VINO NUOVO
IN OTRI NUOVI

(di FERNANDO ARMELLINI)


I vangeli presentano spesso Gesù nel Tempio, intento a insegnare e a interrogare.
Sceglie le strutture della religione giudaica per il suo messaggio.
Come a Cana, all'acqua delle purificazioni sostituisce il vino della festa.
E il rapporto con Dio ritrova la sua prima dimensione: la gioia.



I
l libro degli Atti ci informa che "anche un gran numero di sacerdoti aderiva alla fede" (At 6,7). Questi, abituati alle grandiose cerimonie ed alle sfarzose liturgie del tempio, non possono che sentire una profonda delusione di fronte alla pochezza delle manifestazioni esteriori della fede che hanno abbracciato. Che sacerdozio è mai quello di Cristo - si chiedono se egli "appartiene ad una tribù differente (da quella di Levi). E' cosa risaputa che nostro Signore nacque da Giuda e di questa tribù Mosè non parlò mai trattando del sacerdozio" (Eb 7,13-14)? Come può essere vera una religione che prescinde dal sacerdozio di Aronne con il quale Dio ha stipulato un patto eterno (Sir 45,7-9)? La nuova comunità alla quale hanno aderito presenta caratteristiche atipiche rispetto alle "religioni"). Essa si definisce piuttosto un hodòs, un cammino che porta alla salvezza. Per questa ragione i cristiani verranno, per lungo tempo, considerati degli atei (Giustino, Apol. 1,6,1).
Siamo di fronte ad un cambiamento di prospettiva sconcertante sia per i Giudei che per i pagani. Come spiegarlo? Non possiamo che rifarci al comportamento ed alle parole di Gesù di Nazareth.
All'inizio della sua vita pubblica egli si presenta come un ebreo rispettoso delle istituzioni religiose del suo popolo: osserva il sabato, frequenta regolarmente la sinagoga dove, con i fratelli, proclama la professione di fede nel Dio d'Israele, prega. ascolta la parola delle Scritture e le spiegazioni che ne danno i rabbini. Partecipa alle feste tradizionali: lo troviamo a Gerusalemme per la Pasqua, per la festa delle Capanne, per la Dedicazione del tempio.
Nello stesso tempo però egli è un uomo libero. Annuncia un nuovo volto di Dio, non più quello del legislatore severo, ma, nella linea dei profeti, quello del padre e dello sposo. Per lui la salvezza non viene raggiunta mediante l'esatta esecuzione di riti, cerimonie purificatorie, pratiche esteriori sulle quali tanto amavano disquisire i rabbini, ma mediante la fede: l'uomo si sente amato di un amore sponsale ed è spinto a rispondere con un amore altrettanto fedele. Le parole con cui Gesù si presenta in Galilea sono: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo" (Mc 1,15). Egli non chiede l'osservanza della legge di Mosè e della tradizione degli antichi, ma solo l'adesione al suo Vangelo.
Un atteggiamento singolare il suo, certo, ma come spiegare la posizione di rottura assunta in seguito dai suoi discepoli nei confronti della religione giudaica? Paolo ne descriverà gli elementi costitutivi definendoli: "carcere", "infanzia", "rudimenti senza efficacia né contenuto" (Gal 3,23-24; 4,1-2.9), "precetti e insegnamenti umani senza alcun valore" (Col 2,22-23).
Vediamo allora in dettaglio come Gesù si è rapportato alla religione del suo popolo e cerchiamo di trarne qualche conclusione.

