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di Gloria Ghiappani Rodichevski
fondatrice di Morfoedro, portale d'arte e di cultura:
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Di Passion, lo spettacolo della compagnia di danza Momix, è stato scritto che si tratta del primo lavoro pensato come un’unità. Dunque la “passion” del titolo risulterebbe più che un fil rouge, rappresentando l’unità stessa. Gli spettacoli dei Momix (e di Pilobolus, il gruppo fondatore) sono infatti costituiti da frammenti, da tessere di un mosaico mai concepito (così come frammenti ed impressioni erano quelli di Crowsnest, l’altro gruppo derivato da Pilobolus). Occorre però dire che, purtroppo, la promessa d’unità non è stata mantenuta perché ai Momix, tutti ex atleti, non si confà la forma narrativa, ma l’astrazione, lo slegato. Solo fino ad un certo punto dello spettacolo è possibile seguirne il Leitmotiv, individuare cioè le diverse passioni. Il balletto inizia con la prima “passione” del mondo: il ciclo vegetativo. Una sorta di sagra della primavera dell’umanità in quella foresta primordiale in cui pulsano i ritmi del concepimento, della nascita, della crescita. La foresta è proiettata su un velo teso verticalmente, per tutta la durata dello spettacolo, sul proscenio: sottigliezza di velo (verginità) e nel contempo cortina protettiva (placenta). I cinque danzatori stanno dietro il diaframma, immersi nel folto della foresta. Il grigio di quest’ultima contrasta con l’arancione saettante dei corpi (colore simbolo forse troppo educato, troppo poco primordiale — cioè — per il messaggio da trasmettere). Interessante il saluto finale dei danzatori al pubblico, giocato sul simbolo del velo: corsa verso il velo-diaframma per lasciare la propria immagine in corsa proiettata sul velo stesso; buio in sala; luce; uscita “allo scoperto” dei ballerini (il velo-placenta scompare: nascita). Subito dopo questa passione primeva vengono dette le piccole passioni quotidiane, insignificanti, scialbe. Segue poi una passione fortemente improntata di sensualità‑sessualità: il costume rosso vivo della danzatrice, un nastro (di quelli usati nella ginnastica ritmica) rosso vivo. La donna srotola quest’ultimo giocandoci; esso passa quindi ad una figura maschile che riconsegna dopo poco il nastro fremente alla figura femminile la quale vi si avvolge. Ma il punto culminante dello spettacolo è rappresentato dalla passione di Cristo. Esso è fuor di dubbio il brano meglio riuscito dell’intero balletto per la solennità dell’atmosfera; per la tensione e per l’intensità con cui Gesù costringe la propria forza fisico-morale nel dolore; per il simbolo delle due Marie incappucciate di magenta che oscillano presso il Cristo, appese a corde, sempre più rattrappendosi nella sopportazione passiva di un dolore: simbolo cui se ne sovrappone un altro, quello dei due ladroni. Da un certo punto in poi, si diceva, il Leitmotiv si perde: lo spettacolo principia a snodarsi su frammenti giustapposti che nulla o quasi hanno a che spartire con il tema della passione. I Momix hanno voluto economizzare la loro creatività proponendo infatti tasselli appartenenti alle loro creazioni precedenti (Pictures at an Exhibition e i brani ospitati negli spettacoli-contenitore Le Divine, Festa a corte, Festa, Gli specchi di Trieste, Los Divinos) o mutuati da Pilobolus (Pilobolus a Broadway). I Momix: più atleti che artisti, dunque? più virtuosi economi che creatori? In effetti non si può definire i Momix artisti a pieno titolo. Tuttavia non concordo con chi afferma che essi sono rimasti esclusivamente atleti senza riuscire a proiettarsi al di là del confine che li separa dall’arte. Occorre quindi accettare il fenomeno Momix così come ci viene ad ogni spettacolo consegnato da suo creatore, Moses Pendleton, e comprenderlo all’insegna di una triade di concetti che Rossella Minotti propone e che troviamo assai calzante: virtuosismo, ginnastica, astrazione. |