Appunti di corsa alla Lupatotissima

di Maurizio Crispi

 

Non tutti sanno che ogni anno nei pressi di Verona, a San Giovanni Lupatoto, si corre una gara straordinaria anzi vi si celebrano più gare raccolte in un unico evento podistico davvero “straordinario”: la 24 ore in pista individuale (di cui l’anno scorso, nel 2001, si è celebrato il Campionato del Mondo), la staffetta a squadre 24x1h, la maratona in pista (cui quest’anno hanno partecipato due atleti) e, infine, come evento-cornice, una stracittadina non competitiva con la partecipazione di 3000-4000 persone.

Questa mia “avventura” alla Lupatotissima è nata per caso: il mio amico Enzo, mentre perfezionavamo l’iscrizione alla 24h Podistica Castiglionese, mi ha detto “Che ne pensi di fare anche la Lupatotissima?” Io, senza stare a perdere tanto tempo per pensarci su, ho immediatamente replicato con entusiasmo: “Andiamoci!”

È stato così che, in due umidi e piovosi giorni di fine settembre, ho potuto sperimentare per la prima volta l’ebbrezza di una 24h in pista.

L’impegno mentale nella 24 ore

Facendo un piccolo passo indietro, la 24h è una tipologia di gara che è ancora guardata con molta diffidenza dai cosiddetti podisti “normali” (coloro che – per intenderci – sinora si sono cimentati soltanto nella maratona e – magari – sporadicamente, in un’ultramaratona su strada).

Per i più, rimane una gara “incomprensibile”, dal momento che, in essa, il gesto atletico viene ad essere in qualche misura snaturato dalla necessità di dover durare nel tempo…

Infatti, mentre nelle gare su strada “ordinarie” si deve partire dal punto a per giungere al punto b, cercando di coprire la distanza nel più breve tempo possibile (in relazione alle diverse capacità di ciascuno), nelle 24h, che di norma si svolgono su di un circuito di qualche chilometro (quando sono su strada) e di alcune centinaia di metri (se hanno luogo in pista), vi è un tempo dato (nella tipologia di base: le 24 ore, ma poi ci sono anche le 48h, la sei giorni podistica, la mille miglia etc… Non si finisce mai di sorprendersi…) durante il quale ciascun atleta deve esprimere al meglio la sua capacità di resistenza (e di regolarità), massimizzando le ore che ha a disposizione per coprire il maggior numero di chilometri.

 

 

Non vi è, ovviamente, un rapporto diretto tra la capacità di prestazione in una Centochilometri su strada e nella 24 ore: in altri termini, non è detto che – tanto per fare un esempio - un atleta capace di percorrere cento chilometri in 8h, possa accumulare in una ventiquattro ore trecento chilometri.

Mentre in una gara lunga su strada, la psicologia elementare e la spinta motivazionale del podista ruotano attorno al pensiero che prima si finisce, prima si va a casa a riposare, nella 24 ore gli atleti devono confrontarsi con ostacoli diversi e soprattutto con la propria attitudine ad amministrare le energie perché durino nel tempo…

Sicuramente, occorre che un atleta per commutarsi sull’assetto mentale necessario a correre una 24h podistica operi un cambiamento abbastanza profondo nel sistema delle motivazioni e nel proprio assetto cognitivo-esperienziale.

Uno degli aspetti cardine dell’aggiustamento di orientamento al compito richiesto ad un podista che si accinga a correre questa prova, è dato dalla necessità di sospendere e, in qualche modo, ridefinire l’attenzione al paesaggio esteriore per dare invece spazio al panorama interiore: l’atleta che percorre tanti chilometri, senza vedere variare significativamente lo scenario da cui è circondato, deve soprattutto rivolgere lo sguardo dentro se stesso, occupandosi piuttosto del proprio paesaggio interiore (con il quale assunto si vuole significare non solo il riferimento a tutto ciò che riguarda il corpo-macchina, intento alla prestazione, ma anche la mente cognitiva ed emozionale, focalizzata nel compito di gestire la fatica, assorbendola e metabolizzandola).