Gesù e il tempio

lì termine greco témenos (tempio) deriva dal verbo temno (tagliare) ed indica i luoghi "ritagliati" dal mondo profano e riservati alla divinità. Solo in questi ambienti sacri si riteneva fosse possibile entrare in contatto con il mondo soprannaturale.
Agli inizi della sua storia Israele non conosce queste delimitazioni: i patriarchi offrono sacrifici ovunque. Stefano ne darà la ragione: "l'Altissimo non abita in costruzioni fatte da mano d'uomo" (At 7,48). In seguito però, venuto a contatto con i Cananei e sedotto dai loro culti della fertilità, anche Israele finisce per adeguarsi ai comportamenti religiosi degli altri popoli e costruisce un santuario al suo Dio.
I vangeli ci presentano spesso Gesù nel tempio, soprattutto in occasione delle grandi feste. È' lì che egli insegna, discute, difende l'adultera, osserva il comportamento dei farisei e della vedova, ma non compare mai nelle cerimonie e nei sacrifici. I profeti hanno duramente condannato l'ipocrisia dei riti (Is 1,10-17; Ger 7,1-11), ma Gesù va oltre: denuncia lo stesso culto giudaico.
Tutti gli evangelisti chiariscono il significato del suo intervento purificatore del luogo santo richiamando un testo della Scrittura. I sinottici riportano una citazione di lsaia, riferita per esteso solo da Marco: "La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti" (Mc 11,17). E l'affermazione esplicita del superamento del particolarismo giudaico che aveva la sua massima espressione, appunto, negli atri interni del tempio preclusi ai pagani, alle donne, ai peccatori, alle persone impure.
In Giovanni, invece, Gesù parafrasa un versetto di Zaccaria: "Non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato" e continua: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere" L'evangelista commenta: "Egli parlava del tempio del suo corpo" (Gv 2,16-21).
Qui è chiaro che il gesto di Gesù non può essere ridotto ad una semplice correzione degli abusi, ma è l'annuncio della scomparsa del tempio considerato come garanzia della presenza di Dio e della salvezza. L'incontro dell'uomo con Dio non avverrà più in un luogo particolare ma in un nuovo tempio: il corpo di Cristo risorto.
Parlando con la samaritana Gesù chiarirà la sua affermazione: "È giunto il momento . dirà - in cui né su questo monte né in Gerusalemme adorerete il Padre... I veri adoratori adoreranno il Padre in spjrito e verità" (Gv 4,21-23).
La drammatica scena dello squarciarsi del velo del tempio (Mt 27,51) segnerà la fine di tutti gli spazi "sacri". È la solenne dichiarazione di Dio (che si è concluso il tempo della separazione fra il fanum e il profanum. Ovunque si trovi, chi è in comunione con Cristo è unito a Dio e può offrire al Padre il culto in spirito e verità, l'unico del quale egli si compiaccia (Gv 4,23-24). Il nuovo "luogo sacro" sarà la comunità cristiana, tempio fatto di "pietre vive" (1 Pt 2,5).

Il culto cristiano

A questo punto è necessario chiarire il nuovo concetto di culto introdotto da Gesù.
Cominciamo con un osservazione di ordine filologico. Nel NT ricorrono i termini usati per designare le azioni "religiose": si parla di liturgia (Ieitourgìa), di sacrificio (thusìa), di culto (latreia), di oggetti sacri (skeùe tes leitourgias). Ciò che sorprende però è il fatto che, quando questi termini vengono impiegati per le istituzioni religiose giudaica o pagana, essi mantengono il loro significato immediato: si riferiscono all'esecuzione di certi riti. Quando invece sono applicati ai cristiani cambiano significato: non indicano cerimonie speciali, ma la vita che il cristiano dona ai fratelli. C'è una sola, curiosa eccezione: At 13,2 dove però sembra si tratti una celebrazione ancora di stile giudaico.
Ecco un testo: "Vi esorto dunque, fratelli, per questa tenerezza di Dio, ad offrire la vostra stessa esistenza come sacrificio vivo, consacrato e gradito a Dio; è questo il vostro culto autentico" (Rm 12,1). Il culto cristiano dunque non occupa solo un settore dell'esistenza, non si svolge in un luogo riservato al sacro, non si esercita mediante riti, ma con la stessa vita. È questa vita di amore che poi viene celebrata quando nell'Eucaristia si fa memoria di Lui (1°Cor 11,24-25).

