Breve storia del Castello di Maddaloni

 L’edificio è situato a 170 metri sul livello del mare, ha una forma irregolare e nel corso degli anni ha subito molte trasformazioni, che si possono notare ancora oggi.

Tito Livio, narrando le vicende di Roma del 541, nel libro “ Historae ”, nominò i nostri luoghi affermando che Annibale, mentre era impegnato a combattere in Puglia, ebbe la notizia che la sua Capua era stata assediata dai romani ed (egli), invece di continuare a lottare per la presa di Taranto, diede ordine ai suoi uomini di rientrare in Campania. Durante il cammino si trovò in una valle occulta dietro il monte Tifata, vicino Capua, vide il castel Galazia e decise di  occuparlo con la forza. Da lì corse per cacciare i romani da Capua.

Maggiori informazioni, invece, si hanno in periodo normanno, al quale si fa risalire l’edificazione del castello, che diventa luogo strategico per la conquista del ducato di Napoli da parte di Ruggero II. Con Federico II fu di nuovo al centro di vicende storiche importanti; nel 1230, a seguito della pace di Ceprano, fu dato in pegno al papa Gregorio IX. Re Ludovigo d’Ungheria venne in Italia con sedicimila uomini per vendicare la morte del fratello Andrea, ucciso la notte del 18 settembre 1345, all’età di diciannove anni. Si fermò al Castello di Maddaloni, che occupò per fronteggiare meglio re Luigi, che stava a Capua e che aveva sposato Giovanna, moglie del giovane Andrea ucciso dalla congiura. Il Castello di Maddaloni  ospitò il re Luigi di Taranto nel 1353, quando di persona volle affrontare il ribelle conte di Caserta, Francesco della Ratta. Un altro re dimorò nel castello, Luigi d’Angiò che, alla morte della regina Giovanna, varcata la frontiera, cavalcò verso Maddaloni e vi si acquartierò (14/10/1382). Chiunque giunga a Maddaloni, proveniente da qualsiasi direzione, è colpito da una “gran torre”, che cattura l’attenzione dello spettatore, offrendogli la sua magnificenza, la sua potenza, il suo slancio e il suo dominio su tutto il territorio circostante. Lo stesso De Sivo affermava che di questa maestosa opera non ci sono documenti scritti o progetti che ci possano dare la data precisa della sua costruzione ma, guardando le caratteristiche della sua architettura, si può dedurre che sia stata eretta nel quattordicesimo secolo. La torre Artus è posta a 170 m sul livello del mare, una volta era a guardia della via Appia per Benevento, controllava anche l’accesso alla Valle Caudina e dominava ampia parte della pianura tra Capua e Nola.

La torre Artus, ancora oggi possente, presenta una lunga spaccatura verticale sul lato sud e sul lato nord e sembra che stia quasi per aprirsi  (forse colpita da qualche fulmine nei secoli scorsi, come scrive il Volpicella nel suo saggio), che la rende più vecchia e offesa nella sua dignità dall’incuria degli uomini e dall’azione degli agenti atmosferici. Invece, la torre longobarda (o castelluccia) si trova isolata su un monte, a quota 250 metri sul livello del mare, si affaccia sulla valle sannitica ed è formata da una torre cilindrica a base scarpata e da due cinta di mura concentriche. Carlo Artus d’Angiò, Conte di Sant’Agata dei Goti, signore di Montenegro, di Tocco e d’altre terre, divenne feudatario di Maddaloni l’undici febbraio del 1390 per volere del quattordicenne Ladislao di Durazzo, re di Napoli, spodestato e sotto la reggenza della regina madre, Margherita di Durazzo.  Per i maddalonesi l’infeudamento al conte di S. Agata fu una vera disgrazia. L’Università, che nel 1381 aveva ancora il privilegio di eleggere liberamente sindaci e mastrogiurati, perse quel po’ di autonomia politica e amministrativa che il papa Innocenzo IV, nel 1230, e il re Roberto d’Angiò, nel 1315, avevano garantito a Maddaloni la perenne condizione demaniale, cioè, l’obbligo di versare i tributi solo alla corona.

Carlo Artus aveva diseredato i figli avuti da Ragonia Marzano di Sessa, famiglia rivale al re, a favore d’altri due figli avuti dalla seconda moglie, Giovannella Gaetani di Fondi,che portò in dote mille once d’argento che, una volta arrivate a Maddaloni, servirono per iniziare i lavori della gran torre e rinforzare militarmente la città, come era nei  piani di Ladislao e Carlo.

