Commento al libro "Al tempo che Berta filava"

      

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 (…)
            Innanzitutto debbo dare un nome fittizio al personaggio. Lo chiamerò Mario.

            Poi comincio il mio lavoro di ricostruzione basato sulle notizie raccolte nel volume “al tempo che Berta filava”, pazientemente e coraggiosamente scritto da Giorgio Pedracchi, storico, riempiendo di fantasia i vuoti fra una citazione e l’altra. Metterò in caratteri corsivi i brani copiati integralmente e vado avanti facendomi guidare da un po’ di fantasia e dalla voglia di fare qualcosa di inconsueto.

             E allora non resta che cominciare. Ma da dove?
            Dalla prima volta che lo si nomina .

            “Verso la metà degli anni trenta era rispuntato dalle radici del repubblicanesimo e del radicalismo ottocenteschi un pollone di “Giustizia e Libertà” con il geometra (..... iotti), l’artigiano  (.... .......) ed altri; dal sottofondo anarchico era riemerso il neo-antifascismo dei comunisti-libertari di Silvano Fedi, di Mario (è il nostro che compare per la prima volta) e altri, quasi tutti studenti del Forteguerri, scoperti e condannati nel 1940 alla galera e al confino.

            Ma io sono anche in possesso di un manoscritto di Lindano Zanchi (ora purtroppo defunto) e copio alla lettera “Ci conoscevamo dai tempi del tennis al villone Puccini, ma non solo per questo. Mario era uno dei quattro giovani studenti antifascisti pistoiesi processati dal Tribunale Speciale.”

            Sull’ opera che abbiamo preso a base della ricerca, (da questo momento quando dovrò nominarla la chiamerò semplicemente “Berta”) alcune pagine dopo, troviamo altre righe che ci interessano: “Il gruppo dei libertari si era formato in due fasi successive, attraverso la confluenza di tre diversi componenti. Al nucleo propriamente liceale di Silvano Fedi e Mario si unì nel 1939 il gruppo composito di Carlo Giovannelli, Filiberto Fedi, Oreste Inglesi e Raffaello Baldi. Come già detto, nell’ottobre 1939, una delazione portò alla scoperta dell’organizzazione e all’arresto di Fedi, Mario, Giovannelli e Fondi e alla loro condanna ad un anno di reclusione”.

            Io non ho, nel periodo della lotta clandestina, avuto la fortuna di conoscere il personaggio del quale sto in qualche modo ricostruendo la storia e mi dispiace. L’ho conosciuto solo quando ormai eravamo alla fine della lunga lotta. E non avevo sospettato in lui una storia così fitta di episodi che ne fanno un personaggio di certa rilevanza, uno di quegli uomini che, quando hanno preso la decisione di andare in montagna per combattere il nemico nazi- fascista, lo hanno fatto a ragion veduta, spinti da conclusioni logiche e da una fede che non ammette ripensamenti. A differenza di quanto è capitato al sottoscritto che si è trovato a combattere contro il comune nemico solo perché il caso lo ha spinto nelle braccia di una pattuglia partigiana. Si è poi infervorato, caricato di ardore ed ha lottato con tutte le sue forze, dando il meglio di se stesso.  Ma bisogna riconoscere nel personaggio del quale si parla una ben diversa preparazione di fondo.

            Ed infatti troviamo, poche pagine dopo, una nota di una certa importanza
            Abbiamo notato, di passaggio, che il nostro era un comunista libertario.

            (da “Berta”) "I comunisti libertari non erano come gli altri se li immaginavano. si richiamavano bensì al comunismo (anche Malatesta ci si era richiamato) per  il prestigio e la carica dirompente che il nome conferiva alla cultura rivoluzionaria di quel tempo, ma in realtà si consideravano una filiazione dell’anarchismo. Ciò che li qualificava era l’aggettivo libertario: esso soverchiava il sostantivo. I giovani esponenti di spicco, Silvano Fedi, Mario, Tiziano Palandri, Sergio Bardelli erano andati, per così dire, a scuola dai vecchi anarchici pistoiesi, tutta gente modesta (uno faceva il cenciaiolo, uno il metraio, uno aveva un chiosco di giornali, uno un peso pubblico), ma che aveva però letto molto. E godendo di quella sorta di impunità che veniva loro paradossalmente dall’essere conosciuti e schedati, avevano conservato il coraggio civile di esprimere le proprie opinioni”.