 

Le mie sensazioni
La decisione di partecipare alla Lupatotissima mi ha tenuto in qualche misura in apprensione, anche se, dentro di me, man mano che si avvicinava il giorno della gara, si andava accendendo l’entusiasmo davanti all’ignoto e alla dimensione dell’avventura… come sempre quando mi trovo davanti ad una cosa nuova che ancora non posso ben padroneggiare, perché non la conosco dall’interno…

L’idea di stare a girare per 24 ore di seguito con un panorama che io, sulla base della mia limitata esperienza di allenamenti in pista, presumevo molto ristretto da osservare, m’incuteva indubbiamente un certo timore… Non amo molto l’anello rosso e preferisco sempre correre all’aperto, sia in città che in luoghi più selvatici, con il piacere aggiuntivo della distanza lineare da coprire e, in alcuni casi, dell’“esplorazione”, soprattutto quando corro in luoghi stranieri e in altre città… So anche dell’avversione di molti ad allenarsi molto a lungo in pista … Quindi, l’apprensione rimaneva e si agitava dentro di me come un fatto molto naturale… Mi chiedevo come sarebbe stata quest’esperienza… Ma, in fondo, avevo la consapevolezza che, anche se in termini di paesaggio “esteriore” durante la gara ci sarebbe stato poco da scoprire, sarebbe stata dentro di me molto viva la promessa della scoperta dell’esperienza stessa e di ciò che mi avrebbe potuto donare.

Ebbene: l’ho realizzata, l’impresa della 24h, in termini modesti (superando di poco i cento chilometri: nulla a che vedere con la performance degli autentici “mostri” presenti): ma quel che conta, è che sono riuscito a stare per 24 ore in pista, dedicando tempi relativamente esigui al riposo notturno.

Sono fiero della riuscita di questa piccola grande impresa, per me e per tutti gli altri con cui l’ho condivisa, anche perché, mentre i podisti che corrono le maratone sono molte migliaia, quelli che si cimentano in questo tipo d’imprese continuano ad essere soltanto poche decine e quindi, in certo modo, sono tutti dei “pionieri”, degli “eroi” ( e vi assicuro che non sto usando questa parola per eccesso di retorica, ma perché penso davvero che siamo autori di un’impresa in qualche modo “eroica”), meritevoli di stima e d’elogio.

Alcune mie impressioni, molto a caldo: innanzi tutto, la pista non è poi così noiosa, come si potrebbe pensare e come alcuni sostengono rifiutando con orrore l’idea di corrervi a lungo, ad eccezione che per compiere i “lavori”.

Certo, si sa che la pista è dura e che bisognerebbe avere qualche consuetudine con le sue caratteristiche, per affrontare questa prova mantenendo nel corso del tempo una certa brillantezza nella performance  Occorrerebbe avere, nel proprio carnet, qualche lungo allenamento sull’anello rosso giusto per creare le premesse ad una migliore resistenza all’impatto meccanico e alle sollecitazioni sul sistema osto-articolare (e anche, ovviamente, per acquisire dimestichezza con sensazioni somatiche e cinestesiche poco variate).

 

Monotonia e cambiamento

Ma, a parte questo, la pista nell’arco delle 24 ore si è rivelata insospettabilmente varia, a condizione di riuscire ad aprire l’occhio della mente ad un flusso di percezioni sub-liminari, alle quali in condizioni ordinarie non facciamo caso perché – distratti dalle nostre incombenze usuali - non siamo portati ad osservare gli accadimenti esteriori in termini di flusso di variazioni poco percettibili dal cui succedersi dipende la percezione del cambiamento.

