STORIA DEL

CONVENTO FRANCESCANO

Stemma dei francescani

Nel punto in cui via S. Francesco si allarga a formare una piccola piazza che guarda verso via Concezione è situato il Convitto Nazionale , adiacente alla chiesa di S. Francesco, di cui era convento. Secondo la leggenda ne sarebbe stata iniziata la costruzione dallo stesso S. Francesco, di passaggio per Maddaloni . Il portone di piperno grigio e pietra di Bellona (realizzato da Leonardo Petrosino nel 1738), recante sulla sommità lo stemma dei francescani, cioè due braccia che si incrociano, introduce nel chiostro, un cortile delimitato ad ogni lato da archi sorretti da piloni. Al centro, elevato su una base di due gradini, un pozzo di pietra con il ricorrente stemma dei francescani e, alla sua destra, un alto contenitore di pietra che custodisce un albero di limoni a ricordo di quello che, secondo la leggenda, sarebbe stato piantato da S. Francesco. Un epigrafe in latino ci ricorda il potere miracoloso dei suoi  frutti  e tradotta in italiano dice : Se sei malato, viandante, fermati. Guarda l'albero verdeggiante. Sappi :il suo frutto guarisce le malattie, perchè lo piantò S. Francesco :abbi fede, stai bene! Come da contratto datato primo giugno dal notaio Leonardo Persico, il convento francescano di Maddaloni risulta in costruzione nel 1536 mentre la chiesa adiacente era già  funzionante dal 1533. Da successivi documenti notarili del 1558 risulta che ospitava la congrega di S. Giovanni e che alla fine del secolo, il 12 febbraio 1599, il “il Rev. Fratis Laurentii Gallutii “di Maddaloni e il frate guardiano del Monastero stipularono una convenzione con il pittore napoletano Andreas de Antonio per affrescare sulle pareti del chiostro 30 scene illustranti i misteri di San Francesco e sulle volte decorazioni a “gruttisco” cioè a grottesche’, decorazioni molto di moda in quel periodo. Di questi lavori eseguiti nel cinquecentesco, stando agli atti notarili, rimane un solo affresco, la prima lunetta dell' antico chiostro che rappresenta il “distacco dai beni terreni del Santo”. Ci sono ancora da considerare, come documento materiale,le strutture architettoniche cinquecentesche che sono sul lato destro dell’ingresso (est) costruite su due piani. Al piano terra sono grandi ambienti coperti a volte, che si susseguono un dietro l’altro ed affacciano nell’ antico giardino dei frati” dove poi furono costruite le aule del liceo classico. Al piano superiore un lungo corridoio ospitava le celle dei frati che anch'esse si affacciavano al già citato giardino. Nell’ex monastero benedettino dei SS. Severino e Sossio a Napoli, sede dell’Archivio di Stato, nell’ Inventario dei monasteri soppressi,  è possibile trovare tuttora elencato un grosso volume, rilegato in pergamena, col titolo Platea nuova delli stabili, censi di questo convento di S. Francesco di Maddaloni DD. PP. Minori conventuali, fatta per ordine del MRPM Bonaventura Cortese di Maddaloni, sotto il governo del RPM Anselmo Conti guardiano e del PM reggente G. Giuseppe Zorli di 5. Germano, cancelliere del corrente, anno 1697. Dalle sue circa 300 pagine viene fuori un feudo, con i privilegi ad esso riservati, un mondo per lo più basato sull’agricoltura, costituito da 600 moggia di terreno, descritto, foglio a foglio, nella provenienza dei fondi, case e masserie, fin negli annessi, connessi e toponimi, alcuni ancora in uso. Il Convento assumeva, nella comunità maddalonese, prestigio notevole e non solo per le risorse finanziarie. La protezione di alti prelati, di vescovi e papi era la migliore garanzia della riconferma di tale primato: lungo le pareti del salone furono affrescate le immagini dei papi Sisto V, Alessandro V, Giulio II, Nicola IV, come dei cardinali Laurenzio Bracati di Lauria, Leonardo da Giffoni, Alberto Gonzaga, Vitale Fumo Aquitano, Reginaldo Umbro, Vicedomine dei Vicedomini. Nei primi decenni del 1700, sulle antiche fabbriche cinquecentesche, fu realizzata una sopraelevazione che portò all'ampliamento del convento e uno scalone monumentale che conduce al piano superiore, il quale è composto da due rampe di pietra del Vesuvio, ha sulle pareti del pianerottolo intermedio tre nicchie affrescate raffiguranti S. Gioacchino,il Riposo della Sacra Famiglia durante la fuga in Egitto, e S. Anna. Salendo la seconda rampa si arriva al livello degli ambienti sopraelevati disimpegnati da un grande salone (lungo m. 72, largo m. 10,80)  che aveva la funzione di  rappresentanza del convento. Lo stesso edificio doveva essere l’immagine della potenza economica, sociale e politica dell’Ordine e, nel 1756, proprio mentre a Caserta erano in pieno fervore i lavori per la costruzione della Reggia, i frati di S. Francesco diedero l’incarico alla bottega d’arte di Giovanni Funaro, in piazza Grande, di predisporre la pittura della gran tela dello stesso salone ed altri lavori. Il Funaro era nativo di