            Ne deduco che forse la differenza sta tutta nelle opportunità fornite dal caso: il nostro è stato portato in un ambiente dominato dalla politica e dall’idea anarchica, io sono stato trascinato dalla mia passione per gli aerei e per il volo. Al di fuori del volo niente altro esisteva, non c’era tempo ne modo per altro.
            Dunque Mario un giorno viene arrestato, processato per antifascismo e condannato ad un anno di prigione.

            Un anno di prigione. Per ragioni politiche. Non è stato accusato di aver ucciso qualcuno, o di aver rubato o violentato. No! E’ stato condannato ad un anno di prigione solo perché aveva idee politiche diverse da quelle volute dal regime di allora.

            Un anno di carcere. Io non riesco neppure ad immaginare cosa voglia dire dover passare un anno intero chiuso in una cella, privato della libertà di muovermi, di uscire, di vivere come è nei miei sacrosanti diritti.
(…)
           
 (…)
            Torniamo al libro dal quale traggo queste note: “Appena usciti dal carcere, Silvano e i suoi compagni ripresero con maggior lena di prima l’attività cospiratoria. ............. La determinazione di questi giovani dipendeva certamente dalla loro forte tempra soggettiva, ma anche dalla sensazione assai diffusa di una crisi irreversibile del regime.

            Sembra che il carcere non abbia avuto alcuna influenza sul modi di pensare di questi quattro giovani. Forse ha addirittura fatto più forte il loro convincimento. Forse li ha costrinti a pensare, forse ha aiutato qualche contatto. E’ un fatto che , una volta usciti si danno alla loro lotta con ancora maggiore forza morale, con più pertinacia.

            Ed eccoci giunti ad un momento importante per la nostra storia: (sempre da “Berta”)  “I libertari pistoiesi erano anche in contatto continuo e personale con Manrico Ducceschi. Nella primavera del  1944 richiesero al PdA fiorentino << un riconoscimento di fatto>> di questa loro posizione, ossia del vincolo di appartenenza alla formazione di Ducceschi (Pippo) manifestato attraverso una collaborazione più stretta avviata appunto all’inizio del 1944. Non costituirà certo una sorpresa, dunque, ritrovare in seguito molti di questi comunisti libertari in montagna nella formazione di Ducceschi e alcuni di loro come Mario e Tiziano Palandri, non in posizione di semblici gregari, bensì assurti al vertice del comando.

            Eccoci dunque al momento in cui Mario entra, insieme ad altri, a far parte della formazione di Pippo. Quella stessa nella quale, alcuni mesi più tardi, giunse casualmente anche il sottoscritto. Questo nella nostra storia è un punto fondamentale. Mario entra a far parte della nostra formazione. E ci entra dall’alto.

            Ancora da “Berta” estraggo una nota importante e cioè la spiegazione di quello che in fondo è uno strano titolo: “al tempo che Berta filava”.

            “Con il concorso di Mario fu presa la decisione di scegliere la località di Pianacci, sui monti sopra Pescia, come punto di lancio e di ricezione dei lanci; la disposizione dei fuochi doveva essre a stella; il messaggio del contatto con gli Alleati fu: “La Berta fila”.

            Quella fantomatica Berta altri non era che il nome in codice assunto dal capo missione, cioè Benedetti, il quale, sull’esempio della famosa Berta di Toscana, di cui conosceva la storia, si augurava di poter tessere, con la stessa fortuna della contessa, le fila della sua politica”.
(…)    

            Riassumo brevemente: dai propositi del Benedetti sopra menzionato non sarebbe scaturito nessun progetto pratico se da Pescia non fosse passato Filippo Naldi, maestro di combinazioni politiche e anello di congiunzione fra lo stesso Benedetti e l’OSS, servizio segreto dell’esercito americano. Fu il Naldi che attraversò il fronte su di una ambulanza della Croce Rossa Italiana per recarsi a Brindisi dove entrò a far parte del nuovo governo come commissario all’Ufficio Stampa. Da qui l’intesa fra i badogliani ed i vari movimenti partigiani che stavano nascendo nel nord. Il nostro fu conquistato dall’idea di un accordo con i badogliani e si convinse del fatto che era opportuno accettare l’intesa per dare una spinta al movimento partigiano.

