Direttamente dalla scena newyorkese schizza sul palco del Teatro Olimpico la particella impazzita della danza Karole Armitage con il suo ultimo lavoro. Indomabile, dissacrante, dionisiaca, fiera iconoclasta, Karole si è fatta conoscere dal grande pubblico e dalla critica tra la fine degli anni ‘70 e i primi anni ‘80, quando, specialmente con Drastic Classicism, arrivò a definire compiutamente il suo manifesto sulla coreografia e sulla sua concezione della danza. Si guadagnò così la definizione di “punk ballerina”:«mi interessa la contraddizione tra ribellismo e tecnica codificata, perché determina una situazione selvaggia (…), sono sempre stata interessata a fare una danza classica del nostro tempo», sosteneva.  E allora eccola ribelle, nervosa,  dark aggirarsi inquieta sul palco come una fiera affamata con le sue scarpe da punta nere che diventano un’arma, i suoi tacchi a spillo vertiginosi  che l'aiutano a creare disequilibri, stivaletti con calze colorate che evidenziano le lunghe gambe.  Discordanti le reazioni e difficile il tentativo di definire il suo stile: New classicism, Post-classicism  Drastic classicism  Hard rock ballet, "balletto selvaggio" e rivoluzione punk per una nuova forma di danza  che impasta tecnica classica, moderna, punk, rock e folk. La creazione che presenta all'Olimpico si articola in tre parti, con musiche eseguite dal vivo. La coreografia è astratta e fonde i movimenti fluidi e sinuosi derivanti dalla tecnica classica con la street dance.