(pubblicato su OUTDOOR MONTEBIANCO - marzo 1999)
La conquista del Polo Nord e l'impresa del dirigibile Norge
Il colonnello Umberto Nobile dirige lo Stabilimento militare di Costruzioni
aeronautiche di Roma, dove progredisce la tecnica di costruzione dei dirigibili.
Nobile segue con attenzione le vicende. Pensa che nessun aeroplano avrebbe
mai potuto vincere la sfida con i ghiacci. Non è, la sua, solo la
riflessione di un esperto ingegnere. In quelle officine matura anche la
passione e l'ambizione di un grande uomo d'azione. L'N1 rappresenta il risultato
della genialità progettistica di Nobile. Nonostante le dimensioni
non certo irrilevanti l'N1 non è enorme: gli Zeppelin sono addirittura
sei volte più grandi. Amundsen, dopo l'insuccesso del volo con i
Dornier Wal, incontra Nobile a Oslo per sottoporgli la proposta di organizzare
una nuova spedizione con un dirigibile. L'obiettivo di Amundsen non è
solo la conquista del polo ma l'esplorazione della calotta artica alla ricerca
di un'eventuale presenza di terre emerse. Nobile, consapevole dei limiti
tecnici dell'N1, sa che solo consistenti modifiche alla struttura potevano
garantire l'affidabilità dell'N1. I principali problemi da risolvere
sono legati alla riduzione del peso dell'aeronave. Allo stesso tempo, si
esige la robustezza della struttura, soprattutto a prua, per consentire
un sicuro ormeggio ai piloni di attracco. L'Aeroclub di Norvegia finanzia
la spedizione e a ciò si aggiunge il fondamentale contributo di Ellsworth,
compagno di avventura di Amundsen nella spedizione con gli idrovolanti Dornier
Wal. Nobile rinforza le pareti di tela impermeabile in prossimità
delle eliche, per evitare che frammenti di ghiaccio, scagliati violentemente
contro l'involucro, producano lacerazioni.
Oltre mille tonnellate di materiali, fra cui centinaia di bombole contenenti
60.000 mc di idrogeno compresso, partono per la Baia del Re. Alle ore 9.30
del 10 aprile il Norge, l'N1 così ribattezzato in onore della Norvegia,
parte da Roma per il lungo viaggio alla Baia del Re. La bella aeronave lascia
le Svalbard alle 8,50 dell'11 maggio con a bordo sedici persone: sei italiani,
otto norvegesi, uno statunitense, uno svedese. Vola alla velocità
di 80 kmh, e all'1,30 del 12 maggio il Norge è al Polo Nord. Oltre
il polo si apre un'immensa zona inesplorata: anche se i competenti escludono
l'esistenza di grandi terre, si tratta pur sempre d'un mondo su cui l'uomo
non ha mai posato lo sguardo. Grande è perciò l'attesa. Fino
a 85°30' N si continua a vedere la medesima distesa di ghiacci galleggianti,
a volte sconvolti, aggrovigliati dalle pressioni, a volte separati da canali
d'acqua libera. Poi cala la nebbia: fitta e ostinata, accompagna il dirigibile
per quasi due giorni. Durante qualche squarcio appare in basso sempre lo
stesso mare ghiacciato. Ma le incrostazioni di ghiaccio destano una certa
preoccupazione. Finalmente, a 74°16' N, la nebbia si dirada. Ed è
ancora una volta il solito spettacolo: ghiacci e ghiacci, ma qui assai più
accidentati. Alle 6,45 del 13 maggio si avvista terra a prua, a destra.
È la costa dell'Alaska, con il piccolo villaggio di Teller nei pressi
della Punta Barrow. Nobile racconta l'atterraggio: "Vidi un gruppo
di tre o quattro persone accorrere verso di noi, sui ghiacci, ma più
avanti verso destra ve n'era un altro più numeroso, di sette od otto.
Un colpo di motore e mi diressi verso di loro... Gli uomini agguantarono
la fune. 'Tira gas!' e l'aeronave appesantita discese con la velocità
forse di un metro al secondo, forse meno. 'Attenti all'urto!', ma l'urto
fu lieve: l'aeronave rimbalzò in aria di alcuni metri. 'Ancora gas!',
gridai. Qualche istante dopo eravamo di nuovo sul ghiaccio, definitivamente
questa volta". Sono le 7.30 del 14 maggio 1926.
