piano della diocesi o della parrocchia - contraddice il vangelo. Positivamente invece: i ministeri pastorali, a causa della speciale missione con la quale essi si presentano davanti alla comunità, possiedono un'autorità superiore. Perciò il pastore deve documentare fin dal primo inizio il suo potere di fronte alla comunità e viene legittimato come colui che è pienamente autorizzato ad esercitare questo servizio in forma particolare per gli atti pubblici della comunità. Certamente la comunità non è dispensata dal dovere di esaminare se il pastore agisca fedelmente secondo il vangelo e il suo mandato. La speciale autorità confidatagli esige da lui un'attuazione quotidianamente nuova e ubbidiente della stessa autorità. Così, nonostante ogni giustificata autonomia relativa dei pastori (vescovo o parroco), la designazione dei pastori nella Chiesa deve attuarsi fondamentalmente nella collaborazione tra quelli che sono già pastori e la comunità. Ma pur prescindendo dalla designazione dei pastori, anche se i pastori nella guida della comunità detengono una responsabilità autonoma, della quale essi hanno bisogno per esercitare il loro servizio direttivo, tuttavia la comunità, in ragione del suo regale sacerdozio, deve avere un diritto di consultazione in tutte le questioni riguardanti la comunità stessa. Questo diritto può esprimersi in forme diverse, o direttamente da parte della comunità, oppure attraverso un organo rappresentativo. Ciò risponde all'effato giuridico frequentemente citato nella tradizione ecclesiastica: "Quello che riguarda tutti, dev'essere anche trattato da tutti".
8) Partendo dalla costituzione paolina oppure gentile-cristiana della Chiesa, si devono lasciare aperte anche altre vie per il ministero pastorale e la successione apostolica dei pastori. La struttura presbiterale-episcopale della Chiesa, che con diritto si è affermata praticamente nella Chiesa, deve restare anche oggi fondamentalmente aperta a tutte quelle possibilità che si sono verificate nella Chiesa neotestamentaria. Ciò significa negativamente: non si può assolutizzare l'ordinamento degli uffici che si è manifestato soprattutto attraverso la tradizione palestinese. Lo sviluppo che ha portato alla struttura attuale degli uffici si è verificato sostanzialmente in tre fasi: a) Gli episcopi (o i presbiteri-episcopi) si sono affermati come le guide direttive e, in seguito, uniche della comunità nei confronti dei profeti, dei dottori e degli altri ministeri carismatici. b) Di fronte alla pluralità degli episcopi (presbiteri-episcopi) in una comunità si costituisce l'episcopato monarchico. c) Dagli episcopi quali presidenti di una singola comunità si formano i dirigenti dei distretti ecclesiastici (diocesi).
Questo sviluppo appena schematicamente abbozzato non può essere considerato illegittimo a priori.
La giustificazione di un preciso nuovo ordinamento non può venire semplicemente dimostrata mediante gli argomenti della fatticità storica o dell'abuso (dei carismi).
Essa deriva piuttosto dalla distinzione decisiva tra la fase delle origini e la fase susseguente, tra il tempo apostolico della fondazione e il tempo post-apostolico della costruzione e della sistemazione. Dal punto di vista positivo: un'esposizione della struttura paolina della Chiesa può indicare come sia possibile un ordinamento carismatico della comunità senza uno speciale insediamento in un ministero (ordinazione), come, ad esempio, in Corinto dove non si notano né episcopi né presbiteri né ordinazioni, bensì, prescindendo dall'apostolo, soltanto dei carismi che si manifestano liberamente.
Tuttavia secondo Paolo la Chiesa di Corinto era una comunità munita di tutto il necessario, completamente dotata dell'annuncio della parola, del battesimo, della cena del Signore e di tutti i ministeri.
Esistono però degli accenni per rilevare come anche nelle comunità paoline si trovassero relativamente presto degli episcopi e dei diaconi e, secondo Paolo, anche dei presbiteri insediati, di modo che l'ordinamento presbiterale-episcopale si è imposto generalmente nella Chiesa.
Tuttavia la struttura ecclesiastica paolina non può venire esclusa per principio dalla Chiesa dei secoli posteriori. Quanto poco quella struttura può costituire oggi il caso normale, tanto maggiormente essa può avere anche oggi valore per una situazione straordinaria in campo di missione e specialmente nel campo ecumenico.
Le nostre tesi si trasformano così in problemi i quali oggi più che mai necessitano di discussione: la Chiesa attuale vorrebbe o potrebbe impedire che in qualche luogo - in un campo di concentramento, in una remota prigionia senza via di uscita, in una situazione missionaria eccezionale (ad es., nella Cina comunista; anche i cristiani del Giappone dovettero vivere per dei secoli senza pastori ordinati) - si verifichi ancora una volta quello che è avvenuto a Corinto e in altre comunità paoline, e cioè che attraverso la libertà dello Spirito di Dio si manifesti nuovamente il carisma del dono di governo? Partendo dal presupposto del sacerdozio generale e della struttura carismatica della Chiesa, la speciale successione apostolica garantita dalla serie di imposizioni delle mani (che si deve affermare senz'altro come il caso normale) si dovrebbe considerare in forma tanto esclusiva come l'unica via per il ministero pastorale e per la speciale successione apostolica? La serie delle ordinazioni per imposizione delle mani non sarebbe anche in tal caso, se essa non viene intesa in questo senso esclusivo, un segno espressivo della successione apostolica dei servizi pastorali e, pertanto, dell'unità, cattolicità, apostolicità della Chiesa? Su questa base non si avrebbe anche lo Spunto per giudicare in altra luce, cioè più positivamente, la successione apostolica e la validità della celebrazione eucaristica di quelle Chiese che non rientrano in questa serie di ordinazioni? In tal modo non si presenterebbero sotto una nuova prospettiva questioni come quella dell'ordinazione della donna o quella delle ordinazioni anglicane?
E' d'altronde possibile giustificare diversamente la pienezza di vita spirituale e l'efficace attività dei pastori, degli uomini e donne delle altre Chiese che non sono la Chiesa cattolica? E possibile diversamente superare le divisioni della cristianità e giungere a un reciproco riconoscimento? Ognuno può facilmente costatare la portata enorme di questi problemi dal punto di vista teologico e, in special modo, ecumenico.


(
traduzione dal tedesco di
GIANNI CAPRA)



(*) HANS KÜNG
E' nato il 19 marzo 1928 In Svizzera, fu ordinato nel 1954. Ha compiuto gli studi alla Gregoriana, all'Institut Catholique di Parigi e alla Sorbona. Licenziato in filosofia e dottore in teologia (1957) è professore di teologia dogmatica ed ecumenica all'Università di Tubinga; è anche direttore dell'Istituto di teologia ecumenica nella stessa Università.
Fra le sue pubblicazioni ricordiamo: La giustificazione e La Chiesa (Queriniana). Dirige una serie di Meditazioni teologiche. Collabora al Dizionario teologico e al nuovo corso di teologia dogmatica Mysterium salutis. E direttore associato di Journal of Ecumenical Studies (Pittsburg, U.S.A.) e di Tùbinger Theologische Quartalschrift. Membro del comitato internazionale di direzione della rivista Concilium, ne dirige la sezione 'Ecumenismo'.


       Ikthys