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La Carovana

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Viaggio a Kandahar

di Vittorio Celotto e Michele Cascone

“Prima o poi il resto del mondo si accorgerà di noi e ci aiuterà”. In questo modo il responsabile di un campo profughi cerca di rassicurare un gruppo di bambine afgane che stanno per tornare al loro paese. Nel film, girato ben prima dei fatti dell’11 settembre da Molisen Mokhmalbaf, Nafas è una giovane donna afgana che vive in Canada dov’è un’affermata giornalista. La sorella le scrive da Kandahar che si suiciderà il giorno dell’imminente eclissi di sole, e a quella data ormai mancano solo tre giorni…Nafas deve raggiungerla e convincerla a rinunciare al suo gesto; ma raggiungere la capitale afgana durante la guerra tra Talebani e Iraniani non è certo cosa facile.
La storia è tutta qui, ma costituisce soltanto un pretesto per un viaggio che fotografa le contraddizioni, le lacerazioni e le sofferenze della popolazione afgana. Se ne consiglia quindi la visione a chiunque voglia capire qualcosa sull’Afganistan dei Talebani, a chiunque voglia scoprire che lì i bambini vengono iscritti a scuola, dove imparano a maneggiare mitragliatrici e a recitare il Corano a memoria, solo perché è l’unico modo che hanno per sopravvivere e mantenere le loro famiglie; a chiunque voglia provare ad infilarsi un burqa e a guardare il mondo da quella prigione di stoffa che priva le donne della loro identità, che reprime tutti i desideri e i bisogni anche più elementari, che elimina qualsiasi rapporto diretto con uomini che non siano i propri mariti (persino con i medici); a chiunque voglia confrontarsi con la realtà di migliaia di mutilati (così ridotti a causa delle mine antiuomo lasciate dalla guerra antisovietica) che corrono disperatamente verso gli elicotteri occidentali dai quali cadono le protesi artificiali, quasi come manna dal cielo. Le vicende sono accompagnate da canti tristi e lamentosi e il regista gioca spesso sul contrasto tra la precaria condizione della popolazione dell’Afganistan e il fascino dei suoi paesaggi da “Mille e una notte”. Makhalbaf quindi con il suo crudo, anche se in alcuni punti pedante, realismo, attrae lo spettatore che rimane coinvolto emotivamente sia dalla situazione della protagonista sia da quella maggiormente rilevante del popolo afgano.
Solo un piccolo appunto da fare al regista: vi sono alcuni squilibri narrativi, poiché il film, si barcamena un po’ a casaccio tra una visione documentarista delle condizioni dell’Afganistan e la vicenda personale della giornalista, senza sapere cosa scegliere, ma finendo inevitabilmente col catturare il suo pubblico soprattutto nei momenti "documentaristi" e ponendo così in secondo piano la missione della protagonista.

 

 

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