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27.01.2004 - Certi importanti adempimenti dei podisti
Maurizio Crispi et alii


Ricevo, attraverso la mailing list “Quattro chiacchiere tra amici” nel nostro Podisti.Net, alcune considerazioni (a partire da un idea – simpatica – di Arnaldo Fantuzzi e di Antonio Margiotta)
su di un argomento insolito, ma assolutamente cogente per chi corre.
Per noi podisti c'è un adempimento mmmolto importante da espletare, prima di uscire a correre.
Si tratta di qualcosa che ha a che vedere con quell’impronunciabile bisogno che, in un modo o nell’altro, domina – ahimè – le nostre vite e che, in attesa dell’invenzione di mezzi telecinetici che ci consentiranno di liberarci da momentanee e inopportune impellenze con la semplice forza del pensiero, ci costringe intanto a faticose ricerche di luoghi idonei e, in assenza, di anfratti nascosti e reconditi.
Gli antichi romani suddividevano il fenomeno di cui si parla in tre diverse tipologie, in relazione ai diversi momenti della giornata in cui venivano a collocarsi o a “cadere” (per modo di dire).
Le tre tipologie – come ci rammenta Arnaldo Fantuzzi, ricorrendo al latino maccheronico, d’obbligo quando si parla di tali argomenti - sono le seguenti:
Ø Defecatio matutina bona tamquam medicina
Ø Defecatio meridiana neque bona neque sana
Ø Defecatio vespertina ducit hominem ad ruinam.
Ma a queste tre tipologie, valide per la “normale” umanità, se ne può aggiungere una, specifica per noi podisti, e appunto addotta da Antonio Margiotta, che può essere definita come “defecatio intra cursum”(“corsam” per i maccheronici).
“Defecatio intra corsam, a detta di molti, est peius quam defecatio vespertina” perché: “you need cartam but there isn’t any” (= non la ise, nel friulano salentino di Margiotta); “you need locum tranquillum but there isn’t any”; e, per finire, mentre sei intento nell’irrinunciabile adempimento, succede sempre che tu venga sopravanzato da un gruppo di podisti più lenti che, dopo aver concluso la tua bisogna, sarai costretto a rincorrere trafelato, e quando li avrai raggiunti, tutti ti chiederanno dei tuoi problemi intestinali; all'arrivo, poi, sarai preso dall'interrogativo: “Fermandomi quanto ho perduto? e di quante posizioni sono arretrato nella classifica? Interrogativo al quale è ben difficile rispondere, salvo poi a rimanere preso da amletici dubbi.
Se poi questa evenienza ti succede più volte sarai preso dall’altrettanto atroce dubbio se tu non debba allenarti anche nell'espletamento veloce di questa funzione.
Si racconta di atleti top (di cui è bene tacere il nome) che riescono ad entrare ed uscire dai box in 30'' … meglio che ai box della Ferrari!!
Ma poi – in questo caso, si tratta di cosa vista con i miei occhi, per essere precisi alla Midnight Sun Marathon di alcuni fa – ci sono i top runner “cacati”, quelli che, pur di non perdere una manciata di preziosi secondi – specie se sono in pole position, rinunciano persino ad entrare nei box…
È per questo motivo che prima dell’inizio di una maratona ci sono tanti runner fissati con quelle operazioni che, in metafora automobilistica per l’appunto, alcuni amano indicano come “rifiniture” oppure “lucidature dei condotti” dell’ultim’ora….

* * *

Per chi desiderasse coltivare degli approfondimenti sull’“impronunciabile” bisogno, in genere, consiglio la lettura estremamente istruttiva ed interessante del libro di Stefano Cagliano, “L’impronunciabile bisogno” (Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002), una lettura che, ovviamente, può rappresentare una stimolante compagnia proprio durante i nostri espletamenti quotidiani.
Lo studio di Cagliano copre i più disparati ambiti (Escrementi e psicologia, Escrementi e civiltà, Escrementi e arte) insomma di tutto e di più, sviluppando la tesi che, benché “impronunciabili” e sottoposti ad un grande tabù di parola, gli escrementi tuttavia si collocano in un ambito che permea in maniera non eludibile la nostra vita, le nostre abitudini e tutte le manifestazioni dell’ingegno e dello spirito.
Il volume in questione potrebbe essere utilmente arricchito da un’ulteriore capitolo, attualmente mancante, sul tema “Escrementi e sport”, a cui noi podisti potremmo indubbiamente dare un valido contributo (derivante da esperienze di vita vissuta).
A questo riguardo, mentre scrivo, mi sono venuti in mente due divertenti episodi, perfettamente attinenti, che mi sono occorsi: uno diciamo pure “domestico”; l’altro risalente ad un viaggio in un paese esotico.