La Tenda Rossa
Umberto Nobile prepara una nuova impresa con dirigibile, questa volta con
un nutrito programma di esplorazione geografica e di ricerca scientifica.
Mentre la preparazione della parte scientifica procede meticolosa, quella
del dirigibile, nel clima dilettantesco e retorico dell'Italia fascista,
quando capo dell'aviazione è Italo Balbo, è tutt'altro che
facile. Questi infatti non autorizza la costruzione dell'N5, di dimensioni
tre volte maggiori del Norge e quindi Nobile riesce a partire da Milano
con un'aeronave sorella del Norge, battezzata questa volta Italia, il 15
aprile 1928. Dopo due voli di ricognizione e di ricerca scientifica, con
un equipaggio composto da 12 uomini, più 3 scienziati e 1 giornalista,
l'Italia si leva in volo alle 4.28 del 23 maggio. Il programma è
ambizioso: raggiungere il polo lungo la zona inesplorata tra le Svalbard
e la Groenlandia; effettuare un atterraggio sui ghiacci del polo e sbarcarvi
gli scienziati per esaurienti osservazioni scientifiche.
L'aeronave incontra una violenta perturbazione ma, alla mezzanotte fra il
23 e il 24 maggio 1928, raggiunge il Polo Nord. È però impossibile
l'atterraggio: il forte vento non consente la minima stabilità. Comunque
i tre scienziati, lo svedese Finn Malmgren, il cecoslovacco Frantisek Behounek
e l'italiano Aldo Pontremoli, compiono alcune osservazioni.
Alle 2.20 Nobile ordina il ritorno. La forza del vento da sud-ovest rallenta
la marcia e porta sovente fuori rotta. Alle 10.30 Cecioni dà l'allarme:
l'Italia perde quota rapidamente. I tentativi di risalita si rivelano vani.
Tre minuti dopo lo schianto sul pack.
Behounek, spettatore impotente del dramma, così descrive la scena:
"Afferrai con la mano sinistra la balaustra della cabina di comando
e guardai ancora una volta fuori. Il quadro era terrorizzante. Sembrava
che il pack volasse verso di noi e, a misura che ci avvicinavamo, la sua
superficie, che prima sembrava unita e liscia, si trasformava in centinaia
di blocchi di ghiaccio, gettati alla rinfusa in un caos selvaggio e divisi
di tanto in tanto da corsi d'acqua. Ritrassi il capo e chiusi gli occhi
pensando: tutto è finito! E subito avvenne un primo urto, seguito
immediatamente da un secondo. La navicella precipitò sul ghiaccio
con clamore infernale, si conficcò profondamente nella neve e andò
in pezzi. Sentii qualcosa di greve che mi pesava addosso da tutte le parti
e una massa voluminosa che mi spingeva avanti. Era la neve che, attraverso
il fondo spaccato della navicella, penetrava nell'interno. Feci dei movimenti
disperati per liberarmi dai mucchi di neve che minacciavano di soffocarmi.
Finalmente intorno a me comincia a farsi più chiaro. Scuoto gli ultimi
resti di neve e guardo attorno. La prima cosa che odo è la voce calma
di Mariano: "All right, all right, ci siamo tutti!" Il mio primo
sguardo è per l'Italia, che s'innalza lentamente sopra di noi. Manca
la navicella di comando, come se qualcuno l'avesse tagliata di netto, manca
pure la navicella posteriore dei motori, in cui si era trovato Pomella.
Dalla navicella del motore di sinistra Arduino ci guarda. Ma già
l'aeronave sparisce nella nebbia sopra di noi, in direzione est. Ci rapisce
sei compagni: il capomotorista Arduino, i motoristi Ciocca e Caratti, l'attrezzatore
dell'involucro Alessandrini, il professor Pontremoli e il giornalista Lago.
Il mio secondo sguardo è intorno a me, per i miei compagni. Si trovano
tra i resti della navicella frantumata. A pochi metri era disteso Nobile,
con la testa insanguinata; su di lui era chino Mariano, che gli parlava
con la solita sorridente gentilezza. Accanto al generale stava Cecioni,
che non si poteva muovere e si lamentava dicendo d'avere la gamba destra
rotta. Il generale, come constatammo in seguito, aveva una gamba e un avambraccio
spezzati, oltre ad una ferita alla testa. Malmgren, accanto a me, aveva
la spalla sinistra spostata... Contemporaneamente vidi a poca distanza Zappi
liberarsi faticosamente dalla neve. Seppi poi da Mariano che Zappi aveva
probabilmente una costola rotta. Gli altri (Biagi, Trojani, Viglieri e io)
eravamo sani e salvi, tranne qualche lesione di poca importanza".