S. Maria Capua Vetere, si era formato a Napoli, e si era, poi, trasferito a Maddaloni, abitandovi per quaranta anni, in via Trivio S. Andrea, nel palazzo della ricca consorte Angela Rispoli. A stendere un lavoro così impegnativo l’artista si fece aiutare dal fratello Giuseppe e dai pittori della sua bottega e, se la veduta prospettica gli veniva da una solida preparazione tecnica di quadratura, l’assunto tematico del soggetto era certamente suggerito dagli stessi frati, che avevano commissionato il lavoro. Il modello poté essere il soffitto della Sacrestia di S. Domenico Maggiore di Napoli, che Solimena aveva steso nel 1709: vi si ravvisa, infatti, una grande somiglianza, se non per lo stile, certamente per il contenuto tematico, che è quello del trionfo sull’eresia. Quegli anni in Italia erano di estremo travaglio intellettuale: erano giunti a maturazione gli insegnamenti di Galilei, Campanella e Giordano Bruno, ormai la cultura laica si volgeva intrepidamente a celebrare il trionfo della ragione, mettendo in discussione lo stesso principio di autorità. Ma, essendo l’educazione pubblica ancora in mano al clero, Vanvitelli riferiva al fratello Urbano, in una lettera del 23 giugno 1758, che il reverendo don Giuseppe Passeri, pedagogo dei suoi figli, aveva iniziato ad educare anche il duchino di Maddaloni. Nella cultura medio-borghese sopravviveva ancora fortissimo quel legame così ambiguo tra scienze sperimentali e metafisica, tra logica nuova e infatuazione del soprannaturale che tante mortificazioni aveva già operato. La tela principale del salone del Convento francescano di Maddaloni secondo i dettami culturali dell’epoca, celebra il dogma dell’Immacolata Concezione e la religione cattolica che trionfa sui tralignamenti della ragione umana e la sua vittoria sulle eresie. Il plastico contorno di una enorme balconata, cui si affacciano alcune figure, diviene il proscenio della fede francescana che, nella sua luminosità solare. non lascia posto a chiaroscuri: quattro figure simmetriche simboleggiano, ai lati della tela, le virtù cardinali, che devono orientare l’uomo verso il bene, mentre, alle bande laterali, sono il trionfo di S. Antonio e dall’altra il primato di San Francesco, che, nell’effetto drammatico delle stimmate, si ricollega al mistero della Croce. Tutto, in struttura ascensionale, tende al fulgore della Madonna e, ancora più su, ad un certo ideale:la colomba che simboleggia l’incarnazione per opera dello Spirito Santo, da cui irraggia lo scintillante dettato di tutta la sacra composizione. Alla destra della Madonna è il filosofo Giovanni Scoto, che sostenne la Concezione immacolata della Vergine; dalla bocca gli escono parole di preghiera a mo’ di fumetto, mentre a proteggerlo è la Fede, che, pur nell’evanescenza dei suoi veli, confessa la drammatica certezza della verità, brandendo, con la destra, il calice, simbolo della Redenzione; a sinistra è il papa Sisto V, che, reggendo la croce di Lorena, sostenne, egli pure, con la cultura francescana, l’immacolato concepimento di Maria. Al di sotto di questa scena c’è una schiera di angeli; essi mettono in fuga i diavoli, che rappresentano le eresie, mentre diversi volumi, che rappresentano la cultura laica, sembrano veramente cadere in basso scompaginati, come in un vortice di vento e ricordare anche a Maddaloni quel profondo travaglio della Cristianità. Procedendo verso l' uscita , attraverso una delle tre porte centrali si giunge ad una sala piccola che si affaccia sullo scalone attraverso tre aperture arcuate. La tela del soffitto di quest' ambiente (fu completata il 17 Aprile 1757), il cui disegno ricalca il gusto del salone centrale, è stata ormai restaurata (finanziamento lasciato dall'attore americano Tom Cruise dopo aver girato delle scene del suo ultimo film, "Mission Impossible III", alla Reggia di Caserta) e rimessa al suo posto dopo circa 23 anni. Degli affreschi laterali di questa sala restano soltanto le decorazioni con tralci di fiori degli archi delle balconate. L'ex convento, però, è costituito anche da corridoi, stanze e sotterranei altrettanto suggestivi da visitare in quanto rievocano la vita monastica che un tempo dovette fervere tra queste mura. Negli ultimi anni questo edificio ha subito importanti interventi di consolidamento strutturale (resisi necessari a seguito degli eventi sismici dell' 80) e di sicurezza di tutti gli impianti  funzionanti in base alle  normative vigenti.

 

                                                                                                     Antonio Pagliaro

Bibliografia

Pietro Vuolo " Maddaloni nella storia di Terra di Lavoro - Maddaloni 2005

G. Sarnella Palmese - Ofm. Conv. E. Scognamiglio "Architettura e religione del Convento di S. Francesco d'Assisi oggi Convitto Nazionale " G. Bruno "- Maddaloni 2003

 

 

 

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