Alcune note su questo vocabolario

Riportiamo di seguito alcune regole tenendo presente che nessuna di queste è valida in assoluto, proprio perché il dialetto non è una lingua letteraria, non esiste in forma scritta e non ha avuto nel passato estensori delle regole sintattiche e grammaticali; diciamo che più che regole sono osservazioni sulle forme ed i fenomeni più comuni che abbiamo notato.

Nel nostro dialetto, come in molti altri dialetti dell'Italia settentrionale, non esistono le doppie; questa è una delle difficoltà che trovavano i maestri ad insegnare l'italiano a bimbi che parlano di solito il dialetto, perciò durante i dettati le doppie erano pronunciate con particolare enfasi dall'insegnante. Ricordate come pronunciava "Dett…t…tato" ?

Spariscono le vocali finali non accentate diverse da "A", nei pochi casi in cui rimangono di solito la parola non è tipicamente dialettale, ma quasi sempre è presa dall'italiano (es.: fréno freno).

In alcune parole la lettera "L" diventa "R", fenomeno tecnicamente noto come rotacismo (curtèl coltello Carvensà Calvenzano)

Le parole che finiscono con mènt esistono quasi sempre anche con finale mét (es.: mancamènt e mancamét il venir meno). In un bel libro edito dalla regione Lombardia su Cigole, un paese della provincia di Brescia, abbiamo letto che le due forme sono una tipica del centro abitato e l'altra della campagna; noi registriamo la notizia appresa, ma non scartiamo la possibilità che delle due forme una sia tipica del dialetto Casiratese e l'altra sia "importata" dai paesi vicini, pur non avendo elementi per suffragare l'una o l'altra ipotesi.

Quando in una frase una parola finisce con consonante e la successiva comincia a sua volta con consonante, spesso si inserisce una "A", pronunciata molto velocemente e quasi impercettibile, per facilitare la pronuncia (es.: tròp a strach troppo stanco).

Nel dialetto spesso le parole aggiungono o perdono una lettera per evitare dissonanze o difficoltà nella pronuncia della frase; per questo motivo, se non trovate una parola nel vocabolario o non la conoscevamo, e vi saremmo grati se ce la segnalaste, oppure la trovate scritta in modo lievemente diverso, magari senza l'iniziale.

In molte parole si registra la perdita della "V" se iniziale o messa tra due vocali (es. éstìt e vestìt vestito, giuedé o giuadé giovedì), della vocale iniziale se seguita da "N" e consonante (es. inteligènt - 'nteligènt intelligente) o da "MB" o "MP" (es. ambientàs - 'mbientàs ambientarsi) .

Sempre per aiutare la pronuncia, altre parole aggiungono una lettera (normalmente una "S" o una "N") all'inizio (es.: 'na sfubalàda una pallonata da fùbel pallone da calcio, a 'l s'à 'nfruznàt 'nduè ? dove si è cacciato ? da fròzna fiocina) altre sono presenti nelle due forme (es.: curnàda e scurnàda cornata, cunfundìt e scunfundìt confuso, guaì e zguaì guaire, baösa e zbaösa saliva che cade dalla bocca etc.).

A complicare ulteriormente il tutto aggiungiamo che, nel caso ad esempio di scioglilingua, filastrocche e proverbi, la volontà di mettere in rima la frase ha portato spesso a modificare le parole utilizzate o a prendere un proverbio non casiratese e ad adattarlo al nostro dialetto.

La trascrizione fonetica delle parole è probabilmente il problema più grosso di chi vuol scrivere in dialetto, soprattutto con un computer che permette un numero limitato di segni a disposizione. Noi ci siamo limitati ad utilizzare le lettere dell'alfabeto italiano, ma in effetti nel nostro dialetto molte lettere hanno diversi suoni che non siamo riusciti a riprodurre con i caratteri che avevamo a nostra disposizione. Ad esempio, nella parola laàa (lavava) le tre "A" hanno pronunce differenti e diversi modi di aprire la bocca per pronunciarle, la "I" può essere appena avvertibile (es.: püiznà piovigginare) oppure pronunciata in maniera molto marcata (es.: bagàia ragazza) e così via.

Abbiamo deciso di semplificare il tutto, anche per non annoiare il lettore con caratteri strani e di difficile interpretazione, e di utilizzare le vocali senza cercare di trascrivere tutti i vari suoni con cui si possono presentare. Abbiamo lasciato solo gli accenti per indicare se la vocale va pronunciata aperta o chiusa e per far capire qual è la sillaba su cui cade l'accento.

Facciamo alcuni esempi su come pronunciare le parole scritte nel vocabolario.

La "C" finale di parola si legge dolce (come in cena e cinema), se è dura (come in cane e cono) è scritta "CH" (es.: lac latte e lach lago).