            Dal solito volume traggo una descrizione di Mario:
            “Mario era un giovane siciliano, figlio di un funzionario dello stato trasferito a Pistoia. Alto, magro, pareva un cavaliere berbero; ed era fiero come gli uomini di quella razza. Su tutto privilegiava l’amicizia virile. Suo compagno di classe e di giovinezza era Silvano Fedi, del quale subiva la forte personalità trasgressiva. Durante l’ultimo anno di liceo aveva seguito Silvano nell’attività antifascista, animatore di quel gruppo di pistoiesi citati nel libro di Ruggero Zangrandi. Nel 1940 erano stati arrestati entrambi, processati e condannati dal Tribunale Speciale. Scontata la pena e richiamato sotto le armi Mario fu spedito in Russia come soldato semplice, inquadrato nella divisione “Celere”. E di essa condivise le tristi vicende fino in fondo, lungo tutta la disastrosa ritirata a piedi dal Don al Dnepr. Ritornato a Pistoia dopo l’8 settembre del 1943, era diventato definitivamente adulto, aveva acquisito, per così dire, la conoscenza

            Eccoci dunque al momento in cui a Pistoia viene captato il messaggio “la Berta fila” trasmesso da Radio Londra. La ricezione del messaggio provocò l’allerta negli uomini di Silvano una ventina dei quali partirono la notte stessa per la località convenuta (i Pianacci, sopra Pescia) dove, predisposti i segnali, attesero invano tutta la notte e anche per alcune settimane successive, tutte le volte che veniva captato il messaggio e cioè fino a quando Silvano ritenne di averne abbastanza e desisté dalla vana impresa.

            A questo punto le cose si fanno complicate per l’entrata in scena di diversi personaggi oltre a vari comitati e comandi su aree che vanno da Napoli a Brindisi, da Algeri a Casablanca, a Livorno, Ancona, Gabicce, Caserta, eccetera.  Noi cercheremo di seguire più da vicino possibile le vicende interessate dal nostro saltando quanto non ci tocca da presso. E si complicano ulteriormente quando un nuovo agente, “Carlo”, si presenta a Berta, che noi sappiamo essere il Benedetti di Pescia. Carlo aveva il compito di segnalare e predisporre le località adatte allo sbarco di altri agenti sulle coste tirreniche ed ebbe dal Benedetti tutte le informazioni necessarie. Ripartito Carlo da Pescia, radio Londra riprese a trasmettere con regolarità quasi giornaliera la frase “Le Berta fila”, messaggi ricevuti da Benedetti il quale mise in allarme Mario per la ricezione dei lanci.

Ebbe così e di nuovo inizio un giornaliero invio di uomini ai Pianacci per la preparazione del terreno e la necessaria segnalazione. Il tutto inutilmente perché i lanci non ebbero luogo. Fra l’altro la concentrazione di diversi uomini nascostisi in un paese nei pressi dei Pianacci attirò l’attenzione dei fascisti i quali, con l’aiuto dei tedeschi, eseguirono un rastrellamento nella notte del 24-25 novembre 1943 in seguito al quale furono catturati una quarantina di uomini. Gli scampati confluirono poi nella formazione di Pippo.

            Il Benedetti, Berta, si ritrovò scosso, e pieno di dubbi nella fiducia che aveva riposto nella organizzazione che stava nascendo. La sua fiducia tornò con lo sbarco sulla costa tirrenica di nuovi agenti corredati di radio rice-trasmittenti. Il 17 gennaio 1944 una motosilurante proveniente da Bastia sbarcò a Pescia Romana la “Missione Rosa” con due radio. L’avventura di queste due radio e del relativo personale meriterebbe di essere raccontata, ma mentre, come nota Pedracchi nel suo “al tempo che Berta filava” essa ha una importanza notevole nello svolgersi delle varie vicende, ritengo non interessi altrettanto vivamente la storia che stiamo raccontando, per cui arriviamo alla conclusione delle avventure degli uomini e mezzi nel modo più conciso possibile. “Radio Livorno”, trasportata a Camaiore, trasmise regolarmente per due mesi fino a quando i tedeschi la individuarono in una casa. Radio Nada fu invece trasportata a Firenze e da una casa della città trasmise regolarmente fino a quando Berta ebbe l’incarico di prelevarla e consegnarla a Pippo presso il quale accompagnò anche l’R.T. “Barba”.

            Per riprendere come si deve il racconto che ci interessa ritengo necessario a questo punto copiare quanto detto in “al tempo che Berta filava”, ciò che faccio subito.