Il dieci settembre 1389, Ladislao, ormai già ventitreenne, si lanciò alla conquista di Napoli e riuscì ad occuparla e la sua prima preoccupazione fu quella di consolidare il suo potere in città a  spese dei baroni, commissionando l’assassinio di molti suoi rivali. I Marzano di Sessa furono perseguiti anche loro e non potevano gli Artus, a questi congiunti con sangue ed interessi, rimanere salvi e tranquilli. Verso la fine del 1402, Carlo fu arrestato insieme al figlio Giacomo e condannato a morte. Dopo la condanna dell’Artus, Maddaloni godette del regio demanio per poco tempo. Il dodici febbraio del 1413, nella sala del Maschio Angioino, Ladislao rendeva castellani e capitani di Maddaloni i fratelli Ottino e Riccardo Caracciolo, con carica fino all’estinzione del debito in garanzia di un prestito di undicimila ducati che aveva ricevuto. Ottino fu cameriere e capitano d’arme di Ladislao, di insigne valore, uomo giusto e fedele e dimostrò queste qualità in diverse occasioni. Ottino,dopo Ladislao, servì fedelmente la regina Giovanna e da questa fu nominato, per i vari servigi resi, conte di Nicastro,scrivano di razione (controllava i conti di tutte le milizie del regno e le loro paghe) e, nel 1419, fu riconfermato alla castellania di Maddaloni.

Il quindici gennaio del 1420, la regina Giovanna ordinò ai fratelli Caracciolo di far riparare e fortificare il castello di Maddaloni, a spese della Regia Corte, per farlo diventare un baluardo in previsione di guerre future e per la fama delle prime artiglierie (bombarde che sparavano palle di pietra) che erano utilizzate negli scontri. Ottino, sempre fedele alla sua sovrana, non appena ebbe notizia dell’adozione di Luigi, alzò i gigli angioini nel suo castello e, da quel momento, come un falcone, con i suoi cavalieri, si scagliava contro i partigiani di Alfonso, mantenendo la strada di Napoli sicura a quelli della regina, pericolosa agli aragonesi. Eppure, in Terra di Lavoro, egli era l’unico a sostenere la causa angioina, dopo che Raimondo Orsini e Baldassarre della Ratta avevano fatto di Nola e Caserta le basi della conquista aragonese nel napoletano. Lottò strenuamente per anni contro Alfonso e null’altro appariva ostile a questi, se non il castello di Maddaloni che, con il suo signore, cavaliere prudente, generoso ed assai ricco, aveva al suo servizio trecento fanti, i quali nulla lasciavano stare in pace in Campania. Nell’agosto del 1441, re Alfonso, finalmente riuscì a prendergli Maddaloni attaccandolo con un forte esercito, poi prese anche Napoli (2 giugno 1442) e, ormai anziano,morì senza lasciare eredi. Il nuovo sovrano una volta tolta Maddaloni al Caracciolo, volle subito porla in mani fidate, traendone cinquemilaquattrocento ducati da Giannantonio Marzano, duca di Sessa, con patto di ricompera e, il ventisei luglio del 1446, nominò il catalano Pietro de Mondrago capitano e castellano di Maddaloni. Gli concesse il privilegio di riscuotere un ducato a focolare per la tassa generale e disporre del ricavato (nel 1444 i focolari a Maddaloni erano 249). Alla morte di Alfonso, Pietro de Mondrago, tradì il nuovo re Ferrante, si accordò con gli angioini segretamente, tanto che fu definito dal Pontano (segretario di stato e uomo d’armi di Ferrante), il più perfido dei traditori. Ma, siccome era un uomo potente, e per giunta catalano e genero di messer Johanne Miroballi di Napoli, fu risparmiato da una sicura vendetta di Ferrante: patteggiò di poter rimanere a Napoli, senza timore per sè e per la sua famiglia.

Conseguentemente, nel 1460, il Castello di Maddaloni pagò a caro prezzo il tradimento del suo castellano: fu bruciato completamente dagli aragonesi . Quindi, re Ferrante aveva tolto alla gran torre Artus quel prestigio militare che, sulla via dei tre mari, poteva sempre costituire motivo di lotte intestine, perciò era un  pericolo per la stessa sopravvivenza del regno di Napoli.

Il cinque gennaio del 1821 il principe di Colobrano,discendente dei Carafa, vendette ad Aniello de Sivo di Maddaloni la collina intera con i ruderi del Castello. I nuovi proprietari coprirono la nuda collina con boschi e giardini sontuosi, che ben presto si popolarono di ricca selvaggina (c’erano più di mille fagiani in allevamento, oltre a cinghiali, cervi e lepri) e stimolò la curiosità dei re Francesco I, che venne in visita nel 1827 e poi nel 1828 con la regina e con la principessa Cristina (poi regina di Spagna) e Ferdinando II nel 1846.

 Il castello, insieme alla torretta longobarda, fu in gran parte rifatto da Antonio De Sivo (fu trasformato in un palazzo signorile), mentre la torre Artus fu rafforzata da Giacinto, fratello di Antonio. Durante la seconda guerra mondiale il castello ha subito azioni distruttive da parte delle truppe alleate, poi,dopo la guerra,da persone che hanno ripetutamente divelto pavimenti, soglie, infissi……

Speriamo che un giorno questo luogo incantato ritorni al suo antico splendore…

Testo pubblicato sul " Calendario 2007 " dei Vigili Urbani di Maddaloni.

                                                                  

                                                                       Antonio Pagliaro

 

 

 

Home