Soltanto 100 km separano la spedizione dalle isole Svalbard, ma la situazione
appare disperata. Il meccanico Pomella giace lì, cadavere. Fra i
nove sopravvissuti, quattro sono feriti: Nobile e Cecioni con fratture agli
arti. Passato il primo momento di sconforto s'inventaria quanto è
caduto sul ghiaccio. La tenda, tinta di anilina per renderla più
visibile, diventerà la famosa Tenda Rossa: quadrata, misura m 2,75
di lato e al centro è alta m 2,50. Attorno, sparsi, provviste, indumenti,
materiali vari. C'è persino, quasi intatto, l'apparecchio radio.
Attorno ad esso Biagi lavora con ostinazione per un collegamento. La ricevente
funziona, poi ripara la trasmittente. Quasi subito giunge un messaggio dalla
nave appoggio Città di Milano: "Cosa ti succede? (il radiotelegrafista
Pedretti tenta di contattare Biagi). Perché non rispondi più?
Se hai un avaria alla trasmittente a onde lunghe, serviti della cassetta
di fortuna a onde corte. Ti ascoltiamo continuamente. K". La lettera
K invita in gergo a rispondere, ma ogni tentativo di Biagi fallisce. Immobilizzati
e inuditi, i naufraghi dell'Italia sentono che il mondo è commosso
per la loro scomparsa, che da ogni parte giungono soccorsi alle Svalbard:
due aerei norvegesi pilotati da Riiser-Larsen e Holm, gli aviatori svedesi
Lundborg, Schiberd e Tornberg, gli italiani Maddalena, Penzo e Ravazzoni
con due Savoia-Marchetti, l'idrovolante francese Latham 20, i rompighiaccio
sovietici Krassin e Malyghin, gli sciatori italiani Albertini e Matteoda
e gli alpini del capitano G. Sora, tutti corrono alla ricerca e al salvataggio
dell'Italia.
Ma, ignorando il punto preciso in cui si trova il dirigibile al momento
della catastrofe, dove si dirigeranno gli sforzi? Mariano calcola il punto:
81°14' N e 25°25' E, cioè a nord-est dell'isola più
settentrionale delle Svalbard, la Terra di Nord-Est. Sentono invece dalla
radio che le prime ricerche si svolgono sulle coste di nord-ovest. L'attesa
logora i nervi già scossi dalla catastrofe.
Mariano e Zappi sono impazienti di spingersi con una marcia sui ghiacci
alla Terra di Nord-Est, incontrare le spedizioni di soccorso, e così
condurle ai compagni. I due ufficiali hanno troppa fiducia e non conoscono
le insidie d'una marcia sui ghiacci artici in quella stagione. L'unico ad
avere esperienza polare è lo svedese Malmgren, il quale, nonostante
il braccio ferito, accetta di accompagnare i due. E così il 30 maggio
i tre si avventurano per la marcia disperata tra i ghiacci. Anche se comprensibile
dal punto di vista psicologico e dettata dal desiderio di salvare i compagni,
questa decisione è un grave errore. Tanto più che Malmgren
due giorni prima ha ucciso un orso e quindi i viveri, per quanto scarsi,
sono aumentati.
Il destino è beffardo, perché solo quattro giorni dopo un
dilettante russo intercetta l'SOS di Biagi. Il 6 giugno anche i naufraghi
della Tenda Rossa ne sono informati e, grazie all'attività indefessa
di Biagi, l'8 giugno viene realizzato il collegamento radio tra la Tenda
Rossa e la Città di Milano.
La Svezia invia il battello Tanja con due idrovolanti Hansa-Brandenburg
e il Fokker 31 pilotato da Lundborg. Sulla baleniera Quest sono gli uomini
della spedizione di Tornberg. In Italia il governo autorizza la partenza
dell'idrovolante S55 SIAI pilotato da Umberto Maddalena, con una spedizione
d'appoggio finanziata a Milano. La Svezia invia un altro aereo, il trimotore
Uppland e la Finlandia il monomotore Turku.