            “In quei giorni i tedeschi identificarono “Berta” e individuarono parte della sua rete informativa in Toscana. Sulla testa di Pino e di Berta apparve addirittura una taglia di 555.000 lire. (omissis). Lo smascheramento di Berta era totale, la minaccia perentoria e incombente. Benedetti non ebbe altra scelta che sottrarsi alla cattura lasciando Pescia e riparando dietro le linee alleate. Prima di partire incaricò una commissione di sostituirlo nel coordinamento e nel controllo delle bande partigiane. Il gruppo dei suoi collaboratori era composto da Ivo Capocchi, Millo Poggeschi, Ruggero Severi e il nostro Mario che in pratica divenne il responsabile dell’operazione   “Carnation”.
            A sua volta , però, Mario venne arrestato a Pescia ai primi di maggio e trasferito alle carceri prima di Monsummano, poi di Pistoia. Probabilmente però i fascisti non riuscirono ad identificarlo con precisione e dopo circa dieci giorni lo rilasciarono. Probabilmente egli fu liberato su intervento diretto di Gioacchino Forzano interessato da Silvano e Tiziano
”.

            Anche qui, nello scorrere il bel libro di Pedracchi, sono stato costretto ad operare tagli e salti, anche allo scopo di non giungere ad una copia completa del libro stesso.

(…)

Nel proseguire della lettura si apprende che Mario, liberato come sopra, riparò nell’ambito della XI zona di Pippo. Fu a questo punto che il Benedetti (Berta) lo convocò a Roma per affidargli un incarico (non si dice come, ma immagino per radio).

            Riprendo dal libro di Pedracchi:
            “ Mario si mise dunque in viaggio e raggiunse Roma il I° giugno a tappe, in modi e circostanze che ebbero dell’incredibile. Per un buon tratto fu ospitato sul cassone di un camion tedesco carico di damigiane di vino (e con un filo di paglia ne sorbì un bel po’); per un altro tratto viaggiò sul sellino posteriore della motocicletta di un portaordini tedesco”.

            Mi par sia il caso di introdurre un breve commento. Immaginiamo il nostro Mario che, solo soletto, si incammina per Roma. In un territorio completamente occupato dai tedeschi che correvano da una parte all’altra costituendo in continuazione posti di guardia, punti di controllo. Anche perché sapevano bene di essere in territorio nemico e di conseguenza prendevano tutte le precauzioni del caso. Fra l’altro Mario era un giovane di forse 23-24 anni ed i giovani di quell’età colpivano l’occhio, perché ce ne erano ben pochi, erano tutti militari. E lui parte , va a Roma.

            Giunto sulla strada, non so quale, si mette a chiedere un passaggio. Si ferma un autocarro tedesco. L’autista si sporge e domanda: “Dove devi andare?”

            “Verso il sud” è la laconica risposta. “Sali”. Però il dialogo potrebbe essersi svolto a segni. Il tedesco si sporge e fa un gesto tipico, imparato in Italia, che vuol dire: cosa vuoi?

Mario fa un segno vago con la mano, accompagnato da un’appena accennata alzata di spalle: “Devo andare da quella parte”. Un segno col pollice dice: sali sul cassone.

            Il cassone è pieno di damigiane di vino. E dove sono damigiane di vino c’è sempre qualche filo di paglia. Mario stappa una damigiana e assaggia il vino, lo trova di suo gradimento e ne beve un bel po’.

            Poi l’autocarro si ferma e il tedesco fa capire che lui è arrivato alla sua meta. Per un po’ il viaggio prosegue a piedi , poi, dietro la richiesta di Mario si ferma una motocicletta. E’ un portaordini tedesco che va verso il sud. Solito brevissimo dialogo e Mario percorre un altro bel tratto comodamente seduto sul sedile posteriore del portaordini.

            Io sono stato un fortunato, in guerra.
            Mario è stato un fortunato, sfacciato e sfrontato. Meglio così!

 “Giunto a Roma e messosi in contatto con Berta, Mario apprese quale era il fine della sua convocazione. Egli sarebbe stato lanciato nel perimetro della XI° zona con un gruppo di ufficiali con lo scopo di unificare sotto un unico comando tutte le varie bande che operavano a cavallo dell’Appennino. Il grosso del gruppo fu paracadutato sulla Rafanella la notte del 12 giugno, mentre la formazione era impegnata in un duro scontro con i tedeschi nella Val di Lima per il controllo della statale Pisa-Brennero. A complicare le cose, nel lancio la radio era andata perduta. Mario, inviato a Brindisi da dove, dopo  un brevissimo corso sul lancio con il paracadute, venne lanciato in una notte fra il 20 e il 26 giugno. Durante il volo il tempo si guastò: notte buia e nuvole basse. Sull’Appennino cadeva una pioggerella fine fine. Era impossibile riconoscere i luoghi. Il lancio venne effettuato quasi alla cieca, calcolando la posizione in base al tempo di volo. Nessuno da terra era in grado di scorgere i paracadute che scendevano. Solo il tonfo dei bidoni che picchiavano in terra orientava gli uomini addetti al recupero. Tutti lavoravano in gran silenzio. Ad un tratto uno di essi, Lindano, si imbatté in un uomo ancora impigliato nel paracadute. I due sgranarono gli occhi, il silenzio fu rotto da due esclamazioni simultanee: “Mario!”, “Lindano”.”