Il primo, che recupero da una e-mail inoltrata ad un amico di corsa, ha a che vedere con un terzo personaggio della nostra stessa città che tende ad “allargarsi” un po’ troppo nell’annunciare mirabolanti imprese podistiche di endurance. Magari il nostro poi le compie anche, ma io e il mio amico, destinatario della missiva, troviamo molto di cattivo gusto tutto questo sbrodolamento nell’annunciarle. Un modo di fare che solitamente agli interlocutori di turno, prescelti come malcapitati destinatari delle vanterie, strappa la frase, giusto per essere in tema, Apriamo gli ombrelli che comincia a piovere m**!!
Tutto sommato, il silenzio e la discrezione sono dei forti.
La vanità, invece, in qualche misura, è indice di debolezza.
Ecco la lettera (ovviamente, con la riservatezza del nome dell’amico cui mi riferisco).

“Caro Enzo,
ti racconto in breve questa esilarante avventura: ieri (domenica) avevo da poco cominciato a correre e improvvisamente ho avvertito un impellente bisogno.
Questo bisogno mi ha colto alla sprovvista: ero privo di qualsiasi mezzo di fortuna ed ero per di più completamente allo scoperto.
Sia come sia, sono riuscito a farmi forza e ad arrivare sino all'ingresso della Favorita di Piazza Leoni [un parco prediletto dai podisti di Palermo] e mi sono infilato nel viale di accesso, per infrattarmi subito dopo in mezzo alle frasche di un angolo recondito e fuori dalla vista.
Al passaggio, spinto dalla necessità non ho mancato di raccogliere un provvidenziale foglio di giornale che vagava pigramente trasportato da una leggera brezza.
Mentre le automobili mi sfrecciavano vicine, io – invisibile agli occhi degli automobilisti – con piena goduria e senza fretta mi sono accinto alla bisogna.
Intanto, avevo strappato una parte del foglio di giornale per predisporla alla sua funzione, con un sapiente lavoro di stropicciamento che rende la carta di giornale morbida quasi come la carta igienica di casa, mentre il resto del foglio giaceva aperto davanti a me.
(Il piacere della lettura durante l’espletamento è ineliminabile).
Ha colpito immediatamente la mia attenzione un frammento di foto che corredava uno degli articoli della pagina strappata: si intravedevano le gambe di un podista in corsa nel bel mezzo di un paesaggio desertico.
Incuriosito, ho aguzzato lo sguardo per leggere le parole scritte a caratteri minuti: puoi immaginare la mia sorpresa nell'accorgermi che si trattava di un articolo (corredato da foto) dedicato a Xxxx Yyyyy e alla sua prossima impresa podistica in Alaska!!!
Che coincidenza - ho pensato tra me e me - mentre la foto del nostro podista fungeva da preziosa carta igienica per il mio sedere!!
Ovviamente, caro Enzo, ti inoltro questo racconto senza alcuna malevolenza per il nostro amico comune!
Ciao e a presto”



