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La Carovana

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Seattle e dintorni

di Linda Distinto

Un proverbio africano dice che quando due pachidermi lottano per il cibo solo uno vince. Una cosa, però, è certa: l’erba ci rimette sempre.
Genova: un mese prima. Iniziano le preoccupazioni, i dibattiti, le rassicurazioni ecc. nel capoluogo ligure che deve “misurarsi” per accogliere, in modo se non adeguato almeno indolore, l’incontro del G8. Ma gli “otto potenti della Terra”, con il loro seguito di circa 1500 rappresentanti, non sono i soli ospiti che la città aspetta ancora un po’ impreparata e forse inadeguata.
Ad allungare la lista degli “invitati” c’è l’ormai immancabile popolo di Seattle, etnia in espansione, diversificata al suo interno ma unità nel comune intento di manifestare il suo No alla globalizzazione, intesa come improbabile panacea ai mali del mondo confezionata dai “potenti” a scapito del resto del pianeta.
Eppure ad un mese dall’evento, i riflettori sono puntati non tanto sui temi e sulle idee che s’incontreranno o si scontreranno nella città della lanterna, quanto sui problemi logistici, di sicurezza ed incolumità dei partecipanti. Anche il terrorismo islamico è stato tirato in ballo: obiettivo presunto, il presidente americano George W. Bush. Quest’ipotesi di “catastrofe” da sola basterebbe a fare di Genova la città blindata che si sta preparando a diventare.
Ma non è sola la sicurezza di Mr. Bush ad essere in pericolo; da parte loro i manifestanti temono che questo clima infuocato impedisca, di fatto, il loro diritto a farsi sentire.
Berlusconi, replicando al suo neoministro degli esteri Ruggero che a Goteborg ha dichiarato: “No alle vittime, si al progresso”, si dice pronto al dialogo. E se molti si ritengono soddisfatti di quest’apertura, tanti altri – e noi tra questi – si domandano se non sia una strategia strumentale per calmare semplicemente le acque. Sta di fatto, che i Cobas e il Genoa social forum già si dichiarano insoddisfatti delle finte promesse del cavaliere, che dopo tanti proclami d’apertura, non si è neanche degnato di partecipare all’incontro promosso dal Ministero del lavoro.
Preoccupa, per la verità, anche “l’insana” affinità elettiva tra il nostro presidente del consiglio e il presidente americano, ormai ribattezzato dal popolo di Seattle “toxic Bush”. (Vedi le analogie in termini di politiche ambientali, economiche e militari).
Forse è questo il nocciolo del problema che, richieste di dialogo a parte, non è stato ancora affrontato. C’è chi chiede come i Verdi e il PRC, un contro-vertice che s’incentri sulle ragioni della globalizzazione o, meglio, sulle alternative all’economia neoliberista che fa dello sviluppo di pochi la ragione dello sfruttamento di tanti. Pur nella violenza degli scontri, spesso subita e talvolta, purtroppo, provocata da certi gruppi estremisti, il popolo di Seattle ha sempre portato in piazza la volontà di far luce sui “margini” dello sviluppo occidentale, sulle zone nere, sulle sacche di povertà e sulle contraddizioni insanabili che esso genera.
C’è il pericolo, ora più che mai, che il G8 diventi un banchetto in cui gli “otto pachidermi s’ incontrano per spartirsi l’erba…” Se è vera la disponibilità al dialogo, sono necessarie non le solite strette di mano di facciata ma risposte serie. Le aspettiamo.


 

 

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