            Lindano, nella memoria che mi ha consegnato perché la leggessi, si dilunga poco di più:”La notte era fonda, il cielo nuvoloso non offriva alcun contrasto che potesse lasciar scorgere la presenza di oggetti sospesi in movimento discendente, per cui ad un certo momento fummo guidati dai tonfi dei carichi che battevano a terra o sulle piante che si trovavano un po’ ovunque intorno alla zona di lancio. Si cominciò ad udire voci che lanciavano segnali di presenza -Un paracadute è qui- Qui ce ne è un’altro- Anche qui- Anche io ho trovato- Qualcuno invitò al silenzio........... Un minuto dopo la voce d’Ardengo gridò a voce smorzata: -Lindano, qui c’è un paracadutista, vuole il comandante-. Con il cuore in gola corsi verso il luogo di provenienza della voce, avvisando del mio arrivo...... e mi ritrovai faccia a faccia con il paracadutista. La sorpresa fu tale che mi scappò di urlare: -Mario!-”

            Il lancio che doveva essere effettuato sulla Rafanella, a tutto favore della banda di Pippo, era invece stato fatto nella zona della Scaffa e di esso profittarono gli uomini dell”Orsigna” e di varie bande di Ospitale. Illuminato sull’errore Mario chiese una guida e si recò da Pippo che raggiunse il 27.
            Dopo pochi giorni Mario attraversò nuovamente l’Appennino con l’intento di recuperare il carico lanciato in luogo errato e rientrare in possesso della preziosa radio. Egli giunse a Montefiorino, dopo aver incontrato Tiziano per strada ed aver iniziato con questi un lungo discorso che doveva essere un preambolo utile alla vagheggiata unione di tutte le bande operanti nella zona. Ritrovò la radio, raccolse una buona parte del materiale lanciato dagli aerei e tornò a Pippo. Il suo arrivo presso il comando di Pippo avvenne nel momento in cui la formazione, pressata dai tedeschi e desiderosa di non provocare rappresaglie che avrebbero fortemente colpito la popolazione della zona stava preparandosi a lasciare la Rafanella per trasferirsi, provvisoriamente, in Emilia.
            Si succedettero alcuni giorni convulsi, difficili da raccontare succintamente estraendo una notizia dopo l’altra dal libro di Pedracchi. Le cose si fanno più chiare quando si giunge al momento in cui, sotto la pressione delle forze alleate, i tedeschi si ritirano dalla linea Gotica. Pressate e ostacolate in ogni modo possibile dai partigiani della XI° zona che impedirono il brillamento di mine predisposte sulla statale dell’Abetone. Mario in quei giorni comandava un distaccamento che arrecò non pochi guai ai tedeschi in ritirata.

            Con la liberazione della zona già occupata dalla formazione di Pippo finisce l’avventura di Mario nell’ambito della formazione stessa: da “al tempo che la Berta filava”:

“Mario lasciò la formazione uscendo definitivamente di scena e dalle ulteriori vicende dell’XI° zona”.

            Un’ultima cosa mi piace copiare dal libro di Petracchi. E’ solo una nota di colore che ha per protagonista (è l’ultima volta che lo si nomina) il nostro Mario:
            “La formazione di Pippo era assurta agli onori della cronaca. Alcuni cronisti l’avevano visitata alla fine d’agosto ( 1944) in località La Porcata, quando era ritornata alle Tre Potenze dopo la doppia traversata dell’Appennino. Tra di essi vi era un giovane imberbe, un po’ saccente, e molto curioso; interrogava, voleva sapere, voleva capire. Infastidiva, insomma. Cosicché, per allontanarlo senza tante spiegazioni, Mario lo costrinse a fare dietro- front e accompagnò il comando - allora si usava - con una pedata nel sedere. Quel giovane era Enzo Biagi”.

Fine della storia che spero non sia stata noiosa.

 


di A. Battaglini - Tutti i diritti riservati