Battaglia dei Ponti della Valle di Maddaloni

 1° Ottobre 1860

Il 30 settembre Garibaldi comunicava dalla Reggia di Caserta di stare all’erta: «La nostra linea di battaglia è difettosissima per irregolarità del terreno e per troppa estensione. In un rapido sopralluogo a Maddaloni, nella stessa domenica 30 settembre, riceveva da Bixio in persona le assicurazione che, essendo lui vivo, nessuno sarebbe passato per i Ponti della Valle, quartier generale Villa Gualtieri. Aveva schierato la brigata Eberhardt sul versante di Longano, all’acquedotto e al mulino, la brigata Dezza lungo le pendici del Monte Caro, in vista di Valle e la brigata Spinazzi al centro e lungo le falde di S. Michele, dirimpetto agli archi del Vanvitelli con due cannoni, appostati dietro il muretto della via Sannitica al Longano; un totale di 5600 uomini e sei cannoni, compresa la colonna salernitana del Fabrizi, di riserva alla fontana del Salvatore.

Il lunedi 1° ottobre 1860, nella nebbia del giorno ancora non fatto, tutto il fronte fino a S. Angelo in Formis subì una prima offensiva borbonica. Da Santa Maria e da S. Tammaro il fragore delle batterie echeggiava per tutta Terra di Lavoro ed alle prime luci dell’alba le operazioni di guerra erano già in corso, mentre i mercenari bavaresi e le truppe svizzere del generale Giovanni Luca Von Meckel, per Amorosi, Limatola e per località Cantinella, solo a giorno fatto, erano alla vista dei Ponti della Valle di Maddaloni. Sulla collina di S. Michele, dove più volte s’era recato in pellegrinaggio re Ferdinando, era una staffetta, per segnalare l’evoluzione della battaglia. Non prima delle otto del mattino Von Meckel lanciò un violento assalto, concentrando il fuoco di Otto cannoni in batteria sulla strada. La Eberhardt non tenne, battuta dall’artiglieria del capitano Tabacchi ed incalzata dal battaglione del maggiore Veilland si sbandò, i fuggiaschi ripiegarono fino a Maddaloni, anche il centro subì un parziale sfondamento ed uno dei cannoni fu preso. Il francese Maxime Du Camp, cronista di guerra, scriveva nella sua “Expédition des deux Sicilies” «Le régiment qui servait de grand garde à Ponte della valle et que commandait le colonel Dunyov fut d&imé» . Von Meckel era informato che suo figlio Emil, tenente dei dragoni, era morto sull’acquedotto con una palla in fronte. Recatosi sul posto, con la spada sguainata,gli rendeva l’ultimo onore, gridando «Vive le roi!». L’impeto borbonico allora si fece più incalzante, un battaglione borbonico, con una sezione d’artiglieria diretta dall’alfiere Dusmet, metteva in fuga anche la brigata Dezza, sebbene formata da uomini scelti cioè dal Dezza stesso, dal Menotti, dal Taddei, dal Meneghetti dal maggiore medico Boldrini di Mantova, che ferito in pieno petto, rifiutò ogni aiuto per non essere di peso. Quando più tardi i Garibaldini ritornarono alla baionetta, il Boldrini fu ritrovato morente a fondo valle, trascinatovi dai Bavaresi a testa in giù. Cadevano feriti Stefano Dunyov e Achille Maiocchi, le cui immagini si conservano in una fotografia all’archivio comunale di Maddaloni, l’uno mutilato della gamba, il secondo del braccio. Cadde morto il giovane napoletano Achille De Martino, capitano di artiglieria, gridando «Fratelli italiani, non tradite Garibaldi!», così come fra Pantaleo, uno dei mille, ricordò nella orazione funebre .