Mentre Riiser-Larsen il 17 e il 18 giugno vola invano sulla banchisa avvicinandosi
al campo di Nobile senza avvistarlo, parte da Tromsö, in Norvegia,
l'idrovolante francese Latham 20 pilotato da Guilbaud, con a bordo Dietrichson
e Roald Amundsen. Il grande esploratore ha ormai 57 anni. Dopo il volo del
Norge era nato qualche screzio tra lui e Nobile; ma non appena ha notizia
della catastrofe non esita e, ponendo immediatamente la propria esperienza
al servizio dei soccorsi, s'imbarca sull'apparecchio francese.
"È indispensabile che si faccia presto. Solo chi, come me, è
stato confinato per tre settimane sui ghiacci può comprendere cosa
questo significhi, e come il soccorso in questi casi non sia mai troppo
rapido". Così l'ormai anziano esploratore poco prima di partire.
Il Latham 20 scomparirà dopo circa due ore di volo e non se ne saprà
mai più nulla. Solo il 31 agosto la nave Brodd comunica di aver ritrovato
sulle coste settentrionali della Norvegia un galleggiante forse appartenuto
all'idrovolante. Quella dell'eroe dei due Poli fu la fine leggendaria di
un antico vichingo.
Nel frattempo la ricerca del gruppo Mariano, in marcia da 18 giorni, è
affidata al capitano Sora e a due esperti del pack, Warming e van Dongen.
La spedizione lascia Capo Nord il 18 giugno con slitte trainate da cani
e si dirige a est verso l'Isola di Foyn. A metà del percorso Warming,
colpito da oftalmia, si ferma in un rifugio. Sora e van Dongen raggiungono
l'isola di Foyn allo stremo delle forze. Non proseguiranno verso la Tenda
Rossa e dovranno attendere a loro volta di essere soccorsi.
Il 20 giugno l'idrovolante di Maddalena sorvola il campo dei naufraghi e
getta rifornimenti, scarpe, fucili, accumulatori per la radio. Mentre i
lanci di materiale si susseguono, i naufraghi preparano un campo d'atterraggio
e la sera del 23 giugno due aerei svedesi raggiungono la Tenda Rossa. Il
Fokker 31 pilotato da Lundborg atterra sulla pista di neve e ghiaccio. Nobile
chiede che subito venga tratto in salvo Cecioni, come lui ferito seriamente
a una gamba, ma Lundborg rifiuta: "No, ho l'ordine di portare Lei per
primo, perché Lei deve dare istruzioni per la ricerca degli altri
compagni". Sollecitato anche dagli uomini del suo equipaggio, Nobile
accetta di salire a bordo del Fokker. Questo fatto venne poi ampiamente
sfruttato nella campagna contro Nobile da chi sosteneva, in base ad una
retorica tradizione, che avrebbe invece dovuto essere salvato per ultimo.
Lundborg torna ancora a recuperare gli altri, ma in fase di atterraggio
il Fokker si ribalta e il pilota rimane a sua volta intrappolato con i naufraghi.
Ormai le isole accanto alla costa settentrionale della Terra di Nord-Est
sono, a causa della deriva, a pochi km. Ma una marcia sui ghiacci, nello
stato di avanzato scioglimento in cui si trovano, sarebbe fatale a tutti.
Un'altra spedizione ha intanto lasciato la Braganza alla ricerca del gruppo
Mariano. La compongono gli sciatori Matteoda ed Albertini, assieme a Tandberg
(un conducente di slitte trainate da cani) e la guida Nois. Dal 23 giugno
al 6 luglio i quattro perlustrano fin quasi a Capo Leigh Smith, nella parte
nord-orientale della Terra di Nord-Est. Nessuna traccia dei tre uomini né
dell'involucro dell'Italia lungo gli oltre 500 km esplorati.
Il 6 luglio lo svedese Moth, pilotato da Schyberg, atterra alla Tenda Rossa
per portare in salvo Lundborg. Il pilota del Moth non tenterà più
nuovi e rischiosi atterraggi per salvare i naufraghi rimasti in attesa sui
ghiacci ormai in scioglimento. Cinque uomini restano alla Tenda Rossa.
