Se la lingua muore,
se s'impesta,
se perde le parole
e prende il lutto,
se nelle case cieche
e nel cuore dei vecchi
s'imprigiona,
allora il paese è finito,
è senza storia

Ignazio Buttitta (poeta siciliano Bagheria 1899-1997)

Scrivere un vocabolario in dialetto oggi non è un'impresa facile, per vari motivi. Le fonti originarie, intese come persone che parlano solo il dialetto di Casirate e che ne usano correttamente i termini, stanno diventando molto difficili da trovare e il dialetto si è imbastardito a causa del suo uso sempre più sporadico, delle traduzioni ormai generalizzate dall'italiano e dell'immigrazione dagli altri paesi, soprattutto quelli con dialetti simili, che ha portato nuovi vocaboli e variazioni ai termini originari.

Noi abbiamo provato lo stesso, tenendo conto che la parlata di un paese è una strana lingua, sempre in effervescenza, sempre pronta a cambiare, a recepire termini nuovi e ad adattarli. Con tutte le dominazioni subite dal nostro paese nei suoi mille e trecento anni di storia, ne è uscita una lingua in cui si sentono influenze latine, gotiche, longobarde, germaniche, franconi, francesi, occitane, spagnole, tedesche eccetera eccetera eccetera (oltre che quelle greche, arabe e altre prese non da dominazioni dirette, ma dall'influenza che queste lingue hanno avuto sul latino o sull'italiano) come si vede chiaramente dall'etimologia delle parole. Sembra che solo le armate cartaginesi siano passate nel nord Italia senza lasciare traccia del loro idioma nel nostro dialetto; può darsi che siano passate da Arzago e nessuno di loro abbia sentito il bisogno di visitare Casirate e di insegnarci qualche nuovo termine. Oggi poi, anche per la riscontrata carenza nei dialetti di termini astratti e di parole adatte a definire oggetti che non esistevano e perciò non avevano un nome, la gente è portata ad utilizzare sempre più l'italiano, prendendo da questa lingua pari pari i termini e traducendoli in dialetto con la semplice variazione della finale. Per fortuna non si registrano ancora traduzioni ad orecchio di termini inglesi, salvo alcuni relativi al gioco del fùbel, e chissà che la futura integrazione europea non ci porti in dote termini in altre lingue.

Le nuove parole ci hanno posto davanti al dilemma se registrarle o no; televiziù l'abbiamo volutamente scartata, e, non sapendo se scrivere compüter o compiùter, abbiamo scartato anche questo termine, anche se siamo a conoscenza che questo attrezzo viene utilizzato da secoli nelle nostre campagne, per usi che però ci sono oscuri. Allo stesso modo non abbiamo registrato gins uìschi, ma camiòs, èns e altre ci sono piaciute e le abbiamo inserite nel vocabolario, pur rendendoci conto che avremmo scatenato le ire dei puristi.

Questo è il bello del dialetto, che si evolve continuamente e che fa litigare gli estensori di un vocabolario come il nostro, sempre in disputa su quali parole devono essere inserite come autentiche Casiratesi DOC e quali sono invece prese in prestito da altri idiomi e quindi da non inserire. Noi preferiamo mantilèt a tuaiöl e fèr da supresà a fèr da stir (o peggio ancora fèr de stir), ma non possiamo negare che probabilmente i primi termini sono ormai sconosciuti ai più e che i casiratesi usano di preferenza i secondi, presi chiaramente dall'italiano.

Proprio per questa progressiva scomparsa del nostro dialetto abbiamo voluto fare lo sforzo di redigere questo vocabolario, fornendo le parole che ci ricordiamo, che abbiamo avuto da informatori che ci hanno aiutato, che abbiamo sentito in giro, che siamo riusciti a conoscere a fórsa da sütà a menàghela a la zét ca ma balàia 'n gir.

Abbiamo fornito anche la traduzione letterale dei termini, certi che così molti capiranno finalmente la strana costruzione delle frasi in quell'italiacano scorreggiuto che fino a poco tempo fa veniva usato da chi voleva a tutti i costi parlare un italiano cui "lui non ci era uso" e che "non ci aveva dato a tra alla maestra che ci diceva a lui di darci dentro a studiare" e allora "stava schiacciato" se c'era da fare un discorso in italiano.