Alle nove del mattino le sorti della battaglia erano a favore dei Borboni; fu allora che Bixio agì con determinatezza, facendo confluire la colonna Fabrizi e la brigata Spinazzi con i fuggitivi e chiedendo aiuto al Comando generale di Caserta. Nella prima e seconda compagnia del primo battaglione, mandate dal generale Stefano Tùrr in aiuto di Bixio, c’era G.C. Abba, che scriveva nelle sue noterelle «Guai se il nemico si caccia tra Villa Gualtieri e Caserta... oggi può rimorire l’Italia» ed ancora, giunto a vista della battaglia, giù giù per i pendii a sinistra, sul gran ponte, sotto e oltre, un formicolio di rosso fra nembi di fumo e delle grida che parevano centomila». Bixio ordinò un nuovo fronte lungo il versante della collina di S. Michele e del Monte Caro, il cui centro era appunto Villa Gualtieri, oggi Villa Quarto. Continui assalti alla baionetta per più ore contennero l’avanzata borbonica. A tarda mattina il colonnello Taddei era in cima al Monte Caro, precedendo i Bavaresi che cercavano di collocarvi un cannone: agitava il cappello infilato in alto sulla punta della spada. Le pallottole gli fischiavano ai lati, ma egli sembrava non curarsene. Un fremito corse per tutte le truppe, mentre il colonnello Sclavo combatteva a mezza costa. Al muricciolo di contenimento alla via Longano, trasversale ai Ponti, i picciotti, all’ordine di Bixio, irrompevano in un sanguinoso corpo a corpo. Tra i primi c’era Menotti, il giovane figlio di Garibaldi, e, dietro di lui, il fido tenente Francesco Grandi. «Di dove eravamo noi dominava lo spettacolo e si capiva che l’anima di tutta quella massa eroica di picciotti era l’anima di Bixio», scriveva nelle sue memorie il colonnelo Sclavo. Poco dopo mezzogiorno Von Meckel lasciava il campo e ripiegava inseguito verso Dugenta, recuperata a stento la batteria di cannoni dalla strada. Alle ore quattordici la battaglia era totalmente finita; i pendii dei ponti della Valle, rossi di sangue, restavano seminati di cadaveri: il capitano Appel, figlio di un generale austriaco, Luigi Fogliati di Villanova, Evasio Innocenzo, Stella di Alfiero di Vicenza, Carlo Pietro Traversi di Paimevit genovese, Quirico Traverso di S. Quirico di Polcevara, Antonio Trucco, Paolo Emilio Evangelisti e Luigi Carbone di Genova, ai quali si aggiungevano anche diversi feriti, morti dopo qualche giorno, come Antonio Costi e Giovanni Sagiotti, entrambi di Vicenza.

«Maddaloni è, per chi vuol sapere, un nome che ricorda un fatto decisivo per l’unità d’Italia» ebbe in seguito a dire il Bixio, lasciando la sua spada nella sede comunale stessa della città e tuttora conservata nella stanza del sindaco, insieme a un vessillo che rappresenta il Vesuvio. Garibaldi, affacciandosi da un piccolo balcone dell’ex palazzo vescovile, nella piazza che fu detta dell’Unione, pronunziò, dopo quella battaglia, alcune parole che una lapide ancora oggi detta: «Uno sii di fede e di armi, o popolo, uno. di patria e di leggi... ».

E’ difficile sottrarsi, ancora oggi, al fascino di questa epopea, e all’incanto dell’eroica giovinezza che non poco determinò le successive sorti dell’Italia.

Il 1° dicembre 1889, usciva a Maddaloni anche il giornale “Il pungolo campano” della tipografia Aniello Eugenio, al prezzo di cinque centesimi. L’articolo di fondo del numero 2 di tale giornale ci riporta all’attualità di quel periodo:

“Come annunziammo, la festa ebbe luogo ai Ponti della valle, all’ora da noi indicata, col più perfetto ordine che si fosse mai potuto desiderare. Alla stazione si recò il sindaco, cav. Tammaro, con gli assessori, varie associazioni e la musica comunale, per ricevere i superstiti di Na poli, capitanati dall’egr. sig. Migliorini, i rappresentanti dei vari municipi e di molte altre associazioni, partecipanti alla patriottica inaugurazione e lo scultore Enrico Mossuti. Al suono dell’inno sabaudo e di quello garibaldino, il corteo mosse dalla stazione della ferrovia dirigendosi verso il sito, dove tanti ricordi di eroismo e di sacrifici, affidati alla veridicità della non sempre fedele storia, si celebrava in quell’ora solenne, nel modo seguente: Sindaco e Giunta di Maddaloni, con la bandiera cittadina; Circolo sabaudo ed Ettore Fieramosca di Capua; Società litografica di Napoli, Associazione operaia; Agricola Vittorio Emanuele; Agricola Montedecoro; Agricola di Maddaloni; Comitato dei veterani del Quarantotto; i Garibaldini; Associazione dei superstiti delle patrie battaglie; l’assessòre Raffaele rappresentava il Municipio di Napoli; i consiglieri Verzillo e Casertano rappresentavano quello di Capua; vi erano l’onorevole Teti, il sindaco di S. Maria C. V, cav. Matarazzo. Tutta la ufficialità del Settimo bersaglieri e Vincenzo Farina, l’unico superstite garibaldino di Maddaloni. Giunto ai Ponti della Valle, con gentile pensiero, andò a deporre una corona commemorativa sulla lapide ricordante l’eroico capitano De Martino, riportiamo anche l’epigrafe per non mancare al nostro dovere di cronisti “Il 1° ottobre duce Nino Bixio in questa valle Achille De Martino capitano dei volontari contro nugoli di mercenari bavaresi adoperò, difese e conservò due cannoni morendo col grido Italia e Garibaldi, testimoni di tanta virtù i superstiti e la storia MDCCCLXXXVIII”. Quindi passò ad inaugurare l’ossario sul quale dovrà sorgere il monumento, opera eccellente dello scultore Enrico Mossuti e dove il sindaco depose la prima pietra. La folla silenziosa assisteva con evidente soddisfazione alla commovente cerimonia. Tutto procedette regolarmente. I discorsi. Il sindaco pigliò primo la parola, ringraziando gli intervenuti e brevemente riassunse lo scopo dell’avvenimento. Il discorso del sindaco che fu applaudito si chiuse così: Un grido intanto erompe dai nostri petti e questo grido sia la sintesi della nostra nazionale epopea. Viva la memoria degli eroi italiani! Viva l’ Italia! Viva il Re! Si lessero quindi molte adesioni di persone autorevoli ed un telegramma del prefetto Correale, col quale l’onorevole rappresentante della nostra provincia si scusava di non aver potuto presenziare al mesto e doveroso pellegrinaggio. Ebbe poi la parola il comm. Raffaele, il quale con dizione calda e incisiva ricordò le gloriose gesta dei caduti e portò il saluto di Napoli alla storica valle. Il comm. Raffaele fu calorosamente applaudito. Parlarono poi il consigliere Casertano, questi meritatamente applaudito, lo studente Ricciardi pel Liceo di Caserta”

Alla celebrazione ancora più solenne del 1899 venne invitato anche il re Umberto. Questi, al momento impossibilitato, si riservò di visitare il teatro della famosa battaglia quanto prima: la promessa, però, sarebbe restata inadempiuta per il regicidio di Monza, qualche mese dopo, per mano di Gaetano Bresci. E così, per la città di Maddaloni, non poté realizzarsi l’aspirazione di ricevere Umberto I, il re “buono”, mitizzato dalla tradizione popolare già nel 1884, quando. sprezzante del pericolo, si era aggirato tra i colerosi di Napoli, proprio mentre il morbo maggiormente infuriava.

Così a Maddaloni venne compiuto il monumento-ossario dei Garibaldini ai Ponti della Valle, realizzato con il contributo di molte città di Terra di Lavoro e di altre regioni d’Italia: offrirono, ad esempio, Caserta 350 lire. S. Nicola la Strada 25, Cervino 20, Casapulla 10 e Cagliari 50, Catania 150, Rovigo 50, Ostia 3, Caivano 50, Terni 50 e ci fu anche il contributo di sottoscrizioni private: l’onorevole Leonetti offrì, ad esempio, 100 lire e l’onorevole Rosano 50. L’opera, portata a termine in dieci anni, lasciò in passivo l’Amministrazione comunale di Maddaloni: vi avevano lavorato Enrico Mossuti per il progetto, Alessandro Martuccio per la scalpellatura, le imprese del cav. La Torre e del cav. Cozzolino, il professore Luigi Briganti, che curò un album commemorativo, stampato in 5000 copie, con gli articoli di Giovanni Bovio, di Alfonso Ruggiero e di Antonio Laurenzana, ed ancora la ditta La Morte per fornitura e messa in opera di cancelli, il prof. Girosi per una pergamena artistica e il “pittore Giannini” per le attintature. Così per tutta l’età post-unitaria, e anche oltre, i Ponti della Valle furono occasione e sede di celebrazioni e, qui, la città di Maddaloni potè vantare il suo “ spazio sacro” dove celebrare il culto della patria.

 

Testo ricavato dal libro:" Maddaloni nella storia di Terra di Lavoro " - Pietro Vuolo Maddaloni 2005

 

 

HOME