Ormai l'unica speranza è il rompighiaccio sovietico Krassin. Questo,
comandato da Karl Eggi e con a bordo il professor Samoilovich responsabile
dei soccorsi, è partito da Leningrado e deve raggiungere da ovest
le Svalbard per perlustrare poi la parte settentrionale dell'arcipelago
verso l'Isola di Foyn. Il 3 luglio, mentre il Krassin tenta di aggirare
le Sette Isole, a nord delle Svalbard, una pala dell'elica di sinistra si
spezza urtando i ghiacci, spessi due metri. Ulteriori avarie convincono
Eggi a tornare per le riparazioni e per il rifornimento di carbone. Ma Nobile
telegrafa a Samoilovich: "Tutte le nostre speranze sono riposte sul
Krassin. Perciò vi preghiamo di fare quanto è possibile per
raggiungere al più presto la tenda". Il comandante della spedizione
sovietica, con il consenso del suo governo, decide di calare sul ghiaccio
il trimotore Junkers. Il pilota Ciuknowski decolla il 10 luglio alle ore
16 e dopo alcune ore scorge il gruppo dei tre che avevano lasciato la Tenda
Rossa e di cui non s'era saputo più nulla. A causa della nebbia è
impossibile per Ciuknowski tornare al Krassin: Sarà costretto ad
atterrare distante e il suo aereo subirà danni che ne impediranno
il decollo. Ecco il suo rapporto dopo l'incidente: "Il carrello nell'atterrare
si è frantumato. Noi, tutti sani. Viveri per due settimane. Ritengo
necessario che il Krassin si affretti a soccorrere Malmgren prima di occuparsi
di noi". Samoilovich decide di ripartire, sostenuto da un equipaggio
noncurante delle avarie e della scarsità di carbone nelle caldaie.
All'alba del 12 luglio ecco l'urlo del timoniere Breinkopf che avvista qualcuno.
Mariano è in condizioni disperate, con i piedi congelati e gravemente
esaurito (in seguito gli verrà amputato un piede); Zappi è
in migliori condizioni, e può narrare la fine di Malmgren. Dopo 15
giorni di marcia lo svedese, colpito da vari congelamenti e incapace di
continuare, aveva chiesto ai compagni di essere lasciato sui ghiacci. La
marcia era stata ancora più terribile di quanto si potesse immaginare,
e i progressi, già minimi, venivano annullati dai movimenti della
deriva. Zappi e Mariano, allo stremo, non si erano opposti alla richiesta
del compagno, ormai deciso a morire al più presto per lasciare loro
maggiori possibilità di salvezza. L'odissea dei due era durata 43
giorni.
Ora, a bordo del Krassin, regna grande eccitazione: la Tenda Rossa è
vicina. Sono le 16,15 del 12 luglio quando i naufraghi odono un fischio
di sirena. L'avanzata della potente nave tra i ghiacci è però
faticosa, l'attesa è intollerabile. Alle 20,45 la nave s'accosta
al banco di ghiaccio che per 48 giorni ha ospitato i superstiti: e l'incubo
ha termine.
Nobile chiede a Samoilovich un ultimo tentativo di ricerca dell'Italia.
Questi, consapevole del rapido esaurirsi del combustibile, sollecita l'intervento
degli idrovolanti, accettando di fermarsi per garantire l'appoggio agli
aviatori. La generosa disponibilità dei sovietici è inutile.
Da Roma, Balbo ordina il rientro. Solo Nobile tenterebbe ancora l'impossibile
per ritrovare i dispersi. Il 16 luglio, nel ritorno, il Krassin recupera
l'equipaggio dello Junkers di Ciuknowski accampato presso Capo Wrede e già
raggiunto nelle ore precedenti dalla pattuglia della baleniera Braganza
composta da Albertini, Matteoda, Gualdi e Nois. Sora e van Dongen, individuati
dal Krassin durante la marcia verso la Tenda Rossa, sono raggiunti e portati
in salvo dagli idrovolanti della spedizione svedese. Ancora due spedizioni
alla ricerca dell'Italia sono tentate in agosto e settembre, protagonisti
la Braganza e il Krassin, ma senza risultati. Della sorte dell'Italia e
dei sei uomini che rimasero a bordo non si seppe più nulla. Probabilmente
andò alla deriva fino a raggiungere il Mare di Barents per poi inabissarsi.
Rimane lo sgradito strascico di polemiche al seguito di questi eventi. La
spedizione aveva ottenuto risultati tutt'altro che disprezzabili e la catastrofe
aveva visto elevati episodi di sacrificio tra i soccorritori di ogni nazione.
Ma un fatto è chiaro: all'Italia dei fascisti dava fastidio che un'impresa
nazionale terminasse con un disastro; perciò il mondo ufficiale cercò
di separare nettamente le proprie responsabilità da quelle del comando
della spedizione. E si arrivò persino all'assurda commissione d'inchiesta
con elogi e condanne.