Ecco quali sono state per me alcune delle variazioni ricche e stimolanti, nell’apparente uniformità della situazione…

I momenti della giornata e la successione di luci e di cromatismi: cambiano i colori; cambiano gli eventi atmosferici: fa caldo, poi piove (prima, una pioggerella minuta, poi, un acquazzone violento); poi, si vedono i colori cangianti dell’imbrunire; poi, si fa notte e, le cellule fotoelettriche, accendendosi di colpo, intercettano con fasci di luce cruda gli atleti che corrono o camminano sul tratto di pista, scagliando le loro ombre allungate sulle corsie rosse, degne di un film poliziesco hard-boiled…; poi, di nuovo, un diluvio notturno con la pioggia battente che lascia tutti intirizziti come pulcini bagnati sino alla radice del piumino; … poi, ore più tardi, arriva l’alba (quasi alla 18° ora), un’alba grigia e bagnata; poi, di nuovo, si affaccia l’umido bagliore del sole velato dalle nubi… Eventi atmosferici e cambiamenti di luminosità e di cromatismi si collocano in una sequenza continua ed inarrestabile di eventi che impediscono di percepire il movimento di traslazione sulla superficie dura della pista, come monotono e monocorde: si tratta di eventi-emozioni che di solito, in uno stato di coscienza ordinaria, diamo per scontati, di cui non ci accorgiamo nemmeno e che, invece, in questa particolare situazione, entrano prepotentemente nel nostro flusso di percezioni perché appunto rappresentano le variazioni… quelle variazioni di cui la nostra mente ha continuamente bisogno per non scivolare in uno stato di deprivazione sensoriale…

Poi ancora, c’è la rumorosa coreografia della staffetta 24x1h che per alcuni versi rappresenta anch’essa una variazione, uno spettacolo che ci è offerto, mentre siamo intenti nella nostra fatica individuale, ma che, nello stesso tempo, si pone come uno stimolo fastidioso con il suo corteo di schiamazzi, d’incitamenti da parte degli astanti al podista della propria squadra in gara assieme ai rappresentanti delle altre ventiquattro squadre… Avremmo piuttosto bisogno di silenzio e di concentrazione; la nostra è una fatica che non vuole chiassosi incitamenti, ma che richiede raccoglimento e, almeno in parte, introversione…

In realtà, non c’è un “vero” pubblico per noi: se non fosse per familiari ed amici che accompagnano alcuni dei runner sulla lunga distanza, probabilmente ci saremmo soltanto noi e gli organizzatori, più i testimoni accreditati (cioè: i rappresentanti della stampa); la maggior parte del pubblico è qui, principalmente, per seguire le vicende della 24x1h che si celebra con manifestazioni di agguerrita partecipazione e con acceso spirito agonistico.

Non per fare una colpa ai supporter della 24x1h, ma credo che la fatica di coloro che sono intenti nella prova individuale sia per molti “incomprensibile”, perché qui manca il gesto atletico “spettacolare”, perché i ritmi sono relativamente lenti… In effetti, bisognerebbe prima immergercisi per comprenderla pienamente, viverne per intero la durata, anche se da semplice spettatore, e così arrivare a capire, per approssimazione, quale possa essere la fatica dell’atleta che vi s’impegna, ora dopo ora….

Poi, ancora, a scandire il trascorrere del tempo, ogni quattro ore, arriva - benvenuta – l’inversione di direzione di marcia, pensata per distribuire equamente la sollecitazione meccanica su entrambi i lati del corpo, ma anche per offrire ai podisti l’opportunità di un capovolgimento dello scenario percepito. È incredibile costatare quanto, cambiando direzione, si modifichi la prospettiva, cosicché tutto ciò che si era osservato prima diventa in qualche modo nuovo e diverso…