Gesù e i tempi sacri

Come ci sono luoghi privilegiati per l'incontro con la divinità, così ci sono anche, in tutte le religioni, tempi favorevoli, giorni speciali. Il sabato e le feste annuali ebraiche sono l'espressione di questa mentalità. Gesù li rispetta, ma li supera. Quando questi tempi divengono un impedimento all'amore per l'uomo - dice - essi perdono il loro valore: "il sabato fu fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato; cosicché l'uomo è signore anche del sabato" (Mc 2,27-28). lì culto cristiano dell'amore all'uomo non accetta limiti di calendari. Il fico conosce la stagione dei frutti e quella delle foglie, il discepolo invece deve sempre essere pronto a presentare a Cristo le opere dell'amore (Mc 11,13).
Paolo esprimerà questo superamento dei tempi sacri quando dirà ai Galati: "Rispettate certi giorni, mesi, stagioni e anni; mi fate temere che le mie fatiche per voi siano state inutili" (Gal 4,10-11).
I cristiani si riuniranno nel "giorno del Signore", non perché lo considerano l'unico "tempo santo", ma perché l'hanno scelto per celebrare la sacralità di ogni momento della loro vita unita a Cristo.

Gesù e le persone sacre

Di fronte al Dio tre volte santo (Is 6,3), l'uomo non può che ripetere: "sono polvere e cenere" (Gn 18,27). Tuttavia anche in Israele, come presso tutti gli altri popoli, alcune persone sono ritenute "sante" perché consacrate al servizio del Signore: i nazirei (Nm 6,5-8), i sacerdoti che nel tempio vivono in stretto contatto con Dio (Ez 28,36; 30,30), i leviti (Nm 16,5-7) e, soprattutto, il sommo sacerdote (Sir 45,24ss.).
Gesù non riconosce queste "caste". Per lui gli uomini sono tutti fratelli (Mt 24,8) e ugualmente sacri (Mt 25,31-46). Se a qualcuno devono essere riservati maggiori attenzioni e maggior rispetto, questi deve essere il piccolo, il povero, l'indifeso (Mc 9,33-37).

Gesù e gli oggetti sacri

Ancora oggi noi sentiamo che un qualcosa di numinoso avvolge gli oggetti in qualche modo relazionati con il sacro: le chiese, gli altari, ma anche le semplici immagini. Ricordando che la fame dell'uomo è superiore alla sacralità dei pani della proposizione (Mc 2,26) Gesù demitizza anche la santità degli oggetti. Per lui le cose non hanno alcuna sacralità intrinseca e permanente. Meritano rispetto fintanto che servono ad esprimere la relazione dell'uomo con Dio, poi ritornano alla loro funzione normale e comune.

Gesù e i riti di purificazione

Quando il rapporto dell'uomo con Dio è visto come quello del suddito di fronte al sovrano, nasce la religione della paura. L'uomo vive in perenne stato di angoscia, si sente incapace di evitare le colpe e pensa che ogni trasgressione possa scatenare l'ira della divinità e provocarne i castighi. Per questo inventa riti di purificazione ai quali ricorre in modo più o meno ossessivo.
Gesù rifiuta le pratiche di purificazione della religione giudaica perché incompatibili con il volto di Dio che egli rivela (Mc 7,1-23).

Una nuova religione?

L'atteggiamento assunto da Gesù di fronte alla religione è forse un invito a porre fine a qualunque pratica religiosa?
Noi uomini abbiamo bisogno di manifestare esteriormente i nostri sentimenti, i nostri affetti, le nostre emozioni, le nostre convinzioni. Abbiamo bisogno di proclamare ad alta voce e di celebrare ciò in cui crediamo se non vogliamo vedere la nostra fede indebolirsi tino a perdersi. Gesù è venuto incontro a questo nostro bisogno. Ha istituito l'Eucaristia che i suoi discepoli hanno imparato a celebrare ogni otto giorni, non su altari, ma su un tavolo collocato in mezzo all'assemblea dopo la celebrazione della Parola. Venne chiamata: lo spezzar del pane, un'espressione ebraica che significa semplicemente mangiare insieme, condividere. È il segno massimo del nuovo rapporto di Dio con l'uomo e degli uomini fra di loro. Una realtà grande, ineffabile, tradotta in un segno povero e umile, come povero e inadeguato si rivela ogni nostro linguaggio quando tenta di raccontare qualcosa del mondo di Dio. Oltre al pasto sacro, Gesù ha ripreso altri segni comuni a tutte o a molte religioni: l'acqua, l'incontro comunitario, l'imposizione delle mani, l'unzione, i libri santi... e li ha riempiti di un contenuto nuovo, quello della fede.

(Fernando Armellini, in Evangelizzare, periodico cattolico)


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