Questo invece il secondo episodio.
Alcuni anni fa mi trovavo a Katmandu, durante il mio primo, emozionante, viaggio in Asia, per di più da solo, un viaggio non pensato in funzione di una gara podistica, anche se già allora avevo cominciato a partecipare alle maratone.
Quindi, anche se la finalità del viaggio era turistica e di svago, non rinunciavo al mio allenamento quotidiano di un’ora-un’ora e mezzo.
Ogni volta, tra l’altro, utilizzavo questo tempo dedicato alla corsa per spingermi verso zone della città che ancora non avevo avuto modo di esplorare.
Così, una mattina, mi sono trovato in una zona del tutto nuova, priva di qualsiasi attrattiva turistica, affollata di case basse e fatiscenti, poco più che catapecchie, strade non asfaltate percorse ai lati da rivoli di acqua sporca.
In maniera assolutamente non opportuna, sono stato preso dalle necessità incontrollabili di quell’impronunciabile bisogno di cui abbiamo appena parlato.
Di tornare in albergo neanche se ne parlava: troppo lontano!
Allora che fare?
Inquietante quesito, a cui nei luoghi abituali, è facile rispondere perché di norma ciascuno di noi, là dove si allena, ha i suoi posti “sicuri”; ma ben altra cosa è quando non si conosce preventivamente il “territorio”: bisogna essere allora molto analitici, cercando di individuare il posto adatto nel più breve tempo possibile, esaminando molto velocemente di ciascuno i pro e i contro.
Ma, tornando allo scenario di Katmandu: attorno a me un panorama di case basse, nessun anfratto in vista, nessun vicolo, nessuna automobile parcheggiata, muri impenetrabili dove non c’era la cortina di case.
Radi passanti, malgrado l’esoticità anonima del luogo; già intento nella mia ricerca, ero stato appena sorpassato da un podista indigeno e, attraverso una finestra aperta, avevo appena scorto un altro che si esercitava vigorosamente con manubri d’anteguerra.
Sono andato avanti, guardandomi in giro, con un’ansia sempre crescente, consapevole com’ero che di lì a poco non me la sarei più potuta tenere.
Improvvisamente, in un lungo muro, al di là del quale si poteva supporre lo spazio aperto di una campagna, cosa vedo? Un varco sbrecciato… - Sembra fatto apposta per me- ho pensato. E, senza por tempo in mezzo, mi ci si sono infilato, scivolando immediatamente in una postazione tranquilla al di là del muro.
Mi sono immediatamente accovacciato e ho fatto, con grande sollievo, ciò che dovevo fare.
Finita l’urgenza e sentendomi ormai rilassato, mi sono guardato attorno: davanti a me una specie di campo di calcio abbandonato pieno di sterpaglie, alla mia destra e alla mia sinistra, lungo il muro che avevo appena attraversato, numerosi cittadini di Katmandu tutti tranquillamente accovacciati, come me, e intenti a fare esattamente la stessa cosa; nessun atteggiamento furtivo, tutti molto tranquilli e rilassati, per nulla disturbati dall’estemporanea compagnia (è il caso di ricordare qui il nostro detto popolare “Chi non piscia in compagnia o fa il ladro o fa la spia”, indicante la residuale sussistenza di quella che in passato doveva essere una sostanziale impudicizia nell’espletamento dei propri bisogni corporali).
Senza nemmeno saperlo ero finito in una sorta di grande latrina a cielo aperto… nessuna sorpresa da parte degli altri, molta sorpresa e sconcerto da parte mia, presto sopravanzati dal divertimento e dall’accettazione della naturalezza del modo di porsi nei confronti dell’impronunciabile bisogno…
Ero pur sempre in viaggio in un paese esotico…
Paese che vai, abitudini che trovi…

[E, per stare sui paesi lontani, ecco un complemento di Arnaldo Fantuzzi]

Spostandosi dal solido al liquido, uno dei miei ricordi più belli, legati alla NYC marathon, è la mega zufolatina dal Ponte di Verrazzano, poco dopo la partenza.
Ispirato dai getti colorati dei rimorchiatori in mezzo alla baia, mi sono espresso dalle arcate del ponte con un getto monocromatico in segno dell'amicizia tra i popoli! Il velista che è in me mi ha aiutato a scegliere il lato sottovento, con l'oceano alle spalle!
Mi pare d'aver colto Miss Liberty, lì di fronte, girarmi sdegnata le spalle, disegnate così bene da sembrare scolpite!
Certo che questi messaggi non avranno pubblicazione su carta (se non igienica), e altrettanto sicuro che non finiremo nemmeno su Podismo e Letteratura, concludo con una battuta in tema: la supposta è una bassa insinuazione!

PUS : Il non ancora Direttore, nella NYC Marathon del 1990, essendo al piano basso del ponte di Verrazzano e correndo sulla passerella esterna scoperta, si prese quel tal getto liquido sulla testa… Perfino Julia Jones gli fece le condoglianze!



L'immagine è stata scattata nell'anteprima della Maratona di Venezia 2003 da Azio Malaguti