Poi, a scandire i giri che s’inanellano gli uni sugli altri, c’è il trillo continuo del rilevatore dei micro-chip… ad un certo punto, passando dalla zona cambi, mi sono liberato dell’orologio che ritenevo un peso inutile;, mi sono detto, Ma in fondo cosa ho da controllare con l’orologio?… dei giri fatti, dopo poco tempo, avevo già perso il conto; ma se effettivamente uno volesse tenere il computo minuzioso dei giri compiuti, uscirebbe presto fuori di testa… e, in ogni caso, allo scadere di ogni ora arriva nella zona cambi la stampata con tutte le informazioni necessarie; per questi motivi, che importanza può avere controllare l’ora? Quel che conta è che bisogna stare per 24 ore in pista: dunque, i segni dello scorrere del tempo sono scanditi dagli eventi stessi della pista… Non c’è bisogno di avere con sé degli strumenti individuali per la misurazione del tempo… Sono lo scorrere delle sensazioni e la costruzione continua delle percezioni, a dare la misura della variazione.

Poi, ci sono le continue conversazioni che continuamente si accendono con gli altri compagni di corsa… con i quali si corre affiancati per tanti giri di seguito oppure si cammina accanto per pochi metri soltanto, per poi ritrovarsi di nuovo assieme dopo qualche giro… Conversazioni riguardanti le tante storie che ciascuno di noi ha da raccontare… eventi podistici cui si è partecipato … gusti e preferenze e poi, man mano che si va avanti nella notte e si cerca di star svegli, si diventa più inclini alle confidenze personali oppure alla narrazione di eventi della propria vita…

I tipi umani sono anch’essi un motivo di continuo cambiamento: è come se, su di un fondale mobile sfilassero senza sosta dei personaggi fortemente tipizzati di ognuno dei quali, a poco a poco, ciascuno di noi - man mano che i passaggi si moltiplicano – impara a conoscere a fondo un singolo gesto caratteristico ed inconfondibile, come - ad esempio - l’ucraino che ogni volta che ci arrivava alle spalle batteva con un colpo secco, ma leggero, le mani per segnalarci la sua presenza e chiederci strada, per poi profondersi in ringraziamenti con un tentennamento del capo più volte ripetuto, mentre con il suo passetto breve, quasi senza tempo di volo, tornava ad allontanarsi… oppure l’anziano Di Luzio, con la sua fluente barba bianca, imponente e patriarcale, assistito, accudito, curato maternamente dalla moglie, dalla figlia e dal nipote… ma questi sono soltanto due esempi, tra tanti altri che pure meriterebbero una citazione, ma non c’è abbastanza spazio per accoglierli tutti…

 

Individualità e solidarietà

I podisti impegnati nella 24 ore individuale, pur essendo ciascuno di essi intento al raggiungimento di un suo personale traguardo (piccolo o grande che sia), vengono a costituire, di fatto, una piccola comunità viaggiante, che mantiene compatezza e vincoli di solidarietà (una solidarietà che va crescendo sempre più con lo scorrere delle ore), benché si proceda ad andature diverse… perché, prima o poi, ci si ritrova sempre per tornare a condividere un pezzo di strada assieme.

In ogni caso, è la tacita consapevolezza a costituire il tessuto connettivale di questo feeling

Ognuno fa da testimone della fatica degli altri… Ciascuno, quindi, nella misura, in cui questa fatica la sta vivendo in prima persona, è anche intimamente solidale con essa…

Si parla, ma - a volte – è il silenzio il legame più forte: in certi momenti, non sono più necessarie le parole per tenersi svegli, ma semplicemente la consapevolezza del gesto comune e della condivisione della fatica… Non ci si guarda in cagnesco; non c’è l’aggressività reciproca, portata allo spasimo, che poi si traduce nell’agonismo tipico della gara su distanza lineare e che, come contraltare, si può osservare negli atleti impegnati nella 24x1h…

Tutti sono ben consapevoli del fatto che, benché la prova sportiva che si sta compiendo sia individuale, si sta portando avanti, assieme, un’impresa comune, la celebrazione di un rito collettivo, al termine della quale alcuni avranno totalizzato più chilometri, ma sempre tutti assieme, condividendo sino all’ultimo la fatica di stare sulle gambe per 24 ore di seguito.