Il gruppo "GN" si legge come in italiano (es.: zbergnòt cappello non bello, senza forma), anche se probabilmente in tempi meno recenti e meno italianizzati il suono "GN" era spesso sostituito da una "NI" (zberniòt).

La lettera S l'abbiamo scritta in due modi, scritta "S" è dolce (come in sette e socio) mentre quando è aspra (come in rosa e casa) l'abbiamo scritta "Z", sfruttando il fatto che la Z non esiste nel nostro dialetto e forti del precedente di S. Zappettini nel suo vocabolario più volte citato (es.: sèt sette e zét gente).

In effetti esiste un altro suono "S" in dialetto, più sibilante (es.: siémo scemo) che sostituiva in passato il suono "SC" italiano, abbiamo ritenuto più opportuno lasciare la "S" per non confondere ulteriormente il lettore.

"S'C" scritto con l'apostrofo tra le due lettere non si legge come in italiano "SCI", ma con le due lettere separate (es.: s'ciòp fucile s'cèp rotto).

Probabilmente nel dialetto casiratese non esisteva il fonema italiano "SC", ma c'è entrato a forza di sentire parole con tale suono (sia in italiano che nelle precedenti dominazioni francese ed austriaca) e oggi si trova comunemente usato.

Il segno "-" fra due vocali indica che le due vocali vanno pronunciate staccate tra di loro (es.: la pronuncia di pi-às mordersi è differente da quella di piàs piace).

Sulle vocali non facciamo esempi di pronuncia in italiano in quanto noi lombardi abbiamo una pronuncia differente dagli abitanti di altre regioni, differenti anche da provincia a provincia e addirittura da paese a paese, e l'esempio in italiano potrebbe non risultare chiaro.

Se volete scatenare una rissa, provate a chiedere ad un gruppo di persone di varie provenienze come si pronunciano ad esempio femmina o compito, se con la "E" o la "O" chiusa od aperta e vi accorgerete di come sia inutile fare esempi di questo tipo.

Esempi di pronuncia delle vocali accentate :

é ("E" chiusa es.: pél pelo, zét gente)

è ("E" aperta es.: pèl pelle, sèt sette)

ö ("EU" francese es.: ös uscio, gnöch ostinato)

ò ("O" aperta es.: òs osso, gnòch gnocco)

ó ("O" chiusa es.: nigót niente, póch poco)

ü ("U" francese es.: ergü qualcuno, uno)

Se non siete d'accordo su come abbiamo scritto alcune parole, non prendetevela più di tanto; anche fra di noi ci sono state discussioni a non finire per decidere se fosse più corretto e "casiratese" dire giuedé o giuadé per giovedì, ginöc, genöc o giünöc per ginocchio, creèl, crièl e cruèl per setaccio … e potremmo continuare con altre decine di esempi.

Noi abbiamo cercato di citare tutte le varie forme, ma può darsi che qualcuna ci sia sfuggita.

Per questo motivo, se non trovate un termine nel vocabolario, cercatelo scritto in modo lievemente diverso, magari senza l'iniziale (imperatore è imperadùr o 'mperadùr, vestito si può dire éstìt o vestìt e un immigrato dirà forse anche vistìt), oppure con le vocali variate (oltre agli esempi appena citati giocare è sia giügà che giugà, che è senza soldi è sia strapelàt che strepelàt, qualche importato dirà zio, sübet e pùlver, ma il casiratese verace dirà zéo, söbet e pólver e potremmo proseguire con numerosi altri esempi). Abbiamo cercato di trascrivere tutte le forme nostrane, ma forse qualcuna ci è sfuggita; perciò vi consigliamo di usare un po' della vostra fantasia per trovarle.

In questo vocabolario ai termini principali seguono frasi, modi di dire e proverbi che li contengono. A volte l'elenco è lungo per un motivo molto semplice: il dialetto non ha troppi vocaboli e perciò si utilizzano perifrasi, unendo per esempio un avverbio ad un verbo. In questo caso molti verbi cambiano completamente il loro significato: ad esempio baià significa abbaiare mentre baià adré significa sgridare e non abbaiare dietro. Questo è un esempio di industriosità, come usare i pochi vocaboli conosciuti per creare una lingua viva di mille espressioni. Oggi purtroppo la traduzione ad orecchio di vocaboli italiani ha fatto sparire molte di queste perifrasi; si sente per esempio vendemià invece di schisà l'öa.

Abbiamo usato caratteri diversi in questo vocabolario, per differenziare i termini dialettali dalle traduzioni in italiano; di seguito abbiamo preparato una tabella di esempio dei caratteri utilizzati.

aca parola principale
mucca traduzione
arda frase secondaria
aca termine dialettale citato
() traduzione letterale
[] parole omesse nella frase o nella traduzione; parole che possono anche essere omesse

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