Oggi siamo tutti più bravi, nell'uso quotidiano non traduciamo più dal dialetto ma direttamente dall'inglese con risultati ugualmente catastrofici, dimentichiamo i congiuntivi e cerchiamo con tanta buona volontà di imbastardire anche l'italiano, ma così va il mondo.

Di alcune parole siamo stati così bravi da trovare l'etimologia presa da varie fonti (*), tenendo presente che "l'etimologia è una scienza in cui le consonanti hanno poco significato e le vocali non contano assolutamente niente".

La definizione non è nostra e non ne ricordiamo l'autore, ma ci è piaciuta e l'abbiamo voluta riportare per sfoggiare la nostra cultura e per dare un alibi ai numerosi errori che sicuramente avremo commesso nelle nostre ricerche.

Nelle traduzioni letterali di alcune frasi, non siamo riusciti a trovare il significato di alcune parole; abbiamo perciò lasciato un triplo punto interrogativo, sperando che qualcuno ci aiuti a trovare l'esatta traduzione del termine a noi sconosciuto.

Scrivendo questo testo ci siamo resi conto di una cosa: nel dialetto non esistono che pochi termini astratti, e quasi sempre tradotti dall'italiano. Evidentemente per i nostri antenati l'amore non aveva bisogno di parole, mentre la mucca doveva avere molti termini specifici per definirne i vari aspetti, quali il sesso, l'età e così via. Nella nostra civiltà prettamente rurale solo le cose concrete valevano lo sforzo di un termine specifico; i sentimenti, le passioni, le cose astratte in genere semplicemente non avevano un nome. Evidentemente solo in tempi recenti si è sentita la necessità di nominarle ed è stato più semplice, invece di inventare un nuovo termine, fare una traduzione dall'italiano. Forse è per questo che non esistono poesie né canzoni in dialetto casiratese, l'impossibilità di far si che amùr facesse rima con cör ha tarpato le ali ai poeti nostrani. C'era sempre la possibilità di far rima con calùr, ma evidentemente l'associazione era considerata troppo spinta ('l è 'n calùr significa "ha l'estro" o "ha un forte desiderio sessuale") e non era stata presa in considerazione.

Il valore che le cose astratte hanno, o meglio avevano, per chi parlava in dialetto secondo noi è esemplificato dall'espressione só ansàt belèsa mi sono dato tanto da fare e non ne ho tratto alcun vantaggio (mi sono avanzato bellezza). Detta oggi, in cui si spendono un sacco di soldi per cosmetici e lampade solari, forse il suo significato è incomprensibile.

Saremo grati a tutti quelli che vorranno leggere questo vocabolario nelle lunghe sere invernali (mentre fino ad oggi si dilettavano leggendo la guida del telefono e le istruzioni in fiammingo sull'uso del videoregistratore) e ci segnaleranno le imprecisioni, gli errori (magari sottolineati con la matita rossa e blu 'mè la maèstra bunànima) e le parole che noi abbiamo dimenticato e che speriamo altra gente ricordi ancora.

Garantiamo a tutti che prenderemo nota delle loro segnalazioni e terremo costantemente aggiornate queste nostre note, convinti come siamo che anche il dialetto di Casirate debba avere un suo posto fra i dialetti italiani e che solo la pubblicazione di un vocabolario lo possa fare adeguatamente conoscere.

Per fortuna abbiamo trovato due testi che ci hanno permesso di non partire da zero "Gente e parole" di I. Santagiuliana (edito dalla Cassa Rurale di Treviglio nel 1975) e "Vocabolario Bergamasco-Italiano per ogni classe di persone e specialemente per la gioventù" compilato dal ragioniere Stefano Zappettini nel 1859 e ristampato dal Popolo Cattolico alcuni anni fa. Questi due testi ci hanno aiutato ad organizzare il nostro vocabolario e ci è sembrato doveroso citarli.

Danio, Edo, Mabi e Virgilio

(*) Principalmente i testi REW, SALVIONI-FARE', ERNOUT-MEILLET, EVANGELISTI, DEI, DEVOTO, OLIVIERI, DTL, "Gente e parole" di I. Santagiuliana (edito dalla Cassa Rurale di Treviglio) e dai volumi (editi negli anni 70 dalla regione Lombardia) sui paesi e province lombardi


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