Certo, ci sono quelli che sono totalmente centrati sul compimento dell’impresa, i primi assoluti, uomini e donne, … Sono quelli che, alla fine delle 24 ore, avranno superato i 200km, come l’incredibile atleta ungherese Edit Berces che, prima assoluta con 250km 106m, nel corso della gara ha inanellato una serie di record mondiali… ma è chiaro che, per realizzare un’impresa di tal genere, bisogna più radicalmente di altri chiudersi alla dimensione collettiva ed entrare in un mondo di riferimenti interiori, in cui tutto deve essere finalizzato al compito che ci si è dati…

 

La 24h come impresa familiare

È in riferimento a questi atleti di punta che emerge drammaticamente la mia convinzione che, per essere i primi, bisogna anche potere esprimere una forte tempra che consenta di stare da soli, di rifuggire dai vincoli e dalle seduzioni del sentirsi parte di un gruppo che supporta e aiuta…

Ma i primi, forse a maggior ragione, dovendo vivere la 24 ore così spasmodicamente centrati sul compito hanno bisogno di supporto, di aiuto logistico da parte di familiari ed amici che in alcuni casi vengono a costituire delle proprie squadre, come nella gare automobilistiche i team che assicurano la assistenza tecnica. ecco, quindi, l’ungherese assistita da una fedele amica che, ad ogni passaggio, le fornisce tutto quello di cui possa aver bisogno; il forte Mazzeo, come sempre accudito dalla moglie, prodiga di amorevoli attenzioni; il severo Sterpin, marciatore di Trieste, aiutato in zona cambi da moglie e figlia; Di Luzio con il suo tri-generazionale team di supporter; il podista originario di Verona, alla sua prima esperienza sulla 24 ore in pista attorniato dai genitori al seguito, mentre la moglie se ne è rimasta a casa … Tutti questi esempi mostrano come la partecipazione ad una 24h individuale diventi una sorta di impresa familiare, cosicché se l’atleta vince (nel senso di raggiungere quell’obiettivo personale che si è prefissato), anche la sua famiglia ha vinto e c’è la forte sensazione di un grido di esultanza che si leva allo scoccare del segnale della fine: Ce l’hai fatta! Noi ce l’abbiamo fatta!

Ma la presenza di questi supporter familiari crea un alone di sostegno e di calorosità, anche nei confronti di tutti quelli che sono venuti da soli … Quindi, ecco ricrearsi in maniera allargata la comunità, cementata da questo forte vincolo di solidarietà…

Tra le tante cose che ci siamo comunicati per far passare il tempo, il mio amico Enzo mi ha detto ad un certo appunto, a mo’ di commento proprio su quest’aspetto: In fondo, sarebbe giusto che l’organizzazione si preoccupasse di fornire una “famiglia” a tutti quelli che vengono a gareggiare da soli… giusto per dare a tutti lo stesso tipo di confortevolezza…

 

Quel che conta è l’esperienza…

Per finire, la 24 ore in pista è una gara che può piacere o non piacere, ma va vissuta non solo come un’impresa sportiva ma anche come un’esperienza che può insegnarci molto su di noi e sugli altri; è un’esperienza di vita che ci consente di apprezzare lo stare con gli altri in un vincolo di solidarietà e di condivisione; è un’esperienza che, alla fine, ci può consentire di dire, ma comunque dopo aver raggiunto l’obiettivo vagheggiato, una volta concluso il confronto con l’impresa, “Ho raggiunto il mio piccolo traguardo e adesso, me ne torno alla mia centochilometri…” oppure ci può rendere più desiderosi di affrontare ulteriori cimenti con questa prova, oppure ancora l’esperienza appena compiuta potrebbe esercitare su di noi una seduzione talmente forte da farci vagheggiare il passaggio ad imprese podistiche ancora più impegnative…

 

Maurizio Crispi