ultimo aggiornamento    
novembre 2012    

 


padule di fucecchio > "recupero" del padule

Conservazione delle piante acquatiche

Grazie al lavoro appassionato di molti ricercatori la ricostruzione delle vicende storiche del Padule di Fucecchio risulta oggi ben documentata. Non altrettanto si può affermare rispetto alle conoscenze relative all'evoluzione delle caratteristiche ecologiche, della fauna e della vegetazione, di quest'area nei secoli passati.

Paradossalmente risultano più nitidi gli scenari vegetazionali di un lontano passato, ricostruiti da alcuni autori, come il Professor Tomei, sulla base di ricerche palinologiche (cioè sull'analisi del polline fossile) e su considerazioni di carattere biogeografico, rispetto alle testimonianze relative ad epoche molto più prossime alla nostra. Quello che credo si possa affermare con ragionevole certezza è che, sotto questo profilo l'impronta umana, nel bene e (soprattutto) nel male, è stata ed è tuttora molto pesante. Sono passati quasi trenta anni da quando ho iniziato a frequentare il Padule e dei marcati cambiamenti che da allora si sono verificati nelle comunità di piante e di animali posso riportare una modesta testimonianza diretta. Semplificando brutalmente, per quanto riguarda la fauna posso affermare che:
- gli uccelli acquatici (salvo alcune eccezioni, come la Marzaiola), per effetto di una tendenza generale e di alcune misure di conservazione adottate in loco, sono notevolmente aumentati rispetto agli anni '80, quando annotare sul taccuino l'osservazione di un Airone cenerino, un Falco di palude o un Cavaliere d'Italia era un evento importante. - I tanti invertebrati acquatici che popolavano le acque (libellule, emitteri, come la Ranatra e lo Scorpione d'acqua, coleotteri, come il Ditisco e l'Idrofilo ed ancora molluschi, anellidi, come le sanguisughe, crostacei ecc.) sono praticamente scomparsi in concomitanza con il dilagare del Gambero rosso della Louisiana, arrivato verso la metà degli anni '90.
- Stessa sorte è toccata agli anfibi (anche se le rane verdi non sono definitivamente perdute) ed alla biscia d'acqua, che di essi si nutriva. Anche in questo caso il colpo di grazia è venuto dal crostaceo nordamericano (e non certo dagli aironi come molti sostengono. Ne è riprova il fatto che nelle risaie piemontesi, che sono le aree italiane a maggiore densità di aironi, gli anfibi sono ancora lì al loro posto).
- La fauna ittica è sul punto di perdere due dei suoi rappresentati più caratteristici: il Luccio (in pericolo critico di estinzione a livello locale) e la Tinca, non più segnalata da oltre un decennio. Dilaga in compenso una ricca comunità di specie alloctone, spesso introdotte per futili motivi, come le immissioni che precedevano (mi auguro che non accada più!) le gare di pesca sportiva effettuate in Arno. Ma ciò che al pensiero del "Padule com'era" più mi lascia esterrefatto sono i tappeti di piante acquatiche che da marzo a ottobre tappezzavano i chiari e i canali. Praterie galleggianti e sommerse dove adattamenti e strategie di competizione per lo spazio e per la luce determinavano mosaici ogni volta diversi: le piccole foglie del Morso di rana e le Lenticchie d'acqua saturavano gli spazi che, (per ineludibile legge geometrica) si creavano fra le grandi foglie rotonde della Ninfea bianca e del Limnantemio; sott'acqua i fusti verticillati, flottanti, del Miriofillo si confondevano con le ampie foglie increspate del Potamogeto. Per non parlare delle fioriture spettacolari del Ranuncolo d'acqua, che a marzo segnavano l'arrivo della primavera…
La scomparsa (o per meglio dire l'impoverimento di specie e l'estrema rarefazione) della vegetazione idrofitica, dovuta a molteplici fattori, ma in primo luogo all'azione devastante del "Gambero killer" e della Nutria, mi ha sconvolto più di ogni altra cosa, anche perché, oltre ad essere un elemento fondante del paesaggio palustre, agli habitat che queste piante determinavano (lamineti e praterie sommerse) sono intimamente legati molti dei gruppi faunistici sopra menzionati. Non solo, ma molte di quelle piante sono in pericolo di estinzione su scala regionale e nazionale, o rappresentano popolazioni relittuali (di elevato interesse ecologico e fitogeografico) di specie che posseggono oggi areali di distribuzione assai lontani da qua. Per questo da tempo meditavo sulla possibilità di dedicarmi, nell'ambito delle attività che porto avanti con il Centro di Ricerca del Padule di Fucecchio, ad un progetto di conservazione delle piante acquatiche. L'occasione si è presentata grazie ad un fortuito incontro con due ricercatrici, rispettivamente della facoltà di agraria dell'Università di Pisa e della Scuola Superiore S. Anna, a cui si è aggiunto in seguito anche un botanico dell'Orto Botanico di Pisa. Il Progetto, finanziato dalla Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, consiste nel creare una banca del germoplasma (con materiale genetico vitale), che consenta innanzitutto di mettere a riparo dalla definitiva estinzione le piante acquatiche provenienti dal Padule e dalle zone umide immediatamente adiacenti e ad esso ecologicamente collegate.
E' prevista contestualmente la realizzazione nel Bosco di Chiusi (a margine del Padule) di alcuni stagni, protetti con apposite recinzioni, ove reinserire le piante riprodotte con le tecniche della micropropagazione in vitro. Si tratta insomma di una forma ibrida di conservazione in situ e ex situ, con una componente di ricerca sperimentale, perché non tutte le piante interessate sono state fino ad ora riprodotte e conservate con queste tecniche (occorre ad esempio mettere a punto idonei substrati di coltura).
Tutto questo grazie anche ad un giovane studente di scienze naturali, Roberto Pellegrini, che negli anni passati, con passione e rigore scientifico, ha raccolto e coltivato a casa propria alcune piante acquatiche del Padule ormai scomparse in natura. E' ovvio che fino a quando non saranno rimossi i fattori che ne hanno determinato la scomparsa, gli interventi di reintroduzione in natura di queste piante sono destinati al fallimento, ma è altrettanto vero che in questi venti anni di attività il Centro ha messo a punto vari interventi di ripristino ambientale e un protocollo tecnico efficace di controllo della Nutria. Quanto al Gambero per adesso non c'è niente da fare (se non monitorarne la dinamica di popolazione), ma occorre considerare che sono in atto molte attività di ricerca in vari paesi del mondo sulle tecniche di controllo di questa specie (che, per quanto "tenace", avrà pure un tallone d'Achille). In definitiva occorre un rinnovato impegno di tutte le persone sensibili alla conservazione delle biodiversità (ed in primo luogo di coloro che hanno responsabilità nella gestione del territorio e delle risorse naturali) perché, come dice molto poeticamente Francesco De Gregori, la storia siamo noi!
Alessio Bartolini

 
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